Grave affronto alla Resistenza: la terza repubblica prende forma
La Camera commemora Almirante, fucilatore di partigiani
Il suo allievo Fini e il rinnegato Violante lo esaltano. La fondazione della Camera presieduta da Bertinotti pubblica la raccolta degli interventi parlamentari del repubblichino fondatore del MSI

Un segnale più emblematico che questa XVI legislatura nasce all'insegna della terza repubblica in camicia nera-verde non poteva essere lanciato: Giorgio Almirante, il fucilatore di partigiani quando era repubblichino e ricostruttore del partito fascista sotto la sigla MSI nel dopoguerra, quel partito che ha fatto da culla ai gruppi eversivi golpisti e stragisti che hanno insanguinato il Paese, da oggi è completamente riabilitato e collocato nel Pantheon dei "padri della Repubblica" e della "democrazia" italiane. E con la benedizione della compiacente "sinistra" borghese, che non solo non ha protestato per l'ennesimo, grave insulto alla Resistenza, ai partigiani e ai tanti antifascisti caduti nelle piazze e nelle scuole per opporsi alla risorgente feccia fascista, ma ha addirittura partecipato in prima fila, accanto ai suoi eredi in doppiopetto, a questa sporca operazione di beatificazione del boia fascista.
La beatificazione di Almirante, officiata dal suo allievo e pupillo Gianfranco Fini, è stata messa in scena il 28 maggio nella sala della lupa di Montecitorio, alla presenza degli ex presidenti della Camera Violante, Casini e Bertinotti, di democristiani doc come Andreotti, Cossiga, Sanza, Buttiglione e Parisi, di vecchi arnesi fascisti come Rauti, Ciarrapico, Servello, Buontempo e Tremaglia, di fascisti rampanti come il neopodestà di Roma Alemanno (che ad Almirante vuole intitolare una strada), La Russa, Gasparri, Nania e Meloni, nonché del socialista Gennaro Acquaviva, ex consigliere di Craxi, che fu il primo a sdoganare ufficialmente il fondatore del MSI. L'occasione è stata offerta dalla presentazione, a vent'anni dalla scomparsa, dei cinque volumi che raccolgono i discorsi parlamentari del leader missino, un lavoro curato dal deputato del PdL (ex AN) e consigliere Rai Gennaro Malgieri, sotto l'egida della Fondazione della Camera presieduta da Fausto Bertinotti.
Nel suo discorso commemorativo Fini ha esaltato la figura di Almirante facendone un campione di "democrazia e pacificazione" e di "democrazia e nazione", lui che si era "conquistato sul campo" la "patente democratica". Riallacciandosi al suo discorso di insediamento alla presidenza della Camera, in cui invocava una "memoria condivisa" di tutti gli italiani, Fini ha aggiunto che "il leader del MSI intuiva che non vi sarebbe mai stata piena integrazione di tutti i cittadini nelle istituzioni senza un Paese riconciliato con sé stesso oltre le appartenenze di partito e in nome di un'idea condivisa di nazione. La necessità di instaurare un sereno confronto tra gli schieramenti e di consolidare la democrazia attorno a valori comuni è diventato oggi patrimonio comune del mondo politico". Ed ha rivolto un ringraziamento a Violante per aver invocato per primo la "riconciliazione culturale e civile degli italiani negli anni in cui è stato presidente della Camera".
Ma soprattutto il caporione fascista ha esaltato il presidenzialismo ante litteram del suo maestro, citando il suo ultimo discorso alla Camera (aprile 1987) in cui Almirante si dichiarava compiaciuto che Craxi avesse fatta propria "una delle tesi da noi sostenute, cioè la necessità che il presidente della Repubblica sia eletto direttamente dal popolo", esprimendo anche soddisfazione per la proposta di elezione diretta del sindaco. "Sul principio presidenzialista - ha esclamato trionfante a questo punto il presidente della Camera - vale la pena di sottolineare che esso non è più tabù neanche a sinistra". La terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista che Berlusconi, Fini e Bossi stanno per tenere a battesimo in combutta col PD del neonazionalista e presidenzialista Veltroni, non ha dunque per padri solo Gelli, Craxi e lo stesso Berlusconi, ma anche il boia fucilatore Almirante.

