Al Direttivo nazionale indette 16 ore di sciopero
La Cgil difende l'art. 18, ma solo a metà

Camusso propone il modello tedesco. Respinto un emendamento di Landini e Nicolosi per riaffermare l'integrità della norma vigente contro i licenziamenti. Solo Cremaschi e Burattini votano no al documento di maggioranza
Come era logico aspettarsi, il direttivo nazionale della CGIL riunitosi mercoledì 21 marzo, cioè il giorno dopo del no di Susanna Camusso a Monti e Fornero sulla sostanziale cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e quindi la liberalizzazione dei licenziamenti, ha deciso un forte e nutrito programma di lotta che si articola in 16 ore di sciopero di tutte le categorie di cui 8 per le assemblee e iniziative specifiche e 8 in un unica giornata con manifestazioni territoriali; una petizione popolare con l'obiettivo di raccogliere milioni di firme; iniziative specifiche con i giovani per contrastare il precariato; assemblee in tutti i luoghi di lavoro e nei territori. Scopo dichiarato della mobilitazione, cambiare il progetto di "riforma" del "mercato del lavoro" del governo, specie le nuove norme sull'art.18, prima che venga approvato definitivamente in parlamento.
Ma vediamo con che posizioni e quale piattaforma. Questo il giudizio di Fulvio Fammoni nella sua relazione. "I provvedimenti del governo sul mercato del lavoro - ha detto - uniti alle precedenti scelte contengono un evidente tratto di ingiustizia verso lavoratori e pensionati... Il governo punta a imporre un ruolo residuale del sindacato confederale italiano e delle forze sociali e a introdurre un modello assicurativo individuale al posto del patto sociale storico". "Con le nuove norme - ha aggiunto - è molto facile prevedere che nei prossimi due tre anni si avvii un vero e proprio processo di espulsione di massa di lavoratori ultracinquantenni che si troveranno senza lavoro e senza aver raggiunto i requisiti della pensione". "Il nostro primo obiettivo - ha concluso - è la modifica in parlamento delle norme proposte dal governo a partire dall'art.18".
Nel documento finale del direttivo con 95 voti a favore, 2 contrari e 13 astenuti, si legge che "Il Direttivo nazionale della CGIL valuta grave e inaccettabile, per ragioni di metodo e di merito, il modo con il quale il governo ha inteso concludere il negoziato sulle modifiche legislative del mercato del lavoro". "Infatti il governo non ha mai inteso modificare in alcun modo le proprie proposte sull'art.18 con l'obiettivo di rendere più facili i licenziamenti ingiustificati". "Si è demolito l'effetto di deterrenza - continua - dell'art.18 quale diritto ad una tutela per far valere l'insieme dei diritti, aprendo all'unilateralità del potere aziendale nella vita concreta nei luoghi di lavoro". "Si apre oggi una grande battaglia e una grande sfida nel Paese e nella comunicazione, nei territori e nei luoghi di lavoro. L'obiettivo di questa battaglia deve essere quello di radicali proposte di modifica ai provvedimenti del governo da presentare all'insieme del Parlamento". "Sui licenziamenti le modifiche dovranno riguardare - è specificato nel documento - la ricostruzione dell'effetto di deterrenza dell'art.18 a partire dalla riconquista della reintegra come diritto essenziale per la tutela dei lavoratori coinvolti nel licenziamento".
Tutto bene? No. In realtà la discussione si è svolta in modo molto acceso e si sono aperti dei dissensi netti, specie da parte della componente di sinistra, allorché è apparso chiaro che nelle richieste di modifica delle posizioni del governo non c'era la difesa integrale dell'art.18 bensì una mediazione al ribasso sulla base del modello tedesco che affida al giudice il potere di decidere il reintegro nel posto di lavoro o l'indennizzo economico in caso di licenziamenti ingiustificati. Su questo è scesa in campo direttamente la segretaria Camusso la quale, ha rivelato, che era proprio questa l'ipotesi concordata con CISL e UIL da contrapporre (senza che ne avesse peraltro il mandato) alla proposta di Monti-Fornero; anche se poi Bonanni e Angeletti non l'hanno sostenuta. Per la Camusso non ci sono più le condizioni per tenere la posizione "l'art.18 non si tocca" e che bisogna ripiegare su un obiettivo intermedio che raccolga in parlamento il massimo del consenso possibile a partire dal PD di Bersani con il quale è in contatto permanente.
Sia chiaro che, anche se governo e parlamento alla fine accettassero il suddetto modello tedesco, esso rappresenterebbe comunque una lesione dell'art.18, un arretramento pesante della norma attualmente in vigore la quale prevede, in caso di licenziamento illegittimo, sempre l'obbligo del reintegro nel posto di lavoro.
La linea emendativa della Camusso non ha convinto il segretario della FIOM, Maurizio Landini che nel suo intervento aveva parlato di "Una follia che cancella l'art.18, siamo pronti a tutto". Una riforma che "non riduce la precarietà - aveva aggiunto - non estende gli ammortizzatori sociali ma rende più facili i licenziamenti" Una riforma che "sarà contrastata con ogni mezzo e con ogni forma di protesta democratica nelle fabbriche e nel Paese". Landini, insieme a Nicola Nicolosi, ha presentato un emendamento che chiedeva l'intangibilità dell'articolo 18, ricevendo 30 voti a favore, tra cui i segretari generali della Funzione pubblica e della Conoscenza, e 73 contrari.
La linea della maggioranza della CGIL capeggiata dalla Camusso, che non solo rinuncia alla difesa integrale dell'art.18, ma esprime apprezzamenti esagerati e fuori luogo su certi "miglioramenti" ottenuti sugli "ammortizzatori sociali" e sul contenimento della precarietà, e che non proclama subito lo sciopero generale con manifestazione nazionale come sarebbe necessario, non è piaciuta anche a Giorgio Cremaschi che, insieme a Fabrizio Burattini, ha votato no al documento della maggioranza della CGIL, Landini e Rinaldini si sono astenuti, mentre Nicolosi ha votato a favore. In una nota per spiegare il suo voto Cremaschi scrive di non credere che il governo sia disponibile a una mediazione sull'articolo 18, giacché questo è lo scalpo da portare alla Banca centrale europea. "Per questo la politica della riduzione del danno, ancora una volta praticata dal gruppo dirigente della Cgil, rischia di essere non solo sbagliata nei contenuti - alla fine si accettano comunque danni irreparabili - ma anche inefficace".

28 marzo 2012