Il leader della destra è un delinquente certificato
La Cassazione conferma la condanna di Berlusconi per frode fiscale
Il neoduce non molla, anzi rilancia Forza Italia. Il PD non si vergogna a sostenere ancora il governo Letta-Berlusconi
Napolitano non esclude la grazia, blinda il governo e raccomanda le "riforme " costituzionali e sulla giustizia

Dalle 19,40 di giovedì 1° agosto 2013 Silvio Berlusconi è ufficialmente un delinquente a tutti gli effetti, condannato in via definitiva dopo tre regolari gradi di giudizio per frode fiscale ai danni dello Stato, reato particolarmente infamante per un uomo delle istituzioni quale lui è stato e un senatore della Repubblica quale ancora abusivamente è.
A certificarlo in modo non più ormai appellabile è stata la Corte di cassazione, che ha confermato la condanna inflittagli dalla Corte di appello di Milano a 4 anni di reclusione, di cui 3 coperti dall'indulto, nel processo per i diritti televisivi Mediaset. Dei ben 94 (novantaquattro!) motivi di ricorso presentati dalla sua difesa, che puntava all'annullamento della sentenza di 2° grado e alla piena assoluzione dell'imputato ultra "eccellente", o almeno al rinvio del processo in appello (con susseguente prescrizione quasi certa), la Cassazione ha accolto solo quello inerente la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, confermandola nella sostanza ma giudicando errata la durata di 5 anni e rinviando questa sola parte a una diversa sezione della Corte di appello di Milano per il ricalcolo della durata stessa, che dovrà essere compresa tra 1 e 3 anni. In attesa che si compia questa procedura è sospesa anche la pena detentiva ad un anno, che l'imputato potrebbe scontare, ma solo a discrezione del giudice di sorveglianza, anche agli arresti domiciliari, oppure, a sua richiesta, con l'affidamento ai servizi sociali.
Anche le motivazioni della sentenza, rese note dalla Cassazione il 29 agosto e firmate da tutti e 5 i giudici della Corte, non lasciano scampo a interpretazioni riduttive e di comodo sulla colpevolezza del condannato, confermando e anzi rafforzando, definendole di "assoluta linearità logica", le motivazioni con cui la Corte d'appello di Milano aveva emesso la sentenza di 2° grado che bollava Berlusconi come delinquente matricolato, un soggetto cioè che ha mostrato "particolare capacità di delinquere nell'architettare" e "ideare una scientifica e sistematica evasione fiscale di portata eccezionale" allo scopo di precostituirsi "un'immensa disponibilità economica all'estero" per poter esercitare la sua ben nota opera corruttiva a tutti i livelli, e in particolare in ambito politico.

Intervento a gamba tesa di Napolitano
In qualsiasi altro paese al mondo, posto che uno così avesse potuto imperversare impunemente per vent'anni come gli è stato consentito, dopo una sentenza simile avrebbe dovuto dimettersi immediatamente da ogni carica politica. Magari, poiché invece siamo in questa Italia capitalista e si tratta di Berlusconi, con tutte le garanzie di Napolitano e del PD e sperando di rientrare in campo in tempi migliori, come già aveva fatto dimettendosi da premier a novembre 2011. Forse è a questo che mirava il capo dello Stato con la dichiarazione emessa a tambur battente subito dopo la sentenza, che esordendo con le solite banalità sulla "fiducia e rispetto" dovuti alla magistratura e alla sua indipendenza, per poi in realtà picchiare duro su di essa e ingerirsi a gamba tesa nell'interpretazione della sentenza, blandiva il neoduce lodando il clima "più rispettoso e disteso" con cui, a differenza di altri processi, aveva affrontato questo procedimento (solo perché era convinto che sarebbe stato assolto, ndr), e gli prometteva che ora possono "aprirsi condizioni più favorevoli per l'esame, in parlamento, di quei problemi relativi all'amministrazione della giustizia" già affrontati dalla commissione di "saggi" da lui istituita il 30 marzo scorso.
In altre parole il nuovo Vittorio Emanuele III gli suggeriva di continuare a tenere un atteggiamento "responsabile", di farsi un anno ma forse anche molto meno di dorati arresti domiciliari, o di "servizi sociali", e intanto lavorare sottobanco col Quirinale e col governo delle "larghe intese", che lui avrebbe sempre potuto dirigere tramite il PDL, per arrivare a mettere urgentemente la mordacchia ai magistrati attraverso una controriforma della giustizia. Prima che altre condanne definitive e ben più pesanti possano cadergli sul collo, visti i numerosi procedimenti aperti a suo carico, a partire dal processo Ruby per concussione e prostituzione minorile, e per il quale è già stato condannato in 1° grado dal tribunale di Milano a 7 anni di carcere e all'interdizione perpetua. Tra l'altro per la stessa legge Severino cosiddetta "anticorruzione", approvata da pochi mesi anche coi voti del PDL perché convinto di averla sufficientemente depotenziata per essere applicabile a Berlusconi, il neoduce dovrebbe essere immediatamente dichiarato decaduto dalla carica di senatore, avendo riportato una condanna definitiva superiore a due anni. E questo anche senza aspettare le nuove sentenze in Appello e in Cassazione sul ricalcolo dell'interdizione da 1 a 3 anni, dopo le quali la sua decadenza sarà automatica.

