Iniziato il cammino verso il 16° Congresso della Cgil
Sosteniamo il documento alternativo "La Cgil che vogliamo". Ma il nostro modello di sindacato è diverso

Il cammino del 16° Congresso nazionale della Cgil, il sindacato italiano più forte e più rappresentativo (5.734.855 iscritti tra lavoratori attivi e pensionati), può dirsi iniziato ufficialmente. Il via gli è stato dato nella riunione del direttivo nazionale del 9-10 novembre scorso con l'approvazione dei materiali necessari per il suo svolgimento: i documenti politici che propongono la linea congressuale, il regolamento, il calendario dei congressi ai vari livelli territoriali di categoria e confederali che da dicembre si alterneranno fino all'8 maggio 2010 giorno fissato per tenere il Congresso nazionale a Rimini.

Due documenti contrapposti
Prima rilevante novità di questo congresso, la presentazione di due documenti politici congressuali "globalmente alternativi", così li ha definiti la commissione politica incaricata di stendere i materiali congressuali. Non era successo nel 15° Congresso quando "Lavoro e Società" decise di appoggiare la proposta di Epifani, Rinaldini si limitò a presentare alcuni emendamenti e "Rete 28 Aprile" all'ultimo minuto rinunciò a presentare l'annunciato "documento alternativo" per confluire sugli emendamenti del segretario generale della Fiom. Non era successo nemmeno nel 14° Congresso che si svolse su un documento congressuale redatto a tesi sostenuto dall'allora segretario generale Sergio Cofferati. Vi è un documento congressuale recante il titolo: "I diritti e il lavoro oltre la crisi" che ha come primo firmatario l'attuale segretario generale, Guglielmo Epifani, ed è sostenuto dalla maggioranza del gruppo dirigente uscente, della segreteria nazionale, segretari generali di categorie, e di Camera del Lavoro: Susanna Camusso, Carla Cantone, Paola Agnello Modica, Fulvio Fammoni, Agostino Megale, Enrico Panini, Fabrizio Solari. Franco Martini, Alberto Morselli per fare qualche nome, più Nicola Nicolosi coordinatore nazionale di "Lavoro e Società" e Andrea Montagni anche lui esponente di "Lavoro e Società" nonché vice presidente del Comitato direttivo nazionale della Cgil.
Vi è poi l'altro documento, di fatto alternativo, recante il titolo: "La Cgil che vogliamo" primo firmatario Domenico Moccia, segretario generale della Fisac Cgil, il sindacato dei bancari, sostenuto da una minoranza del vertice Cgil: 27 coloro che lo hanno sottoscritto, tutti membri del direttivo nazionale e con cariche di vertice nelle categorie, come Rinaldini segretario generale della Fiom, Carlo Podda segretario generale della Fp, Giorgio Cremaschi della segreteria nazionale del sindacato dei metalmeccanici e leader di "Rete 28 Aprile", come Nicoletta Rocchi che fa parte della segreteria nazionale confederale della Cgil e poi Maurizio Scarpa, Franca Peroni, Vittorio Baldi, Carlo Baldini, Marigia Maulucci, Mauro Guzzonato e altri.

Gli schieramenti congressuali
La seconda novità, anch'essa rilevante riguarda gli schieramenti congressuali che appoggiano i suddetti documenti. E non riguarda tanto quello che si è creato attorno ad Epifani. Già nel precedente congresso, lo abbiamo ricordato sopra, l'ex sinistra sindacale "Lavoro e Società" di Patta e poi di Nicolosi fece un accordo di vertice (il famoso patto dei 12 segretari confederali nazionali) per spartirsi anzitempo le poltrone dei direttivi e delle segreterie. Ora vi è, nella sostanza, una replica di quell'accordo.
