Quale fu il ruolo di Ciampi nella Resistenza La famigerata Repubblica di Salò
Venendo incontro a una esplicita richiesta dei fascisti
CIAMPI: "I REPUBBLICHINI ERANO DEI PATRIOTI''
L'ex repubblichino e attuale ministro Tremaglia: "La pacificazione è davvero arrivata''

Pur combattendo dalla parte sbagliata anche i fascisti repubblichini erano animati dal sentimento dell'"unità della patria'', e perciò meritano onore al pari dei partigiani. Dopo cinquant'anni è giunta l'ora della "pacificazione'' in nome dell'"unità della patria''. Questa, nella sostanza, la tesi espressa da Ciampi il 14 ottobre a Lizzano Belvedere, sull'Appennino bolognese, durante la cerimonia di commemorazione del comandante partigiano della brigata Matteotti Antonio Giuriolo, caduto nell'inverno del 1944.
Una tesi tanto più gratuita e inaccettabile perché avanzata nel contesto dell'apparente esaltazione della Resistenza, usata strumentalmente da Ciampi per far passare idee e concetti che ne rappresentano l'esatta negazione, e portano al contrario all'apologia del fascismo e del nazionalismo oggi incarnati nella seconda repubblica. La Resistenza, ha detto infatti il capo dello Stato, resta una "pagina fondamentale della nostra storia e della nostra rinascita democratica'', una pagina "drammatica, ma che non spezzò un comune sentire di tutti gli italiani, quello di considerare l'unità un bene''. Però (e qui Ciampi ha innestato il concetto che più gli stava a cuore, e che si prefiggeva di far passare sfruttando questa occasione), "a mezzo secolo di distanza dobbiamo pur dire che questa unità era il sentimento che animò molti dei giovani che allora fecero scelte diverse (non più quindi sbagliate, ndr), e le fecero credendo di servire ugualmente l'onore della propria patria. Questa unità dobbiamo preservarla e farne in ogni nostra azione il punto di riferimento insieme alla difesa dei valori della democrazia, di libertà e di pace''.
è chiaro quindi che la celebrazione dell'episodio resistenziale è stato il pretesto per conferire solennemente pari dignità alla scelta repubblichina, definita semplicemente diversa, rispetto alla scelta partigiana e per tributargli onori e riconoscenza in quanto avrebbe servito ugualmente l'onore della patria. Gli è servita solo come cavallo di Troia per battere ancora una volta sul tasto della "riconciliazione'' tra antifascisti e fascisti, nel nome di quell'"unità nazionale'' tanto più invocata oggi che il Paese è in stato di guerra. Non a caso, se da una parte l'intervento di Ciampi ha destato perplessità e inquietudine in associazioni partigiane, in ambienti democratici e antifascisti, e persino nei DS, ma non in Fassino che si è schierato con Ciampi, dall'altra è stato accolto favorevolmente dalla stampa di regime e addirittura con entusiasmo dalla destra neofascista, guerrafondaia e nostalgica.
Particolarmente commosso è stato il commento dell'ex repubblichino e attuale ministro per gli Italiani nel mondo, Mirko Tremaglia, per il quale "le parole di Ciampi sono il suggello, l'atto conclusivo della riconciliazione nazionale a cinquant'anni dalla guerra civile che vide da una parte i combattenti contro il nazifascismo e dall'altra i giovani della Repubblica sociale, comunque uniti dall'amor di patria''. L'ex "ragazzo di Salò'' ha anche paragonato le parole di Ciampi a quelle che gli rivolse il diessino Violante, quando in chiusura di legislatura alla Camera gli disse che "noi dobbiamo tramandare i valori per i quali abbiamo combattuto da diverse parti, ma che si identificano nella storia del nostro Paese, così come si identificano nella sua vita''. "Oggi finalmente - ha concluso Tremaglia - c'è una parola definitiva che viene da Ciampi, che già in passato aveva affermato che il valore della Patria è una costante della nostra storia, dal Risorgimento a oggi''.

