Linee guida della Cei sugli abusi sessuali ai danni dei minori
Nessun obbligo per i vescovi di denunciare i preti pedofili
Eppure il diritto canonico non impedirebbe ai vescovi di collaborare con le autorità dello Stato

Lo scorso 23 maggio la Conferenza episcopale italiana (Cei) ha presentato un documento intitolato "Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici" nelle quali i vescovi italiani affermano a chiare lettere - esonerati come sono dall'obbligo di deporre in un tribunale italiano o di esibire agli inquirenti italiani documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragioni del proprio ministero - di non avere l'obbligo giuridico di denunciare all'autorità giudiziaria le notizie che abbiano ricevuto in merito ad abusi sessuali da parte del clero.
La questione ovviamente riguarda fatti commessi in territorio italiano da ecclesiastici cattolici ai danni di minori, ed effettivamente dal punto di vista strettamente giuridico è vero che - sulla base sia del quarto comma dell'articolo 4 del concordato del 1984 sia degli articoli 200 e 256 del codice di procedura penale italiano - ogni vescovo può addirittura rifiutarsi apertamente di testimoniare in un processo penale italiano, così come ogni sacerdote può farlo in piena legittimità appellandosi al segreto derivante dal proprio ministero.
Può farlo, ma in realtà non è obbligato a farlo sempre e comunque, perché l'unico obbligo imposto dal diritto canonico di assoluto segreto è quello derivante dai canoni 983 e 984 del codice di diritto canonico del 1983 attualmente in vigore, i quali canoni però disciplinano soltanto il segreto confessionale, ossia il divieto tassativo per tutti i sacerdoti di rendere nota ogni notizia appresa durante l'atto specifico e peculiare della confessione, ma non escludono affatto che un sacerdote, e quindi anche un vescovo, possa utilizzare a fini di giustizia - e quindi collaborare con le autorità civili italiane - notizie che egli ha appreso nell'ambito del suo ministero ma al di fuori dello specifico atto della confessione, come don Fortunato Di Noto sta facendo da anni con la sua associazione avendo già denunciato alla magistratura addirittura altri sacerdoti.
Quindi i vescovi italiani, nel prendere posizione sulla questione della collaborazione con le autorità italiane sul drammatico tema delle molestie sessuali contro i minori, avrebbero potuto scegliere la strada della collaborazione con gli inquirenti e avrebbero semmai dovuto lanciare un chiaro appello sia ai sacerdoti sia a tutti i fedeli a denunciare e collaborare senza riserve con la magistratura italiana, ma non l'hanno fatto: in parole povere la loro decisione non è stata obbligata dal rispetto del diritto canonico ma è stata dettata dalla loro valutazione discrezionale che lo stesso ordinamento canonico gli offre, in parole povere è stata una decisione squisitamente politica.
Il documento poi continua affermando che eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall'autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro, il che equivale a dire che i vescovi collaboreranno con i magistrati penali italiani soltanto se lo riterranno opportuno.
Addirittura poi si afferma testualmente nel documento che "nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza episcopale italiana", e questo è sicuramente vero per il diritto penale, ma quantomeno i vescovi italiani si dovrebbero assumere invece tutta la responsabilità morale e politica per i futuri casi di abusi su minori commessi da ecclesiastici proprio per non avere preso una univoca posizione collaborativa con le autorità preposte alla repressione di questo terribile tipo di reati, inviso ad ogni coscienza civile: lo stesso segretario generale della conferenza episcopale italiana, monsignor Mariano Crociata, ha ricordato alla conferenza stampa che dal 2000 al 2011 ci sono state due condanne in primo grado, 17 in secondo grado e 21 patteggiamenti nei confronti di ecclesiastici per fatti legati all'abuso sessuale sui minori, a riprova che il problema esiste ed è grave.
Le reazioni critiche alle "Linee guida" della Conferenza episcopale italiana non si sono fatte attendere, prima fra tutte quella di monsignor Ignazio Sanna, vescovo di Oristano: il prelato nella sua relazione letta durante la sessione dell'Assemblea generale dei vescovi italiani ha affermato senza mezzi termini che è dovere derivante dalla coscienza democratica di ogni vescovo in quanto cittadino italiano di denunciare alla magistratura i reati di abusi sessuali sui minori.
Critico è anche il ricordato don Fortunato Di Noto, il sacerdote siciliano fondatore e direttore dell'associazione Meter che si occupa a tempo pieno della lotta contro la pedofilia, che da Savona commenta la decisione della Cei con queste parole: "se, poi, è coinvolto un sacerdote, la prima cosa da fare è dirlo al vescovo e, se ci sono fatti gravi, all'autorità giudiziaria. Perché un prete è anche un cittadino".

30 maggio 2012