Diverso il discorso sui sostenitori del documento alternativo. Nel passato a presentare documenti congressuali alternativi erano state aree della sinistra sindacale, come "Essere sindacato" e "Lavoro e Società". In questo caso l'iniziativa è stata assunta da segretari generali e nazionali di categoria e nel caso della Rocchi della segreteria nazionale confederale, più dirigenti territoriali regionali e di Camera del Lavoro. Insomma uno schieramento ampio quantunque minoritario, che va oltre la sinistra sindacale. In questo contesto si spiega la decisione di "Rete 28 Aprile" di rinunciare a presentare un suo documento per appoggiarne uno che raccoglie un'alleanza più ampia. I detrattori del documento alternativo, con in testa addirittura Nicolosi, criticano l'eterogeneità di questo schieramento, in particolare la presenza di esponenti giudicati della destra Cgil, come Maulucci e Guzzonato, ma anche la Rocchi che ce l'avrebbero con Epifani e vorrebbero fargli pagare l'esclusione dalla segreteria nazionale confederale operata nel 2008 in occasione della Conferenza di organizzazione. L'accusa è ovviamente strumentale e ipocrita. Quanta destra c'è nelle file di Epifani? Quanti carrieristi? Circa l'eterogeneità, che ci fa Nicolosi accanto a un Megale o a un Morselli?
Detto questo, che linee congressuali propongono i due documenti contrapposti? Qui, in prima battuta, ci occupiamo di quello di Moccia, Rinaldini e Podda, "La Cgil che vogliamo", perché le posizioni che esso esprime sono da parte nostra più condivisibili, anche se vi sono aspetti criticabili e non del tutto accettabili e soprattutto il modello di sindacato proposto non è il nostro, perché esso è appoggiato dalla sinistra sindacale di cui le lavoratrici, i lavoratori, i pensionati militanti e simpatizzanti del PMLI fanno parte. Vi è perciò lo spazio e l'esigenza di fare fronte unito. Le sue caratteristiche di fondo sono: una critica all'operato dell'attuale segreteria; una insoddisfazione e un dissenso sulle proposte congressuali di Epifani; la richiesta di fare un congresso vero, con una discussione vera, libera da conformismi e ordini di scuderia; l'esigenza di operare una radicale discontinuità con il passato, superando compatibilità imposte da altri e pratiche concertative fallimentari, e di realizzare cambiamento e innovazione nella linea della Cgil per adeguarla ai tempi che stiamo vivendo per molti versi di tipo straordinario in campo economico, politico e sindacale.

La critica all'operato di Epifani
"La Cgil che vogliamo - è detto in premessa - rinnova ogni giorno il suo impegno per la difesa e l'estensione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, degli aspiranti e delle aspiranti ad un lavoro, dei pensionati e delle pensionate". "La Cgil che affronta oggi il congresso si è molto allontanata da questo obiettivo... non ha saputo proporre e imporre la propria coerenza, il proprio impianto culturale e strategico fatto di solidarietà, contrattazione, partecipazione, uguaglianza, democrazia, diritti". "Gli anni che ci hanno separato dal Congresso precedente - continua - ci hanno visto pericolosamente oscillare lungo un asse segnato da continui aggiustamenti tattici che progressivamente hanno oscurato la coerenza e la linearità dei comportamenti". "Il rischio più forte dell'assenza di una strategia, rischio puntualmente verificatosi, è il non riuscire mai a provare a dettare l'agenda delle priorità al governo, alle controparti, agli altri interlocutori sindacali, con l'esito di non riuscire a contrastare il disegno che governo, controparti e interlocutori sindacali hanno ritagliato per noi" di progressivo isolamento..
Occorre una riflessione profonda "sui nostri limiti di analisi" per giungere a "un rinnovato progetto strategico segnato da radicale discontinuità, da forte cambiamento di processi di formazione delle decisioni, da ampia e aperta innovazione nell'individuazione di proposte e obiettivi". Perciò il Congresso "deve essere - è specificato - un momento di confronto democratico sul futuro della nostra Organizzazione e non la riproposizione, come è avvenuto nel passato, di una impostazione autoassolutoria, a sommatoria, confusa, indistinta, priva di scelte e di priorità forti e chiare, dalla quale risulta per giunta completamente assente il tema vero di questa fase: l'esigenza di una forte discontinuità".
