Conferenza Onu sul clima a Durban
Il nuovo trattato sui tagli dei gas serra diventerà operativo solo nel 2020

Le aspettative della vigilia sul risultato dei lavori della 17° Conferenza delle Parti Onu (Cop) sul clima che si è tenuta a Durban in Sudafrica erano pressoché nulle, in linea con i fallimenti delle ultime due sessioni di Copenaghen e Cancun, che non erano andati oltre i già insufficienti impegni sul taglio delle emissioni inquinanti, dei cosiddetti gas serra, presi nel vertice di Kyoto del 2002. I maggiori paesi industriali, i maggiori inquinatori, non vogliono impegni di nessun tipo così il documento finale della Cop 17, il Durban Package, registra questa situazione e definisce un generico impegno per i 194 paesi della Cop a discutere entro il 2015 di un nuovo protocollo che diventerà operativo solo nel 2020.
La conferenza apertasi il 27 novembre e chiusa nella notte del 10 dicembre con un giorno di ritardo sul calendario dei lavori ha prodotto un documento nel quale si afferma tra l'altro che vanno salvati i principi e i tagli alle emissioni decisi a Kyoto. Una farsa dato che secondo la denuncia delle organizzazioni ambientali le emissioni dei gas inquinanti continuano a crescere, nell'ultima decade interessata dal protocollo di Kyoto, del 3% medio annuale, contro l'1% degli anni '90. E con una crescita record nel 2010 quando sono cresciute del 5,9% rispetto al 2009.
L'accordo di Kyoto scade nel 2012 ma il documento della Cop di Durban non prevede alcuna misura transitoria almeno fino al 2015, l'anno indicato per la stipula un nuovo accordo. In ogni caso non ci sono riferimenti a eventuali penali per quei paesi che non riducono le emissioni, rendendo l'intesa un documento vuoto. Kyoto è roba del passato, ha dichiarato il rappresentante del governo del Canada che non a caso è uno dei principali inquinatori; quel protocollo muore anzitempo e è seguito dal nulla.
Vari studi scientifici indicano che le emissioni inquinanti dovrebbero iniziare a calare effettivamente già a partire dal 2015 affinché non diventi impossibile invertire la rotta che porta al tracollo climatico del pianeta. Avviato da un surriscaldamento che tra 9 anni potrebbe essere di almeno 4°.
Questo denunciavano gli oltre 10 mila manifestanti che il 3 dicembre sfilavano a Durban fino all'ingresso del centro conferenze che ospitava il summit dell'Onu per la manifestazione indetta dai movimenti sociali sudafricani; altre manifestazioni si svolgevano in contemporanea in diversi paesi tra cui Stati Uniti, India e Svizzera. I dimostranti di Durban chiedevano giustizia climatica, ossia il diritto alla salute, a un ambiente salubre, a cibo sano, ai servizi di base e ad un lavoro dignitoso e ambientalmente sicuro.
Alla conferenza sudafricana i paesi dell'Alba, l'Alleanza Bolivariana per le Americhe, chiedevano tagli delle emissioni inquinanti ai paesi industrializzati e un sistema di controlli per garantire il rispetto degli impegni assunti. Molti Stati insulari e dell'Africa denunciavano la situazione di grande pericolo di una crisi climatica che minaccia i loro territori destinati ad essere sommersi o desertificati. Molti dei delegati dei 193 paesi presenti a Durban denunciavano che il clima causa la morte di 350 mila persone ogni anno, oltre che crescenti e sempre più drammatici flussi migratori. Voci e denunce inascoltate dai paesi imperialisti, dalle maggiori potenze industriali.
Solo due anni fa a Copenaghen, alla Cop 15 c'erano quasi tutti i presidenti dei paesi partecipanti, Barack Obama era appena stato eletto alla Casa Bianca e assieme agli altri ripeteva che quella climatica era la più grande minaccia da affrontare. Parole lasciate cadere nel vuoto in poco tempo da Obama e dagli altri paesi, presenti con delegazioni di secondo piano a Cancun e a Durban. Dove il passo lo ha dettato la Cina.
Il capodelegazione cinese a Durban si è presentato affermando che la Cina ha migliorato la sua efficienza energetica del 19% dal 2005, riducendo le emissioni di 1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, e ha programmato un ulteriore miglioramento di almeno il 40% entro il 2020. Annunciava inoltre la disponibilità del governo di Pechino a definire un accordo con alcuni vincoli a partire dall'inizio del prossimo decennio, dal 2020. Da sottolineare che per la Cina capitalista, che è il principale paese inquinatore mondiale, l'economia "verde" è un affare tanto che è il maggiore produttore mondiale di fotovoltaico e leader dell'eolico; il governo di Pechino lo scorso anno ha investito in tecnologie per l'energia "pulita" 50 miliardi di dollari contro i 17 miliardi degli Usa.
Gli Stati Uniti anche con la presidenza Obama sono ostili a ogni accordo vincolante a difesa del clima, tirano la fila dei paesi che frenano sugli impegni delle emissioni dei gas serra, dalla Russia al Canada. Con la Cina totalizzano il 44% del totale delle emissioni dei gas serra. L'ipotesi di iniziare a discutere nel 2015 di un nuovo protocollo che diventerà operativo solo nel 2020 non disturba.
E il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon a Durban non può che registrare il fallimento della sua conferenza.

14 dicembre 2011