Xi, capofila del socialimperialismo cinese, fa affari a Mosca e in Africa per superare economicamente l'imperialismo americano
Vertice dei Brics anti-G20 per un nuovo istituto bancario alternativo alla Banca mondiale

Al termine dell'incontro dei ministri delle finanze dei paesi del gruppo chiamato Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) di Durban il presidente sudafricano Jacob Zuma annunciava che "non molto tempo fa abbiamo discusso la creazione di una banca di sviluppo e oggi siamo pronti per il lancio". Non tutte le questioni sono state chiarite e l'atto di nascita formale è rimandato al vertice del 2014 in Brasile ma l'obiettivo di creare una nuova banca di sviluppo alternativa al monopolio detenuto dalle istituzioni finanziarie occidentali si può dire avviato dal quinto vertice dei Brics svoltosi il 27 e il 28 marzo nella città sudafricana di Durban. Questa è stata la principale decisione presa dai capi di Stato dei cinque paesi che, assieme a altre, ha un valore politico particolare perché esprime la volontà delle cinque potenze emergenti di cominciare a costruire nei fatti un gruppo alternativo al G20 dominato dai concorrenti imperialisti Usa e delle altre potenze occidentali. Lo conferma il documento finale del vertice laddove afferma che istituzioni come Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sono irrilevanti davanti ai problemi dell'economia globale, strumenti economici e politici oramai usurati.

Interscambi commerciali senza l'uso del dollaro
La nuova banca disporrà di riserve in monete dei cinque paesi e di fondi per il finanziamento dei progetti di sviluppo al fine di soddisfare le esigenze delle economie emergenti e povere. Ciascuna delle cinque nazioni contribuirà con una quota fino a 10 miliardi di dollari nel lancio della Banca che opererà con monete nazionali. Le stesse usate negli scambi commerciali bilaterali e multilaterali. Se il varo definitivo del progetto è demandato al vertice del 2014 in Brasile, la pratica degli scambi commerciali in monete nazionali è partito subito con l'intesa tra Cina e Brasile, le due più grandi economie dei Brics, di condurre già la metà dei loro scambi commerciali senza utilizzare il dollaro.
Nel frattempo i Brics hanno dato vita a un fondo di emergenza anti crisi. L'idea di dare vita a una rete di sicurezza finanziaria era già nata da una loro riunione in margine al vertice G20 di Los Cabos, in Messico, nel giugno 2012. Allora incaricarono i loro ministri delle finanze e le rispettive banche centrali di esplorare la possibilità di stabilire un Accordo di Riserva Contingente (CRA). Accordo fatto e sottoscritto a Durban con la costituzione di un fondo iniziale di 100 miliardi di dollari. Dei quali quasi la metà, 41 miliardi sarà messo dalla Cina, 5 miliardi dal Sudafrica e 18 ciascuno gli altri paesi.
I Brics hanno deciso inoltre di costituire un nuovo Consiglio per gli affari composto da cinque membri per ciascun paese che si riunirà due volte all'anno per indicare i punti necessari al rafforzamento delle relazioni commerciali, la promozione dei rapporti commerciali, del trasferimento tecnologico e della cooperazione nei settori bancario, dell'economia verde, della produzione e dell'industrializzazione.
Nel 2002 i Brics avevano un volume di interscambio commerciale di 27 miliardi, salito nel 2012 a 282 miliardi con l'obiettivo di arrivare a 500 miliardi nel 2015. In poco più di dieci anni la somma del prodotto interno lordo (pil) dei Brics è cresciuto da circa 3.000 miliardi di dollari a più di 13.000 miliardi. Gli investimenti diretti esteri nelle cinque nazioni sono più che triplicati arrivando nel 2012 a una cifra stimata di 263 miliardi. I cinque paesi Brics insieme sono il 43% della popolazione mondiale, il 17% degli scambi mondiali e il 25% del pil mondiale. Le loro banche hanno in tasca più di 4mila miliardi di riserve valutarie. E bussano alla porta per entrare altri colossi quali Indonesia e Nigeria.
Hanno un peso economico consistente, non ancora uno equivalente sul piano politico. Ma fanno progressi come a Durban dove nel comunicato finale parlano della crisi in Siria e riaffermano la loro "opposizione a qualsiasi ulteriore militarizzazione del conflitto", alla soluzione militare appoggiata dai paesi imperialisti occidentali e dai paesi arabi reazionari e sostengono che la soluzione non è la guerra ma gli accordi fra le parti. Riguardo al caso dello sviluppo del nucleare civile iraniano i Brics hanno espresso la loro preoccupazione per il rischio di un'escalation militare minacciata da Usa e Israele, affermano che "crediamo che non ci sia alternativa ad una soluzione negoziata della questione nucleare iraniana", non sono favorevoli alle sanzioni e riconoscono "il diritto dell'Iran ad utilizzare l'energia nucleare per scopi pacifici nel quadro degli obblighi internazionali".

L'attivismo del socialimperialismo cinese
Nel gruppo dei cinque paesi quella maggiormente attiva è senza dubbio la Cina socialimperialista del nuovo presidente Xi Jinping che prima di sbarcare a Durban ha fatto il giro da Mosca a altri paesi africani per stringere nuovi accordi e puntare al sorpasso economico del concorrente imperialismo americano per diventare la numero uno nel mondo. Un obiettivo che Pechino conta di raggiungere già nel 2016 puntando in particolare sugli affari in Africa, mercato per le sue esportazioni e fonte di approvvigionamento di materie prime.
Il 26 marzo Xi è sbarcato a Mosca dove ha curato la definizione di un accordo col gigante di stato russo nelle forniture di gas, la Gazprom, un accordo di 30 anni di fornitura che porterà le consegne annuali dai 38 miliardi di metri cubi di gas a partire dal 2018 ai 60 miliardi di metri cubi all'anno a regime. La Germania, uno dei principali clienti del gas russo, nel 2012 ne ha importati 33 miliardi di metri cubi. Altro fornitore privilegiato di Pechino sarà il principale produttore di petrolio grezzo della Russia, la Rosneft, che aumenterà le esportazioni verso la Cina di 34 milioni di tonnellate, raggiungendo le 50 milioni di tonnellate entro il 2018. Il volume del commercio tra i due paesi dovrebbe arrivare a 200 miliardi di dollari entro il 2020, a suggello di una cooperazione non solo economica contro l'asse avversario formato da Giappone e Usa.
Sbarcato in Tanzania il presidente cinese ha affermato che "ogni volta che vengo in Africa mi colpisce il continuo progresso. La Cina rafforzerà i rapporti commerciali, opponendosi alla prepotenza dei grandi sui piccoli e dei più ricchi sui più deboli", come se il socialimperialismo cinese non fosse uno dei grandi e dei ricchi. Negli ultimi dieci anni Pechino ha concesso 67 miliardi di crediti all'Africa subsahariana, rispetto ai 55 erogati dalla Banca Mondiale e lo scorso anno gli investimenti diretti cinesi in Africa sono arrivati a 16 miliardi, trasformando il continente africano nella grande miniera della adesso seconda economia mondiale. La Cina in cambio costruisce strade e ferrovie, porti e aeroporti, città e distretti industriali, fino a pianificare sette "zone economiche speciali", dall'Algeria alle Mauritius, per sostituire le vecchie potenze coloniali, gli Usa e precedere l'espansione della concorrente India.

3 aprile 2013