Questo tema della discontinuità e dell'aggiornamento della strategia in relazione alla crisi, all'attacco di governo e Confindustria alle condizioni di vita e di lavoro di lavoratori e pensionati, alla rottura sindacale operata dai sindacati complici, Cisl e Uil, è ripreso anche nelle conclusioni del documento allorché si afferma: "La Cgil ha detto no alla politica economica del Governo e alla scelta del Governo e della Confindustria di imporre con l'accordo separato un sistema contrattuale che colpisce il salario, i diritti e la libertà di contrattazione. La Cgil ha detto no alla controriforma e alla privatizzazione della scuola. Questi No sono giusti ma non bastano se non sono supportati da decisioni strategiche, proposte innovative e pratiche conseguenti". Non si tratta di emendare proposte altrui bensì di "affermare le nostre priorità, le nostre scelte, le nostre esplicite discontinuità per affermare non solo la nostra identità ma anche per invertire il processo in atto".

Le quattro priorità
A proposito di priorità, nel documento alternativo ne sono definite quattro "decisive per il nostro futuro". La prima: una lotta decisa alla crescente diseguaglianza delle condizioni e delle opportunità, attraverso nuove politiche pubbliche, la redistribuzione della ricchezza in termini di politiche fiscali, accesso al welfare, difesa dei beni comuni, contrattazione. La seconda: una lotta alla precarizzazione e alla riduzione dei diritti del lavoro, attraverso l'unificazione del "mercato del lavoro" nel segno della qualità e della stabilità, condizione prima perché le nuove generazioni possano concepire e realizzare il proprio progetto di vita. La terza: una lotta per sconfiggere il modello contrattuale nato dall'accordo del 22 gennaio 2009 e per conquistare un nuovo sistema contrattuale. Lotta che affermi nella pratica rivendicativa un'autonomia negoziale della contrattazione confederale e categoriale a tutti i livelli, nel privato e nel pubblico, fondata sulle nostre scelte strategiche. La quarta: una lotta per conquistare una compiuta democrazia sindacale dove sia possibile misurare la reale rappresentanza e consentire la libera espressione di voto dei lavoratori e delle lavoratrici sulle scelte che li/le riguardano. Tale conquista è precondizione per la ricostruzione dell'unità sindacale, strumento indispensabile per rafforzare la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici che è stato messo in crisi dai comportamenti di Cisl e Uil.
Accanto alle quattro priorità, i promotori del documento "La Cgil che vogliamo" propongono 7 punti programmatici che riguardano la piattaforma rivendicativa e "la vita stessa e il modo di agire della Cgil". Ecco di cosa si tratta.

I setti punti programmatici
1. Ci vuole una politica economica e sociale - è scritto - che faccia della distribuzione della ricchezza e della lotta alla disoccupazione le leve per uscire dalla crisi. Bisogna conquistare nuove politiche pubbliche fondate sulla difesa dell'accesso libero e uguale ai beni comuni fondamentali dall'acqua, all'energia, all'istruzione, alla sanità. Occorre una riforma fiscale a favore dei redditi da lavoro dipendente e da pensione, che combatta davvero l'evasione fiscale e contributiva e che tocchi la finanza, i patrimoni e le ricchezze reali. Occorre una politica di redistribuzione del lavoro fondata sulla riduzione generale degli orari a livello europeo. Va aumentata la cassa integrazione, così come va aumentato ed esteso il reddito in caso di disoccupazione. Vanno difese e sviluppate le pensioni e la sanità pubblica, con la lotta agli sprechi, alle inefficienze e all'illegalità a partire dalla riduzione dei costi della politica e delle spese militari. Occorrono investimenti pubblici nelle nuove tecnologie, nella mobilità sostenibile e nel risanamento ambientale respingendo il ritorno al passato dell'energia nucleare. Bisogna dire no alla politica di nuove grandi opere inutili e faraoniche, a partire dal ponte sullo Stretto di Messina. Occorre un grande programma d'investimenti a favore della scuola pubblica. Nel Mezzogiorno occorre accompagnare un programma di investimenti e di lotta alla disoccupazione e alle mafie.