UNA CAMPAGNA MARTELLANTE
Ed è vero. Ciampi non è nuovo a questi interventi, da noi puntualmente denunciati, per la riabilitazione del fascismo e l'esaltazione del concetto di "patria'', nel quadro di una ricostruzione della storia del nostro Paese in cui la parentesi resistenziale non segni più una rottura netta con il periodo fascista, ma sia cancellata e riassorbita in un'unica "storia patria'' senza soluzioni di continuità dal Risorgimento alla seconda repubblica, dominata da un unico sentimento: l'"unità della nazione'', l'"amore per la Patria'', che non sarebbero venuti meno neanche dopo l'8 settembre e la vergognosa fuga del re a Brindisi, che lasciò l'esercito regio allo sbando e consegnò mezzo Paese in mano all'invasore nazista.
Così è stato il 17 febbraio dell'anno scorso, quando Ciampi si recò al "sacrario'' di El Alamein a rendere omaggio ai caduti dell'esercito di Mussolini in Nord Africa; e una settimana dopo a Trieste, quando secondo lo stesso copione recitato a Lizzano Belvedere rese contemporaneamente omaggio alle vittime del lager nazista della risiera di San Sabba e ai fascisti giustiziati dai partigiani alla foiba di Basovizza, equiparandoli a "vittime di tutti i totalitarismi''.
Ricordiamo poi il suo discorso del 1° marzo 2001 nell'isola greca di Cefalonia, dove volle celebrare il massacro della divisione "Acqui'' da parte dei nazisti come il "primo episodio della Resistenza'', allo scopo strumentale di rivalutare storicamente l'esercito regio mussoliniano, di cui egli fece parte come ufficiale in Albania, come principale artefice della Resistenza in contrapposizione ai partigiani comunisti. In questo quadro si inscrive anche, un mese prima, il suo telegramma di cordoglio a Vittorio Emanuele di Savoia per la morte dell'ex regina Maria Josè, e la sua precedente visita al cimitero dei caduti dell'Armir (il corpo di invasione inviato da Mussolini in Russia), a Tambov.
Ricordiamo infine la sua intervista al "Corriere della Sera'' del 9 dicembre 2000, in occasione del suo 80° compleanno, in cui teorizzò che l'8 settembre 1943 non segnò affatto la "morte della Patria'', bensì il momento in cui "la Patria rinacque''. In quell'occasione non solo non rinnegò nulla del suo passato di adesione alla "Patria'' fascista, compresi il suo soggiorno-premio nella Germania hitleriana come studente modello della Normale di Pisa, e il suo servizio nell'esercito fascista come ufficiale degli autieri in Albania, ma evitando accuratamente ogni giudizio di condanna del regime fascista e sottacendo il ruolo chiave della lotta partigiana nella Resistenza, da lui ridotta alle insignificanti scaramucce combattute dal ricostituito esercito regio sotto la copertura degli Alleati, arrivò ad affermare: "L'Italia che sognavo allora, libera, né fascista né comunista, alla fine siamo riusciti a costruirla. è un grande Paese e, ciò che più conta, comincia ad esserne sempre più consapevole''. Queste parole moltiplicano i nostri dubbi sui trascorsi partigiani dell'allora ufficiale dell'esercito di Mussolini in Albania Ciampi e sul suo ruolo effettivo nella Resistenza. Dubbi che, dopo questa sortita forcaiola, condivide e affaccia esplicitamente Antonio Tabucchi, in un articolo fortemente critico apparso su "l'Unità'' del 21 ottobre: "Non so in quale misura Ciampi abbia partecipato alla Resistenza: se vorrà scrivere le sue memorie gli storici le prenderanno in considerazione per valutarne l'effettiva importanza''.

INTERVENTO "SUGGERITO'' DAI FASCISTI
I suoi interventi, insomma, proseguono e sviluppano quelli dei suoi predecessori Cossiga e Scalfaro, nonché quelli del rinnegato ex presidente della Camera, il diessino Violante, che per anni hanno martellato il Paese per far passare il principio del seppellimento della Resistenza e dell'antifascismo e della "riconciliazione nazionale''. Non a caso i fascisti nostrani, da Fini a Tremaglia, lo venerano come un "garante'' di tutti gli italiani.
Nel caso in questione, poi, l'intervento dell'inquilino del Quirinale è stato chiaramente concordato con gli eredi di Mussolini, visto che lo spunto a Ciampi è venuto da una lettera-supplica inviatagli all'indomani della sua visita a Cefalonia dal senatore Piero Pelliccini, in cui come capogruppo di AN della commissione Difesa del Senato si lagnava che i combattenti della Rsi non fossero nominati tra quelli della seconda guerra mondiale proposti in un ddl per la concessione dell'onoreficenza dell'Ordine del tricolore. "Certamente - scriveva Pelliccini citando proprio il capo dello Stato sul concetto di 'rinascita della Patria' - questa si espresse nella Resistenza e nelle sue varie forme e diramazioni. Ma, a mio modo di vedere, si concretò anche nel sacrificio dei ragazzi che andarono a Salò, spinti dal concetto di Patria ed Onore''.
"Le chiedo, Presidente - concludeva con un chiaro invito la lettera tenuta fino ad oggi segreta da Ciampi - una parola pubblica di pace e di rispetto anche per coloro che ritennero di fare il proprio dovere combattendo dall'altra parte''. Parole che a ben vedere sono praticamente le stesse usate poi da Ciampi a Lizzano Belvedere, cosa di cui infatti il senatore neofascista lo ha ringraziato commosso in una successiva telefonata.
Per le stesse ragioni non è un caso che, proprio in contemporanea con l'uscita di Ciampi, in un'assemblea di membri dell'organizzazione paramilitare golpista Gladio, riuniti a Pordenone, sia stato chiesto un incontro ufficiale al Quirinale per chiedere una loro piena riabilitazione e "un atto ufficiale dello Stato che riconosca la qualifica di militare a ogni gladiatore'', e che la loro opera è stata un'"opera meritoria in difesa della Patria''.

24 ottobre 2001