Nella ricorrenza della festa delle Forze armate
Ciampi esalta l'interventismo dell'esercito italiano

Per Ciampi l'esaltazione dell'esercito imperialista e del suo interventismo all'estero è ormai una costante. Anzi, dalla frequenza dei suoi interventi in proposito si direbbe che è diventata una vera ossessione. Probabilmente considera quella di riaccreditare l'immagine delle Forze armate interventiste agli occhi del popolo italiano, giustamente diffidente dopo la tragica esperienza del fascismo, come la missione principale del suo mandato presidenziale, tanto che le occasioni per farlo le va a scovare ormai sottoterra, come, tanto per citare una delle ultime, il saluto al contingente "Nibbio'' di ritorno dall'Afghanistan.
Figuriamoci se poi le occasioni gli cadono dal cielo su un piatto d'argento, come quella della giornata dell'unità nazionale e festa delle Forze armate del 4 novembre, anniversario della "vittoria'' nella prima guerra mondiale imperialista del 1914-18. Un'occasione davvero d'oro, per l'inquilino del Quirinale, per pestare a volontà sui tasti del nazionalismo, del militarismo e dell'interventismo, nelle cerimonie e nei discorsi ufficiali, che difatti non ha certo mancato di sfruttare a fondo. In particolare lo ha fatto nel discorso tenuto nel salone dei corazzieri al Quirinale, durante la cerimonia di consegna delle insegne dell'ordine militare d'Italia ai comandanti delle missioni all'estero, alla presenza delle seconde cariche dello Stato, Pera e Casini, del ministro della Difesa Martino, delle più alte cariche militari delle varie armi e degli allievi e delle allieve ufficiali delle scuole militari.
Con la sua consumata oratoria demagogico-patriottarda si è rifatto alla cerimonia di tumulazione del milite ignoto al Vittoriano il 4 novembre del 1921, definendo quel momento storico "un attimo fuggente di concordia nazionale'', tra la "Vittoria del 1918'' nella Grande Guerra e l'avvento della "sventurata vicenda'' del fascismo. Un falso storico, il suo, particolarmente disgustoso, poiché millanta un'inesistente "concordia nazionale'' tra la borghesia italiana, che era entrata in quella guerra imperialista per arricchirsi con le commesse militari e conquistare nuovi territori e colonie, e il proletariato, i contadini e le masse popolari in genere, mandate al macello contro la loro volontà a fare da carne da cannone nelle trincee. Tantopiù che nel 1921 si era nel pieno della reazione borghese contro il movimento operaio e contadino, dopo la stagione rivoluzionaria dell'occupazione delle fabbriche, e imperversavano dappertutto e da mesi le squadracce fasciste di Mussolini protette dalla polizia e dall'esercito regio. Come si fa a parlare di "concordia nazionale'' per uno dei periodi più bui e sanguinosi della storia del nostro popolo? Ciampi, che non è certo un ignorante in storia, allora mente sapendo di mentire.
Ma perché fa questo? Perché gli serve per poter poi affermare che "il 4 novembre è un tassello essenziale nel percorso della memoria che ha il suo perno nella festa del 2 giugno, la nascita, per volontà del popolo, della Repubblica''. Gli serve cioè poter stabilire una continuità storica e fondativa tra la Grande Guerra imperialista e la Repubblica, cancellando implicitamente le sue radici resistenziali e ricollegandola direttamente ai valori e alla retorica nazionalista, militarista, espansionista e interventista che servirono a trascinare il Paese nella guerra del 1915-18.
Cosicché poi a Ciampi risulta facile esaltare l'interventismo delle attuali forze armate italiane come una naturale continuazione delle "tradizioni'' patriottiche nazionali, magari rivestendolo di "umanitarismo'', per cui arriva a sostenere con spudoratezza che "in tutte le missioni internazionali, anche nelle più difficili, al militare italiano vengono riconosciute da tutti, insieme con la professionalità, la flessibilità, la capacità di comprensione, di dialogo, dei nostri ragazzi, in una parola la nostra umanità''.
Non solo, ma oltre a gabellare per missioni "umanitarie'' e di "pace'' gli interventi imperialisti delle Forze armate italiane nel Golfo persico, in Somalia, nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq ecc., pretende pure che le masse popolari ci credano e li sostengano, sapendo benissimo, anche dalle imponenti manifestazioni contro l'aggressione all'Iraq, che nel popolo italiano prevalgono sentimenti antiguerrafondai e antimilitaristi. Così Ciampi continua a mentire, rivolgendosi ai militari presenti alla cerimonia al Quirinale, sostenendo che "gli italiani apprezzano sempre di più il lavoro delle Forze Armate'', che "le forze militari italiane hanno ritrovato negli ultimi anni una profonda sintonia con la nostra società civile. E ciò è avvenuto grazie alle missioni di pace, di tutela della sicurezza, contro il terrorismo e a come voi le avete svolte''; e che "le missioni internazionali di pace hanno costituito una vera e propria fonte di legittimazione sociale per le Forze Armate della Repubblica. Hanno reso possibile il ritorno della sfilata del 2 giugno in un contesto di concordia civile, di simpatia, di affetto, di orgoglio''.
Ma all'inquilino del Quirinale tutto questo non basta ancora. Vuole un esercito interventista ancora più nutrito, forte e moderno, fedele alla Nato ma anche pronto per entrare da protagonista nella nuova forza militare interventista europea in gestazione. Con l'auspicio suo personale che le forze armate italiane abbiano al più presto "un generale miglioramento e ammodernamento dei mezzi e delle tecnologie'', e che "le difficoltà nel reclutamento dei volontari saranno superate''.
Evidentemente il popolo italiano continua nella sua stragrande maggioranza a mantenere una sana diffidenza verso questo esercito "umanitario'' armato fino ai denti e smanioso di mostrare i muscoli dovunque se ne trovi una scusa interventista. Tanto che in vista dell'abolizione della leva si profila già una crisi dei reclutamenti che lo stesso Ciampi teme e cerca di esorcizzare con le sue martellanti e ossessive concioni militariste e patriottarde.