L'"ammenda" riduttiva e assolutoria di Fini
Nella mattinata, in aula, Fini aveva dovuto rispondere all'intervento del deputato del PD ed esponente della comunità ebraica milanese (la seconda dopo quella romana) Emanuele Fiano il quale, indignato dalla notizia dell'intenzione di dedicare una strada di Roma ad Almirante, aveva letto alcuni brani di un articolo razzista e antisemita che costui scriveva nel 1942 sul periodico fascista La difesa della razza, del quale era segretario di redazione, e che terminava con queste parole: "Non c'è che un attestato col quale si possa imporre l'altolà al meticciato e all'ebraismo: l'attestato del sangue". Il presidente della Camera non aveva esitato a rispondere: "Grazie, onorevole Fiano. Credo faccia piacere a lei e all'Aula se le dico, senza alcun tipo di esitazione, che le frasi che lei ha letto sono frasi certamente vergognose, che esprimono un sentimento razzista che, purtroppo, in quell'epoca tragica per il nostro popolo albergava nell'animo - e, a volte, nelle parole - di tanti, troppi esponenti che, subito dopo la guerra, si collocarono in alcuni casi a destra, in altri casi in altre formazioni politiche".
L'"incidente" è stato enfatizzato dai giornali come una sorta di "abiura" o comunque di presa di distanza del caporione fascista dal suo padrino politico, ma in realtà è tutt'altra cosa. Innanzi tutto la perifrasi usata da Fini aveva un chiaro intento riduttivo e assolutorio, nel momento stesso in cui attribuiva al "clima" dell'epoca, più che alla volontà del personaggio, le frasi razziste e antisemite di Almirante, accomunandole a quelle di altri fascisti voltagabbana che nel dopoguerra si piazzarono "in altre formazioni politiche". Una tesi rilanciata non a caso dal "Secolo d'Italia" col pubblicare i discorsi dello stesso tenore tenuti allora da fascisti come Spadolini, Fanfani, Bocca e Scalfari, poi convertiti alla democrazia repubblicana. Contemporaneamente partiva un'operazione di ricucitura con la comunità ebraica, con Alemanno che dichiarava di voler cercare il suo consenso per la dedica della strada ad Almirante, e il fascista Malgieri che dichiarava che il leader missino si era sempre schierato "in strenua difesa dello Stato d'Israele, e in tempi in cui nel MSI quell'idea non era tanto per la quale".
Soprattutto, sebbene costretto a fare di nuovo ammenda sulla questione delle leggi razziali fasciste per la sua nota amicizia con Israele, Fini si è ben guardato dal farlo altrettanto su un aspetto ben più grave del passato di Almirante, cioè quello di repubblichino fucilatore di partigiani. È noto infatti che nel 1944, nelle zone occupate dai nazisti, la firma di Almirante, in qualità di capogabinetto del ministro della "repubblica di Salò" Mezzasoma, compariva in calce ai manifesti che ingiungevano ai renitenti alla leva e agli sbandati di arruolarsi nelle brigate nere "pena la fucilazione alla schiena". Le prove documentali, compreso l'originale del manifesto assassino, emersero nel 1971. Il leader missino, che aveva sempre accreditato un suo ruolo del tutto marginale nella "repubblica" fascista, tentò di negare ingaggiando anche una lunga battaglia giudiziaria contro l'Unità e il manifesto accusandoli di aver fabbricato un falso, ma la perse su tutta la linea perché i documenti pubblicati dai due quotidiani furono riconosciuti autentici da diversi tribunali.

Anche la "sinistra" borghese esalta il boia Almirante
Nessuno ha rinfacciato a Fini questa grave e significativa omissione. Anzi, c'è anche chi si è precipitato in suo soccorso, come il rinnegato Luciano Violante, che in un'intervista al Corriere della Sera del 28 maggio ha esaltato Almirante come "pacificatore" e promotore della "democrazia" in Italia: "È vero che fu redattore della rivista Difesa della razza, peraltro non l'unico tra quelli che poi furono politici italiani anche di spicco (vedi Spadolini, Fanfani, Scalfari, ndr), come è vero che ebbe un ruolo, anche se non di primissimo piano (sic) nella Repubblica sociale", ha detto infatti, assecondando le tesi riduttive di Fini l'ex presidente di Montecitorio. Per questo rinnegato, che appena insediato volle riabilitare i "ragazzi di Salò" sperando così di spianarsi la strada al Quirinale, Almirante ebbe ciononostante "un ruolo importante nella storia di questo Paese, perché seppe condurre nell'alveo della democrazia quegli italiani che, dopo la caduta del fascismo e la sconfitta della Repubblica sociale, non si riconoscevano nella repubblica italiana del '48".
Quindi, considerato anche il patronato di Bertinotti alla pubblicazione dei discorsi parlamentari del leader missino, per la "sinistra" borghese, tanto quella rinnegata e riformista quanto quella falsa comunista e trotzkista, il problema dell'Almirante repubblichino fucilatore di partigiani, dell'Almirante ricostruttore del partito fascista (Cossiga ha raccontato che fu lo stesso Mussolini, poco prima della sua fine, a incitarlo a ricostruire il partito fascista dopo la guerra o, in subordine, a far confluire i fascisti nel PSI di Nenni), dell'Almirante al centro delle trame eversive e stragiste degli anni della "strategia della tensione", non esiste più. Cancellato per sempre.
Rimane soltanto la "macchia" dell'adesione alle leggi razziali del '38, del resto comune ad altri "padri" riconosciuti e osannati della Repubblica borghese. Lo stesso "peccato veniale" che la destra (nella più perfetta indifferenza della "sinistra" borghese) si limita ormai ad attribuire a Mussolini, superato il quale, e se anche la "comunità ebraica" desse il nulla osta, non ci sarebbe più alcun ostacolo a mettere anche lui nel Pantheon dei "padri della patria".

8 giugno 2008