Le proposte del governo sulla "riforma" del "mercato del lavoro"
"Un passo indietro" per Camusso, "un'ecatombe sociale" per Bonanni. Allora perché non si rompe la trattativa e non si va subito allo sciopero generale?

Solo gli illusi o gli sprovveduti potevano pensare che la sesta riunione tra il ministro del Welfare, Elsa Fornero, e i rappresentanti delle associazioni padronali e i segretari sindacali di CGIL, CISL, UIL e UGL sul tema della "riforma" del "mercato del lavoro", tenutasi lunedì 12 marzo, potesse andare diversamente da come è andata: cioè male per le lavoratrici e i lavoratori, per i giovani precari e disoccupati, persino peggio delle più pessimistiche previsioni. Sì, perché il provvedimento di "riforma" che ha in mente il governo, è emerso con ancor più chiarezza, si risolve non in una estensione delle tutele e degli "ammortizzatori sociali" ma in una loro demolizione, non in una riduzione del precariato ma in una sua generalizzazione attraverso il contratto di inserimento al lavoro senza copertura dell'art. 18, e in aumento della flessibilità in uscita ampliando le possibilità del licenziamento individuale. Poi la beffa: il governo non ha al momento soldi da mettere sul tavolo per finanziare quella misera specie di sussidio di disoccupazione.
Il ministro si è presentato col suo solito piglio decisionista e col sorriso sulle labbra dicendo a sindacati e imprese che la partita va chiusa tra il 21 e il 23 marzo, dopodiché il governo procederà con o senza accordo con le "parti sociali"; ciò a ennesima conferma come questo sia un finto tavolo delle trattative dove le possibilità di incidere, specie per la CGIL, ma a ben vedere anche per CISL e UIL, sono vicine allo zero. Dopo aver chiarito tempi e metodo, il ministro è passato ad illustrare la proposta del governo sugli "ammortizzatori sociali" che ricalca le anticipazioni avanzate dalla Fornero in altre occasioni, con alcuni aspetti peggiorativi. Nel suo schema rimarrebbero la cassa integrazione ordinaria e quella straordinaria ma solo per riconversioni produttive, poi il licenziamento e un sussidio breve nel tempo e misero nella cifra. Di conseguenza scomparirebbe la cassa integrazione straordinaria, quella in deroga e la mobilità per le aziende in crisi che prevedono la chiusura. Tempi di attuazione: nel 2013 i provvedimenti entrano in azione per andare a regime nel 2015, e non nel 2017 come era stato detto in precedenza.
E veniamo al sussidio di disoccupazione, tutt'altro che di tipo universalistico e ben lontano da quel vaneggiato "salario garantito", che il ministro vorrebbe chiamare pomposamente "Assicurazione sociale per l'impiego" (Aspi) da applicare ai lavoratori dipendenti privati e pubblici con contratto non a tempo indeterminato che però, per poterne beneficiare, devono aver maturato almeno due anni di anzianità assicurativa e non meno di 52 settimane lavorative nell'ultimo biennio. La durata, 12 mesi (15 per i lavoratori sopra i 58 anni) con un importo massimo di 1.100 euro mensili lordi, con un abbattimento del 15% dopo i primi 6 mesi e del 30% dopo altri sei mesi. Attualmente l'indennità di disoccupazione spetta per un massimo di 8 mesi.
Bisogna insistere: la "riforma" Fornero-Monti di ispirazione liberista non estende le tutele ma le demolisce, dà poco o nulla e toglie molto. A conti fatti i lavoratori ci rimettono e tanto, i precari prendono, se le prendono, solo briciole, ai giovani disoccupati si offre solo un contratto precario e mal pagato come è quello dell'apprendistato triennale o in alcuni casi addirittura quinquennale. Se le regole pensate dal ministro fossero subito applicate avrebbero conseguenze disastrose, se è vero come è vero, che nel 2011 e nel 2012 le ore di cassa integrazione straordinaria, ivi compresa quella in deroga, sono cresciute vertiginosamente. Attualmente nella cassa integrazione straordinaria sono coinvolti ben 480 mila lavoratori che, con le nuove regole, in buona parte sarebbero stati licenziati. Con la sola cassa integrazione ordinaria e il sussidio di disoccupazione non si copre nemmeno la metà del tempo rispetto alle tutele garantite negli attuali "ammortizzatori sociali".
