Al XVI Congresso
La Cgil di Epifani apre a governo, Confindustria, Cisl e Uil
La destra non concede nulla alla sinistra, nemmeno sul piano della democrazia
Lottiamo per impedire alla destra sindacale di sacrificare i lavoratori alla crisi capitalistica

Come da copione. Così si è svolto, dal 5 al 8 maggio al Palafiera di Rimini, il XVI Congresso nazionale della Cgil, cui hanno preso parte oltre mille delegati, oltre ad alcune migliaia di invitati. Nessuna o quasi novità rispetto a quanto già emerso nei congressi di base e nell'insieme della fase precongressuale. Se si escludono i fischi legittimi e giustificati della platea che hanno accolto gli esponenti del governo, Gianni Letta sottosegretario alla presidenza del consiglio e Maurizio Sacconi ministro del welfare, il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, i segretari di Cisl e Uil Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, nonché la ex segretaria dell'Ugl e attuale presidente regionale del Lazio Renata Polverini. Protesta questa immediatamente sedata da Epifani con scuse dirette e pubbliche nei confronti degli interessati. Non ci sono state particolari sorprese nemmeno nelle votazioni sui documenti e nell'elezione del "nuovo" segretario generale. Come è noto, la mozione congressuale uno, espressione della destra, "I diritti oltre la crisi", primo firmatario Guglielmo Epifani, aveva ottenuto (anche con metodi scorretti e truffaldini) 1,5 milioni di voti pari all' 82, 9% dei votanti; mentre la mozione due "La Cgil che vogliamo" primi firmatari Moccia, Rinaldini, Podda aveva ottenuto 309 mila consensi pari al 17,1%. Percentuali più o meno confermate in sede di congresso che ha visto 738 delegati (82,04% dei votanti) approvare il documento di Epifani e altri 162 delegati (17,96) votare contro. Scontata la rielezione di Epifani che rimarrà in carica fino al 20 settembre prossimo, data della scadenza dei due mandati. E che sarà sostituito, salvo colpi di scena al momento non previsti, da Susanna Camusso.
Ma che linea è uscita da questo congresso? Il tratto caratteristico principale della relazione e delle conclusioni di Epifani, poi incluso nel documento finale, è l'apertura a destra, ovvero: disponibilità a trattare (leggi concertare) con il governo sui temi della crisi, pur sapendo che è lo stesso governo che ha operato per spaccare l'unità sindacale e isolare la Cgil, demolire i diritti sindacali, vedi la controriforma padronale e corporativa del modello contrattuale, la legge sull'arbitrato per rendere facili i licenziamenti e cambiare natura al sindacato, i provvedimenti che hanno ulteriormente precarizzato il lavoro, vedi l'attacco già annunciato allo Statuto dei lavoratori che si vuole sostituire con uno "statuto del lavoro, per non dire delle controriforma istituzionali da terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, interventista razzista e xenofoba; richiesta (leggi mendicare) alla Confindustria di un tavolo per dare una aggiustatina al nuovo modello contrattuale in modo che lo possa firmare anche la Cgil; l'invito (leggi la preghiera) a Cisl e Uil, cioè ai sindacati complici che col governo e Confindustria hanno firmato una sfilza di accordi separati senza e contro la volontà della Cgil, a riprendere il dialogo e azioni unitarie. C'è insomma una grande voglia di tornare a una pratica sindacale fondata sulla concertazione e sul "patto sociale" interrotta suo malgrado da Epifani e dal vertice Cgil per volontà dei vari Sacconi, Marcegaglia, Bonanni e Angeletti.
Se non è una Canossa, poco ci manca. D'altronde, Epifani ha ricordato come fatto positivo, propedeutico per riprendere un percorso unitario con le altre due organizzazioni sindacali, che la Cgil ha firmato con Cisl e Uil una quarantina di accordi per i rinnovi dei contratti nazionali di lavoro che hanno recepito parti importanti della controriforma contrattuale, anche se lui lo nega. Rispetto al 2003 quando un analogo attacco del governo, anche allora guidato dal neoduce Berlusconi, all'art.18 e per marginalizzare la Cgil fu sconfitto con la lotta, Epifani pensa al compromesso che non può che essere al ribasso. Sostiene che occorre, assieme al conflitto la contrattazione, ma in realtà pensa più al secondo aspetto nella versione concertativa e cogestionaria.
L'altro tratto caratteristico uscito di conseguenza dal congresso è la chiusura totale nei confronti della sinistra riunita attorno alla mozione congressuale alternativa alla quale non è stato concesso nulla, nemmeno sul piano della democrazia, tutti i suoi emendamenti sono stati infatti bocciati. È la volontà di chiudere ogni spazio al dissenso, di più mettere la mordacchia alle "categorie ribelli", in testa i metalmeccanici attraverso l'approvazione di una modifica allo Statuto che impedisce posizioni diverse da quelle della direzione confederale su accordi di tipo interconfederale. Il pensiero va immediatamente al protocollo Prodi del 2007 sul welfare: in quella circostanza la Fiom criticò l'operato della segreteria Epifani e dette indicazione di votare No nel referendum.
La proposta principale attorno al quale Epifani propone la ripresa del confronto con Cisl e Uil e della concertazione con governo e Confindustria è un piano straordinario per l'occupazione da applicarsi nei prossimi tre anni, tanti quanti ne mancano al termine della vigente legislatura, fondata su tre assi: incentivi fiscali per chi investe in ricerca, innovazione e formazione; allentamento del patto di stabilità per gli enti locali in modo da favorire l'avvio di opere infrastrutturali, anche piccole, anche di natura ecologica e di risparmio energetico; la riapertura infine del turn- over nelle scuole, nelle università e nella pubblica amministrazione. Il tutto asserisce il leader della Cgil, alla fine frutterebbe un milione di posti di lavoro in più.
