L'esercito di Assad bombarda la città di Homs, centinaia di morti
Col popolo siriano ma contro l'intervento armato dell'imperialismo

La città di Homs, la roccaforte della protesta contro il regime di Assad, è stata investita ai primi di febbraio da una pesante offensiva da parte dell'esercito governativo che con l'artiglieria e i mortai ha bombardato vari quartieri. Secondo fonti dell'opposizione i morti sarebbero circa 300, e diverse centinaia i feriti. Numeri maggiori sulle vittime sono stati diffusi da varie televisioni arabe, in una guerra anche delle cifre, non verificabili, che ha spinto persino l'Onu a cessare il macabro conteggio dopo aver dato nel gennaio scorso la cifra di 5400 morti dall'inizio delle proteste.
Certa è l'ampiezza della protesta popolare rappresentata dai Comitati di coordinamento nazionali (Ccn) all'interno del paese e dal Consiglio nazionale siriano (Cns), l'opposizione dell'esterno, basata a Istanbul. Come certa è la violenta repressione del governo di Assad della protesta e delle manifestazioni che ogni venerdì, da quasi un anno a questa parte, si svolgono in varie città del paese, da Homs ai quartieri periferici della capitale Damasco, a Idlib, Aleppo, Hama e Daraa.
L'attacco dell'esercito e il bombardamento di Homs hanno avuto ancora più rilievo perché in contemporanea si chiudeva all'Onu la discussione su una bozza di risoluzione sulla Siria che nelle intenzioni dei paesi imperialisti, Usa e Francia in testa, avrebbe dovuto rappresentare un ulteriore passo in vista di un possibile intervento, naturalmente "umanitario", a sostegno della popolazione siriana. Un meccanismo che abbiamo già visto all'opera e che ha portato fino all'aggressione militare camuffata da "guerra umanitaria" della Nato contro il regime di Gheddafi in Libia.
Il percorso si è inceppato per il veto posto in Consiglio di sicurezza dalla Russia e dalla Cina alla risoluzione di condanna della Siria presentata dal Marocco. Nel caso della Libia i due paesi si erano astenuti, avevano cioè dato il via libera all'intervento; in questo caso la Russia, cui si accodava la Cina, puntava i piedi, riusciva a togliere dal documento qualsiasi riferimento a un intervento armato ma non alla richiesta delle dimissioni di Assad, l'ultimo alleato rimastogli in Medio Oriente. E alla fine la minaccia di porre il veto faceva finire la risoluzione in un cassetto. Nel quale non è detto resti per sempre, la minaccia di un inammissibile intervento armato dell'imperialismo è solo momentaneamente sospesa.
Il meccanismo a orologeria avviato dai paesi imperialisti, come nel caso della guerra alla Libia, era stato innescato dalla Lega araba e dai paesi arabi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), con alla testa Arabia saudita e Qatar. Al segretario generale della Lega, l'egiziano Nabil al Arabi, e al primo ministro del Qatar, Hamad al Qassem, il compito di presentare all'Onu un piano di pace che prevedeva le dimissioni di Assad, la sua sostituzione con il vice-presidente Farouk al Sharaa e la formazione di un governo di "unità nazionale" insieme all'opposizione per guidare la transizione "verso la democrazia". Come in Libia. Al Marocco il compito di inserire le proposte nella bozza di risoluzione.
I registi dell'operazione sono però gli Usa e la Francia, con un contributo particolare dell'Arabia saudita, alleata strategica dell'imperialismo americano, che dietro le quinte opera alla guida dei paesi arabi reazionari di fede islamica sunnita contro in particolare quelli progressisti o a guida sciita. Come la Siria degli Alawiti di Assad e l'antimperialista Iran, il vero obiettivo finale.
Il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha bollato come una "parodia" il voto dell'Onu, un voto serio solo quando risponde ai desideri imperialisti. Mentre il presidente americano Barack Obama ha "ordinato" a Assad di "lasciare subito e consentire una transizione democratica". Infuriato per il veto anche il ministro degli Esteri francese, Alain Juppè. Con calma ha reagito il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi che però si è unito al coro degli "interventisti umanitari" e ha affermato che "la popolazione siriana non può più attendere: la comunità internazionale deve assolutamente trovare la capacità di rispondere alla gravissima crisi, politica e umanitaria, in corso".
Col popolo siriano ma contro l'intervento armato dell'imperialismo.

8 febbraio 2012