Nel documento della segreteria nazionale "Per un nuovo modello contrattuale"
La Cgil capitola a governo, Confindustria, Cisl e Uil
Data la priorità alla competitività delle imprese. Ridotto il contratto nazionale a favore della contrattazione di 2° livello. I salari inchiodati al solo recupero dell'inflazione. Passa la triennalizzazione. Flessibilità garantite ai padroni. Proposta la cogestione di marca CISL
Cremaschi: "Cedimento gravissimo, riforma da contrastare a fondo"

La segreteria nazionale della CGIL, capitanata da Susanna Camusso, ha elaborato un documento organico che ha per titolo. "Per un nuovo modello contrattuale" e si sviluppa sulla base dei seguenti capitoli: Il bilancio; Il contesto economico; La necessità della riforma contrattuale; La struttura del nuovo modello contrattuale; Il sistema della contrattazione settoriale nazionale e decentrata.
Al momento non è dato sapere quale sarà il suo iter: se sarà discusso all'interno delle strutture, con gli iscritti e con i lavoratori, oppure se sarà presentato direttamente alle controparti pubbliche e private (governo e Confindustria) e agli altri sindacati CISL e UIL in testa. È prevista una riunione del direttivo nazionale fissata per il 10-11 maggio prossimo per approvarlo o per modificarlo. Da subito si può già dire che si tratta di un chiaro tentativo da parte del vertice della CGIL di superare la frattura profonda volutamente provocata da governo e Confindustria con l'accordo separato del 22 gennaio 2009 sulla "riforma del modello contrattuale" e accettata dai sindacati complici CISL, UIL, con l'aggiunta del sindacato ex-fascista UGL.
Ma su quali basi si vuol raggiungere questo obiettivo? Con quali posizioni? Si tratta di un compromesso accettabile oppure di una capitolazione?

Epifani avrebbe voluto firmare
Prima di dare una risposta a questo è bene ricordare che il vertice della CGIL, allora guidato da Guglielmo Epifani, quell'accordo separato lo avrebbe voluto firmare ma non gli fu dato alcun margine di contrattazione, nemmeno di tipo formale e di facciata, per farlo. Ciò sulla base del documento unitario concordato nel 2008 con CISL e UIL sulla modifica degli assetti contrattuali che conteneva diversi principi che sono stati recepiti nel suddetto accordo separato. Perciò fu l'arroganza autoritaria dei rappresentati del governo Berlusconi (Letta, Sacconi, Brunetta) e dell'associazione del grande padronato a spingere la CGIL a non sottoscrivere l'intesa perché, fu la motivazione, "restringe la contrattazione, quella nazionale è fortemente depotenziata in tutti i suoi aspetti; quella aziendale non viene estesa. Il testo contiene un principio di derogabilità ai principi generali che può rendere inesigibili le norme del contratto nazionale. A livello nazionale si procede, strutturalmente, a una riduzione del potere d'acquisto. Inoltre perché c'è una norma sul diritto di sciopero assolutamente inaccettabile in quanto le parti dovrebbero stabilire che solo chi rappresenta la maggioranza ha la possibilità di proclamare gli scioperi". Altri motivi indicati, l'introduzione della triennalità della durata del CCNL anche per la parte economica, l'estensione abnorme degli enti bilaterali con il risultato di cambiare radicalmente la natura del sindacato, trasformato in una corporazione (di stampo mussoliniano).
Questa posizione assunta in modo forzato, anche sulla spinta della totale contrarietà espressa dalla FIOM, ebbe un grande consenso da parte dei lavoratori. Testimoniato nel referendum organizzato dalla CGIL dove oltre 3,6 milioni di lavoratori e pensionati (96% dei votanti) respinsero la controriforma contrattuale. Testimoniato nella grande manifestazione nazionale del 4 aprile 2009 cui parteciparono 2 milioni e 700 mila manifestanti.