Guerra furibonda per l'impunità
Ma il neoduce di Arcore non ne vuol sapere di farsi da parte spontaneamente, teme che perdendo il seggio in Senato possa essere perfino colpito da un mandato d'arresto dei pm che lo indagano, ed ha immediatamente scatenato una furibonda guerra, mobilitando tutte le sue truppe e mettendo in campo tutti i suoi smisurati mezzi economici, mediatici, politici e giuridici per rifiutare l'applicazione della sentenza e garantirsi quella che il suo giannizzero Bondi ha chiamato "piena agibilità politica", agitando la minaccia in caso contrario di una "guerra civile dagli esiti imprevedibili per tutti". E ha cominciato subito, la sera stessa della sentenza, presentandosi sulle sue televisioni con un videomessaggio "agli italiani" in cui si è proclamato "innocente" accusando la magistratura di avergli scatenato per 20 anni un "accanimento giudiziario senza uguali", e ha annunciato mussolinianamente l'imminente ricostituzione del partito di Forza Italia ancora una volta per "cambiare il paese". E convocando subito per la domenica successiva a Roma un'adunata di stampo fascista davanti alla sua residenza romana di Palazzo Grazioli, senza che Napolitano ci trovasse nulla da ridire, con l'obiettivo di fare pressione sul parlamento e sul Quirinale per avere un provvedimento di grazia, o una commutazione della pena da detentiva a pecuniaria, o un'amnistia o un qualunque altro espediente atto a evitargli l'applicazione della sentenza, e soprattutto a non farsi estromettere dalla vita politica.
Nei giorni successivi la sua strategia di resistenza e contrattacco si è dispiegata appieno su più fronti: intanto mettendo in moto la macchina del fango mediatica contro i giudici e la magistratura, e personalmente contro il presidente della Corte che lo ha condannato, Antonio Esposito, al fine di screditare la sentenza. Contro questi forsennati attacchi l'Associazione nazionale magistrati ha risposto con diversi comunicati di protesta, tra cui questo particolarmente significativo del suo presidente Sabelli, anche in riferimento implicito alle indebite ingerenze di Napolitano: "È proprio dei regimi (la stampa berlusconiana aveva accusato la magistratura di essere "un regime", ndr) pretendere che il consenso popolare crei delle aree di intangibilità. Ripeto che non è delle democrazie pretendere che il consenso popolare escluda qualcuno dalla responsabilità anche penale. Se mettiamo insieme le campagne intimidatorie contro di noi di alcuni giornali, la minaccia di una riforma 'punitiva' della giustizia, addirittura la richiesta che vengano 'segnate' le case dove abitiamo, ne esce un quadro generale che offre un'immagine indegna dell'Italia e della sua Storia".

