La Lega di Bossi difende il ministro in odore di "cosa nostra"
La Camera dei mafiosi salva il mafioso Romano
Sei radicali eletti col "centro-sinistra" graziano il ministro non votandogli contro

Sette giorni dopo aver negato l'arresto di Marco Milanese (ex braccio destro del ministro Tremonti coinvolto nello scandalo P4 e accusato di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio), il 28 settembre le cosche parlamentari insediate a Montecitorio hanno dato un'altra vergognosa picconata al sistema giudiziario e alla lotta alla mafia.
Con 315 voti contrari e solo 294 "sì" la maggioranza in camicia nera ha respinto la riduttiva e blanda mozione di sfiducia individuale presentata dal PD contro il ministro per le Politiche agricole Saverio Romano accusato dalla Procura di Palermo di concorso esterno in associazione mafiosa.
Una mozione di sfiducia che, come era ampiamente prevedibile alla vigilia del voto, non ha torto un capello alla cosca parlamentare del PDL ma è servita al PD per nascondere le sue gravi collusioni con Berlusconi e la sua cricca di mafiosi dietro la classica foglia di fico. E che si sia trattato dell'ennesima messa in scena orchestrata dal PD per affievolire la sacrosanta indignazione della base, lo conferma il fatto che al momento della conta dei voti al PD sono mancati i "sì" dei sei radicali eletti nelle sue file e che invece di votare contro Romano hanno scelto di uscire dall'Aula per protestare contro la mancata amnistia. Non solo, la vergognosa scelta dei radicali ha contribuito fra l'altro ad abbassare il quorum rendendo ancora più agevole il salvataggio del ministro. Se a ciò si aggiungono i sette deputati PD che al momento della chiama risultavano "assenti" si arriva a un totale di 13 voti che potevano essere determinanti per sfiduciare il ministro Romano visto che nessuno prima del voto era sicuro di chi e cosa avrebbe votato.
La sceneggiata è proseguita con l'UDC Ferdinando Adornato, rinnegato del comunismo che ha chiesto a gran voce le dimissioni del ministro facendo finta di non ricordare che Romano è stato portato in parlamento proprio dall'UDC ed è stato in quota a questo partito fino al 29 settembre dell'anno scorso. "Abbiamo le ministre in quota rosa e il ministro in quota latte" ha ironizzato Adornato alludendo al "voto di scambio" della Lega che in cambio del salvataggio di Romano e del governo avrebbe preteso la cancellazione delle multe inflitte dalla Ue agli allevatori del Nord per aver sforato le quote latte.
Ancora più insulso è stato invece l'intervento di Di Pietro che non si è spinto più in là dal definire i deputati del PDL dei "quaquaraquà".
Con queste premesse, era quasi scontato che, come è successo con Milanese una settimana fa, anche questa volta la maggioranza avrebbe avuto buon gioco e i voti della Lega, con alla testa il caporione Bossi e il ministro fascio-leghista Maroni (i cosiddetti "paladini" della lotta alla mafia), sarebbero stati determinanti per salvare il ministro in odore di mafia.
Bossi è stato il primo esponente del governo a entrare in aula e a stringere amichevolmente la mano a Romano; mentre Maroni, più furbescamente, è rimasto in disparte fino al momento del voto delegando l'intervento a favore del ministro siciliano a Sebastiano Fogliato il quale, invece di parlare dei problemi giudiziari del ministro Romano e di spiegare i motivi per cui la Lega ha deciso di difenderlo, si è lanciato in una "interessante" analisi sui problemi dell'agricoltura italiana.
Un atteggiamento corresponsabile da parte del Carroccio che getta più di un'ombra sul fatto che effettivamente ci sia stato uno scambio di "favori" in perfetto stile mafioso, "una proposta che non si può rifiutare" col ministro Romano e l'esecutivo permettendo alla Lega di prendere due piccioni con una fava: sostenere a spada tratta il governo Berlusconi e continuare a non pagare le multe del latte.
"C'è stato un interesse convergente da parte di Bossi e del ministro Romano da Palermo", ha dichiarato in un intervista a "l'Unità" il manager in area leghista Dario Fruscio. Romano ha commissariato l'Agea, l'agenzia che Fruscio dirigeva per volontà dell'ex ministro dell'agricoltura Zaia, proprio perché "il capo del mio partito voleva che menassi il can per l'aia sulle multe per le quote latte, mentre io volevo che venissero pagate".

5 ottobre 2011