La CGIL rincorre CISL e UIL
Ciononostante, da allora e soprattutto da quando la Camusso ne è diventata segretario generale, il vertice confederale della CGIL non ha fatto che rincorrere a destra CISL e UIL, la stessa Confindustria, ricevendo regolarmente schiaffi in faccia a suon di ulteriori accordi separati come quello per le deroghe sui contratti nazionali, come quelli voluti dal nuovo Valletta, Sergio Marchionne, per Fiat Pomigliano e Fiat Mirafiori. Per non dire della linea di Federmeccanica che prospetta la sostituzione del contratto nazionale con un contratto aziendale, almeno per le grandi imprese. Il presidente della Confindustria e i leader dei sindacati complici, Bonanni e Angeletti per farla rientrare in gioco chiedono a CGIL né più né meno la resa totale, ossia l'accettazione di quanto firmato negli accordi separati.
Il documento della segreteria nazionale della CGIL se non è una resa di questo tipo, poco ci manca. Dalla sua lettura emerge infatti un complessivo cedimento all'impostazione fin qui "avversata". Nel bilancio che viene fatto dell'accordo separato "a due anni dall'entrata in vigore" c'è un'analisi forzata e ipocrita. Si sostiene che la contrattazione nazionale è stata largamente unitaria, assieme a CISL e UIL sono stati firmati 83 CCNL su 89. Ma non è specificato che nei 6 contratti non unitari ci sono categorie come i metalmeccanici e il commercio, il pubblico impiego che riguardano la maggioranza dei lavoratori, circa 7 milioni e mezzo. Circa la contrattazione aziendale non si possono certo minimizzare gli accordi separati come quelli del Gruppo Fiat giacché in essi si applica il modello Marchionne passibile di essere esteso al resto dei metalmeccanici e alle altre categorie.
La segreteria della CGIL tende da un lato a minimizzare l'applicazione della "riforma" contrattuale nei contratti rinnovati (IPCA, deroghe, bilateralità) e dall'altro nasconde il fatto che è passata la triennalizzazione della durata del contratto sia per la parte normativa che salariale, che cancella il biennio economico senza alcuna compensazione.

Grave cedimento a destra
Nel documento si parla di crisi di produttività, di competitività e di inefficienza dell'apparato produttivo italiano e del settore pubblico che "induce a trasformazioni strutturali degli apparati produttivi tradizionali, sia attraverso la modifica del peso dei settori e dei comparti, sia attraverso l'allargamento dei mercati della competizione per le singole aziende". A questi fini, pare di capire va subordinato "il nuovo modello contrattuale". Per il vertice CGIL c'è un'impasse da superare visto che: il sistema contrattuale separato non ha raggiunto gli obiettivi di crescita della produttività; la contrattazione di secondo livello non si è diffusa; le RSU non sono state elette in tutti i luoghi di lavoro; il blocco della contrattazione nel pubblico impiego ha indebolito il sistema della rappresentanza sindacale. A CISL e UIL la Camusso dice in sostanza di "mettere da parte le divisioni del passato" per trovare "una nuova condivisione unitaria" sulla struttura contrattuale (livelli, finalità, materie) e su rappresentanza, democrazia e percorsi di mandato e validazione sugli accordi.
Peccato che la base proposta per questa "nuova condivisione unitaria" è molto simile a quella sostenuta dai sindacati complici, che va bene anche a Confindustria, e che hanno portato ai contratti separati contestati. È il caso della cadenza triennale della contrattazione nazionale, del fatto che i CCNL non possono andare chiedere aumenti salariali che vadano oltre il recupero dell'inflazione e forse nemmeno questo dato che va tenuto conto "delle tendenze generali dell'economia e del mercato del lavoro, del raffronto competitivo e degli andamenti specifici del settore".
Quello pensato dalla segreteria CGIL è un contratto nazionale che perde d'importanza, un contratto cornice che stabilisce in generale pochi punti per demandare tutto il resto a livello aziendale. E così per l'inquadramento professionale è così per gli orari e "le forme certe ed esigibili (da parte delle imprese) di flessibilità da contrattare a seconda delle necessità nei luoghi di lavoro". Ma c'è di più. "La contrattazione decentrata - si legge - ha anche lo scopo di organizzare i fattori produttivi nel modo più efficace anche per produrre incrementi di produttività del lavoro". Musica per le orecchie dei padroni alla Marchionne.