Un paese ostaggio del delinquente di Arcore
Ma queste proteste dell'Anm sotto schiaffo del delinquente non trovavano orecchie nel Consiglio superiore della magistratura presieduto da Napolitano, così sollecito invece nell'adottare la procedura d'urgenza per punire il giudice Esposito per una sua incauta intervista a un quotidiano, mentre intanto il neoduce spediva i suoi emissari Brunetta, Schifani e Gianni Letta al Quirinale per sollecitare un intervento a suo favore, ottenendo peraltro rassicurazioni sull'"estrema attenzione" con cui il colle avrebbe esaminato il suo caso. Inoltre alternava sapientemente il bastone e la carota con il premier Enrico Letta (e per suo tramite col PD), ora minacciandolo di staccargli la spina e far cadere il governo, ora rassicurandolo sulla sua durata, se Letta ed Epifani si faranno carico di garantire la sua "agibilità politica", per esempio non votando per la sua decadenza, o quantomeno bloccando o rinviando di mesi la procedura dell'applicazione della legge Severino da parte della Giunta per le elezioni del Senato.
Una strategia che ha dato subito i suoi primi frutti, con una dichiarazione rilasciata il 13 agosto da Napolitano in cui, respingendo ogni ipotesi di caduta del governo Letta-Berlusconi e di "ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle Camere", perché ci sono in ballo "importanti provvedimenti, ed essenziale è procedere con decisione lungo la strada intrapresa, anche sul terreno delle riforme istituzionali", il nuovo Vittorio Emanuele III, pur premettendo formalmente che "non può che prendersi atto" di "qualsiasi sentenza definitiva", apre in realtà ampie e promettenti praterie davanti a Berlusconi. Innanzi tutto riconoscendogli il diritto di manifestare "riserve e dissensi" e al suo partito di protestare anche in piazza contro la sua condanna, tanto più perché lui "ha guidato il governo" ed "è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza". E con ciò dando il suo avallo alla tesi aberrante e mussoliniana del neoduce secondo cui egli non può scontare la condanna come un cittadino qualsiasi perché è votato da milioni di elettori, come se ciò lo ponesse al di sopra della legge.
Dopodiché, rassicurandolo del tutto arbitrariamente che "la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva", gli promette che un'eventuale domanda di grazia, se gli verrà presentata o da lui, o dai suoi familiari o dai suoi legali, sarà valutata in modo "obiettivo e rigoroso". Un intervento, quindi, smaccatamente indebito e presidenzialista, che pone di fatto il delinquente Berlusconi al di sopra della legge e della Costituzione indicandogli come beffarle col suo aiuto; tanto più scandaloso se è vero quel che ha rivelato sfacciatamente Il Giornale della famiglia Berlusconi, secondo cui il comunicato di Napolitano "è un testo concordato e che Silvio Berlusconi ha già letto in diverse stesure, fino a quella definitiva".
Anche sul fronte della Giunta per le elezioni, presieduta dal vendoliano Stefàno, il fuoco di sbarramento e i ricatti di Berlusconi hanno funzionato, guadagnando subito un rinvio dell'esame del suo caso di un mese, al 9 settembre, con la scusa delle ferie e di dargli il tempo di preparare una linea difensiva. Per dimostrare cosa, dal momento che è già stato condannato in via definitiva?
Sul rinvio della discussione di un mese hanno votato tutti all'unanimità, compresi non solo i membri del PD ma anche quelli del Movimento 5 Stelle. Sorprendente ma fino a un certo punto, vista la posizione ambigua e opportunista di Grillo, che alla notizia della condanna del neoduce ha commentato sul suo blog: "Berlusconi è morto. Viva Berlusconi! La sua condanna è come la caduta del muro di Berlino nel 1989". Dando così per scontata la sua uscita di scena per via giudiziaria, come tanti altri prima di lui hanno fatto illusoriamente nel passato.

Trattativa sottobanco per rinviare la decadenza
Anche l'accordo sulla cancellazione (fittizia) dell'Imu, che ha visto l'ennesimo cedimento del PD e ha permesso al neoduce di vantarsi di aver tenuto fede alle sue promesse elettorali, rappresenta un successo della sua controffensiva basata sul ricatto continuo di far cadere il governo: un bluff, dal momento che questo governo, da lui "fortissimamente voluto", come ha dichiarato firmando i referendum radicali sulla giustizia, gli garantisce l'impunità e ne è lui stesso l'azionista di maggioranza, colui che ne detta i temi e la linea. Ma un bluff che tuttavia funziona in pieno, visti gli spiragli aperti dal Quirinale a un provvedimento di "clemenza", sollecitato apertamente anche da Monti e da Casini. Viste le proposte di una nuova amnistia avanzate dai ministri Mauro e Cancellieri. E vista soprattutto la trattativa tra PD e PDL che si sta svolgendo sottobanco, con la mediazione occulta del Quirinale, per allontanare nel tempo il voto sulla sua decadenza; trattativa attualmente incentrata sul cosiddetto "lodo Violante", cioè la proposta ufficializzata dall'ex presidente della Camera di accogliere la richiesta pretestuosa del PDL di rinviare la legge Severino alla Corte costituzionale e bloccare così per alcuni mesi la sua applicazione a Berlusconi. In attesa che maturi il salvataggio definitivo da parte di Napolitano.
Si tratta di un'ipotesi che si va sempre più facendo strada nel PD, che vede con terrore la prospettiva di votare sulla decadenza del neoduce, perché se vota sì costui minaccia di far cadere immediatamente il governo e la legislatura, se vota no sa che il suo elettorato gliela farebbe pagare cara. Per questo non solo non si vergogna di stare ancora al governo con il delinquente Berlusconi, ma per salvare il governo Letta-Berlusconi è pronto a tradire ancora una volta la volontà dei suoi militanti ed elettori concedendo altro respiro al delinquente e lasciando che a gestire il suo salvataggio sia il rinnegato Napolitano, avvalendosi di quei poteri presidenzialisti che la destra e la "sinistra" borghesi gli hanno tacitamente conferito con la sua rielezione.

4 settembre 2013