Per finanziare i nuovi "ammortizzatori sociali" la Fornero aveva promesso di trovare 2 miliardi di euro. Al tavolo delle trattative si è presentata a mani vuote, questi soldi non sono stati ancora trovati. Ammesso che alla fine escano fuori, ma bisogna vedere da quali tasche saranno presi, sono del tutto insufficienti e, quindi, si preannuncia un taglio delle tutele. Secondo calcoli sindacali la cifra complessiva necessaria è di 15 miliardi di euro: 11 provengono dai versamenti dei contributi sociali di lavoratori e imprese, ne mancano 4 che è la parte che dovrebbe mettere il governo.
Circa il tema del precariato, la Fornero aveva parlato di "flessibilità buona" da conservare e incentivare e di "flessibilità malata" da eliminare. Ma in concreto non parla più di sfoltimento dei contratti precari, ricordiamo che i sindacati avevano chiesto di ridurli a 5 tipologie, ma solo di controlli contro gli abusi e di strumenti per incentivarne o disincentivarne l'uso. Non a caso la Fornero non parla più di contratto unico ma di contratto prevalente per l'inserimento dei giovani che si aggiungerebbe alla miriade di contratti precari già in vigore. Non si è parlato, in questa circostanza, della flessibilità in uscita e dell'art.18. Non perché il governo abbia abbandonato l'intenzione di metterci le mani sopra. Tutt'altro! Ha già fatto sapere che questo sarà l'argomento del prossimo incontro. Ed è già nota la modifica peggiorativa che intende apportarvi: consentire il licenziamento individuale per motivi economici e per provvedimenti disciplinari da liquidare con un semplice indennizzo, senza reintegro nel posto di lavoro, anche nel caso di licenziamenti "illegittimi". Ed è noto che su questo il governo ha già il consenso di CISL e UIL, oltreché, ovviamente, di Confindustria.
Favorire i licenziamenti è il chiodo fisso di questo governo. In un momento in cui la recessione invece di indietreggiare avanza ancora, la cassa integrazione rimane a livelli altissimi e la disoccupazione cresce e ancora cresce: dati recentissimi certificano che quella ufficiale è salita al 9,2%, mentre quella giovanile è al 31%. I disoccupati ufficiali sono 2 milioni e 312 mila +2,8% rispetto a dicembre (64 mila unità in più) e su base annua l'aumento è addirittura del 14% (286 mila posti di lavoro persi). La Fornero mente spudoratamente quando afferma che la "riforma" del "mercato del lavoro" permetterà di abbassare la disoccupazione al 4,5%.
Negative le reazioni dei vertici sindacali. Per Susanna Camuso, segretaria della CGIL è stato "un passo indietro perché con questo schema ci sarà una riduzione delle coperture dal punto di vista della durata. In più l'obiettivo dell'universalità non è perseguito: non ci sarà nessun lavoratore in più, partite Iva e collaborativi in primis, chi è scoperto oggi lo sarà anche domani. Non vorremo - ha aggiunto - essere perfidi ma temiamo che si stiano solo rimodulando le coperture attuali". Duro anche il giudizio del segretario della CISL, Raffaele Bonanni, che parla di "una vera ecatombe sociale" riferendosi alla cancellazione della mobilità in tempi di crisi. "La proposta del governo - ha detto in proposito - riduce i tempi di copertura temporale e riduce l'intensità del sostegno finanziario. Questo è un disastro e chiediamo al governo di tornare indietro su questo punto".
Se le cose stanno così, come pensano Camusso e Bonanni di modificare e migliorare la proposta del governo? Con le chiacchiere? O con la lotta? Se i giudizi espressi sono sinceri e se costoro vogliono essere coerenti dovrebbero stoppare la trattativa e chiamare le lavoratrici e i lavoratori alla mobilitazione e allo sciopero generale prima che il governo assesti un colpo mortale ai diritti dei lavoratori, dei precari e dei giovani.
È una responsabilità che dovrebbero prendersi davanti ai propri iscritti e all'insieme dei lavoratori.

14 marzo 2012