Torna la concertazione neocorporativa
La perla la troviamo nella riproposizione della concertazione di stampo neocoporativo laddove si propone di sperimentare a livello aziendale "forme di partecipazione del lavoro alla vita dell'azienda e dell'amministrazione". Si teorizza insomma la presenza di delegati sindacali persino nel consiglio di amministrazione. A livello nazionale la concertazione si dovrebbe concretizzare con "forme di consultazione sulle scelte economiche e di bilancio" tra governo e "parti sociali". Una concertazione che vincola le parti "a comportamenti coerenti con le intese sottoscritte". Non è quello che da sempre sostiene la CISL e da tempo va propagandando il ministro Sacconi nei suoi libri bianchi e verdi, la cogestione e la collaborazione tra padroni ed operai, al posto del conflitto sociale e della lotta di classe?

Dissentire, disobbedire
Su questo documento al momento vige, stranamente, un inspiegabile silenzio. Anche la componente di sinistra riunita ne "La Cgil che vogliamo" non si è fatta sentire se si esclude la dichiarazione del coordinatore, Gianni Rinaldini, che ha contestato alla Camusso a quale titolo ella ha discusso col presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia nell'incontro di via Veneto del 14 aprile una bozza che non è ancora stata giudicata dal direttivo. A differenza di Giorgio Cremaschi (FIOM) che invece ha preso posizione pubblica critica molto netta. Lo considera "una svolta negativa". Perché "la riforma del sistema contrattuale che viene proposta corrisponde sostanzialmente a quanto auspicato dalla Confindustria, da CISL e da UIL. I contratti nazionali dovranno essere più leggeri e 'meno prescrittivi'. Così non ci sarà più bisogno delle deroghe, perché sarà la leggerezza, cioè la debolezza del contratto nazionale a permettere azienda per azienda, territorio per territorio, che ognuno faccia come vuole". Ciò oggettivamente in una logica federalista cara alla Lega di Bossi che rompe, frantuma in mille pezzi l'unità contrattuale e normativa dei lavoratori. Altro che "gabbie salariali"! "Si passa ai contratti cornice - aggiunge Cremaschi - che accorpano anche più settori, di cui ha sempre parlato la Confindustria. Lo scopo del tutto è quello di ottenere una produttività aziendale più ampia" legando a questo parametro "una più equa distribuzione del reddito". Tra le questioni messe sotto accusa da Cremaschi: l'introduzione generalizzata della bilateralità; il fatto che i contratti nazionali non potranno aumentare le retribuzioni ma solo "tutelarne il valore reale"; il concetto di esigibilità delle flessibilità da parte delle imprese; il ritorno formale alla concertazione. Tutto ciò fa si che il contratto nazionale perda "il suo valore di strumento di promozione generale del lavoratori".
Cremaschi invita a contrastare a fondo il documento della segreteria "per questo - dice - è necessario che in tutta l'organizzazione, fino ai luoghi di lavoro, i militanti, gli iscritti, le lavoratrici e i lavoratori possano discutere un progetto alternativo". Insiste, si tratta di un documento che supera da destra il protocollo del '93 e che implica una svolta autoritaria nell'organizzazione. Non può essere imposto "con un voto di maggioranza alla CGIL un modello che è quello della CISL". Ad esso "non si risponde con il dissenso ma si disobbedisce".
Come dargli torto!

20 aprile 2011