Se questa è l'impostazione di fondo, di sciopero generale, come richiesto nei loro interventi ad esempio da Podda e da Cremaschi contro l'annunciato attacco allo Statuto dei lavoratori ma anche contro l'annunciata manovra fiscale correttiva di Tremonti, una stangata di 20-25 miliardi di euro da far pagare alle larghe masse popolari, nemmeno a parlarne.
Tra gli esponenti della seconda mozione congressuale, l'intervento più autorevole è stato forse quello di Rinaldini, non foss'altro perché la Fiom è stata l'unica categoria dove Epifani è stato battuto e messo in minoranza. Rinaldini ha detto che governo e Confindustria hanno utilizzato la crisi per ridefinire le relazioni sindacali come parte di "un progetto autoritario che è partito dalla modifica del sistema contrattuale, cancellando ogni forma di tutela, i diritti dei lavoratori, per arrivare a colpire la Costituzione". Non per caso si punta ad allargare ed estendere la precarizzazione, ha aggiunto, e Cisl e Uil portano pesanti responsabilità perché "hanno condiviso tutte le misure del governo e le scelte di Confindustria. Si ridisegna il sindacato in cambio di enti bilaterali. Non c'è democrazia". Come nel caso macroscopico del contratto dei metalmeccanici firmato solo da Fim e Uilm, cioè da sindacati di minoranza, senza che i lavoratori interessati potessero esprimersi e decidere.
A questo proposito, il segretario della Fiom ha rivendicato la necessità di regole certe che prevedano il voto dei lavoratori sia quando le tre Confederazioni sono d'accordo sia quando questo accordo non c'è. "Altrimenti si tratta di una beffa. La democrazia sindacale è il terreno prioritario - ha insistito - per un rapporto con Cisl e Uil e anche all'interno della Cgil". Per Rinaldini occorre costruire un'opposizione sociale di massa e un movimento di lotta del tipo di quello messo in essere nel 2001 per iniziativa della Cgil contro il piano Maroni e la cosiddetta "legge Biagi" perché "non credo che si possa oggi parlare di unità sindacale in termini tradizionali. Che altro deve succedere? Le differenze strategiche (con Cisl e Uil, ndr) sono insuperabili". Rimane la ricerca dell'unità d'azione ma "per ricostruirla vanno ridefinite regole democratiche" di rappresentanza e di mandato dei lavoratori.
A quanti della minoranza, tra gli altri l'ex segretario della Fp-Cgil Podda, auspicavano una chiusura unitaria del congresso, l'arroganza della maggioranza che sostiene Epifani ha chiuso ogni spazio bocciando sistematicamente tutti gli emendamenti presentati. Tra cui quello che chiedeva pari dignità ai documenti congressuali presentati in alternativa tra loro, visto le scorrettezze commesse in questo congresso nei confronti di quello di minoranza. Ma soprattutto, come detto, approvando una modifica dello Statuto che mette nelle mani del direttivo confederale tutto il potere di decidere sugli accordi interconfederali siglati con gli altri sindacati, tagliando fuori anche in via preliminare in forma consultiva, le categorie.
Da qui la decisione dei sostenitori della mozione due di votare compatti contro il documento finale redatto dagli uomini di Epifani, sulla base di una sintetica dichiarazione di voto con i seguenti punti: l'accordo separato del 22 gennaio non è emendabile; non è stabilita una piattaforma chiara che illustri quale "nuovo sistema contrattuale" persegua la Cgil; non sono indicati obiettivi chiari in merito alla lotta alla precarietà; non è indicata in modo esplicito la necessità di una legge che regoli la democrazia e la rappresentatività sindacali.
La Cgil che dunque esce dal congresso, la Cgil di Epifani che ha goduto, ricordiamolo dell'appoggio acquiescente dell'ex sinistra di "Lavoro e Società" di Nicolosi, è in sostanza più spostata a destra, più saldamente nelle mani della destra, dove c'è meno spazio e meno possibilità di incidere per il dissenso, per la sinistra. È una Cgil meno propensa alla lotta e più disponibile al compromesso, alla concertazione, al cedimento con gli altri sindacati complici, con il governo e il padronato. È una Cgil di fatto disponibile a sacrificare gli interessi dei lavoratori in nome di quelli "generali" e "nazionali" che poi sono quelli della borghesia e del capitalismo italiano; come probabilmente accadrà, per fare un esempio, col piano industriale della Fiat di Marchionne-Elkann. E questo in un momento di grave crisi finanziaria, economica e sociale come quella che stiamo vivendo può arrecare danni devastanti per le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici e popolari; come insegna la vicenda greca in atto.
È una prospettiva che non ci piace per nulla e che va impedita favorendo un largo fronte unito di forze per un forte movimento di lotta che non permetta alla destra sindacale di Epifani di sacrificare i lavoratori e i pensionati alla crisi devastante del capitalismo.
I militanti riminesi del PMLI guidati dal compagno Denis Branzanti, Responsabile del Partito per l'Emilia-Romagna, all'apertura dei lavori congressuali hanno diffuso "Il Bolscevico", nonostante che il "servizio d'ordine" li volesse allontanare.

12 maggio 2010