2. Per contrastare la precarizzazione e la riduzione dei diritti e delle libertà delle lavoratrici e dei lavoratori, vanno semplificati e riunificati - è detto nel testo - i canali di accesso al lavoro, ripristinando la centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza distinzione di tipologia o dimensione aziendale nell'esercizio di tutti i diritti previsti nello Statuto dei Lavoratori, a partire dall'art.18. Vanno ricondotti a fattispecie circoscritte e definite i contratti a termine, mentre vanno superate tutte le altre forme di accesso quali le collaborazioni a monocommittenza e i contratti a somministrazione. Vanno contrastate le pratiche di ricorso agli appalti al massimo ribasso. Bisogna ridefinire un sistema di controllo, trasparenza e legalità nell'incontro domanda e offerta che è diventato in molti casi oggetto di clientelismo e discriminazione nel rapporto tra agenzie e imprese, da cui non sono sempre esenti le stesse organizzazioni sindacali. La lotta al lavoro nero ed al supersfruttamento deve diventare impegno centrale del sindacato e di tutte le istituzioni superando la deregolamentazione e la deresponsabilizzazione affermatesi in questi anni. La tutela della salute e della sicurezza del lavoro devono essere la priorità assoluta. Le lavoratrici e i lavoratori migranti hanno diritto alla piena parità ed alla piena cittadinanza superando le vergognose discriminazioni e di ricatti sul permesso di soggiorno che alimentano supersfruttamento e lavoro nero.
3. Il modello contrattuale frutto dell'accordo separato del 22 gennaio 2009 non può essere oggetto di semplici aggiustamenti, ma va sconfitto. Bisogna respingere il ritorno alle gabbie salariali, al cottimo, al salario discriminatorio, riaffermando il principio per cui a pari lavoro pari salario. Vanno ricostruite la piena autonomia e libertà di contrattazione sia nei contratti nazionali, che a livello d'impresa. Bisogna difendere ed estendere la contrattazione collettiva fondata sulla solidarietà. Occorre un sistema contrattuale che non ponga vincoli alla possibilità dell'incremento delle retribuzioni reali nei contratti nazionali ed alla libertà di contrattare nell'impresa tutti gli aspetti della condizione del lavoro. Elemento centrale del nuovo sistema contrattuale dovrà essere una decisa riduzione della durata del Contratto nazionale nella parte salariale. La triennalizzazione prevista nell'accordo del 22 gennaio, in assenza di qualsiasi meccanismo di recupero dell'inflazione reale, programma una riduzione del potere d'acquisto delle retribuzioni.
4. Tutta l'azione sindacale - si legge nel documento - deve essere fondata sulla democrazia, cioè sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a scegliere chi li rappresenta e a decidere con il voto segreto sulle piattaforme e sugli accordi. la conquista di una piena democrazia sindacale che sviluppi una piena partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, a tutte le scelte dell'organizzazione sindacale, è la condizione di premessa per l'unità. Che così concepita è strumento indispensabile per tutte le lotte del mondo del lavoro. La pratica degli accordi separati e la scelta di Cisl e Uil di rifiutare il voto delle lavoratrici e dei lavoratori su piattaforme e accordi hanno messo in crisi l'unità. La sua ricostruzione passa ora anche attraverso una legge che garantisca al mondo del lavoro il diritto alla democrazia sindacale.
5. La Cgil dev'essere lo strumento di organizzazione sociale, di rivendicazione e di lotta di tutto il mondo del lavoro, è sottolineato nel testo. Il modello sindacale fondato sulla contrattazione è oggi alternativo a quello fondato sul servizio assistenziale governato dagli enti bilaterali. Contrattare significa abbandonare ogni forma di centralizzazione e controllo dall'alto dell'azione sindacale. Significa sviluppare una vertenzialità diffusa che si misuri con le diverse condizioni sociali e di libertà del mondo del lavoro. La Cgil deve essere in grado di costruire ovunque pratiche sociali e vertenze anche in assenza di piattaforme unitarie. Questo richiede una pratica della democrazia ed una verifica del consenso delle lavoratrici e dei lavoratori, che i dirigenti dell'organizzazione a tutti i livelli devono considerare un dovere assoluto nei propri comportamenti.
6. La confederalità si esercita con la diffusione della democrazia per realizzare uguaglianza e solidarietà nella contrattazione. È necessario rafforzare la funzione contrattuale e la capacità d'iniziativa della Cgil, per sindacalizzare tutto il mondo del lavoro diffuso, frantumato, precarizzato. La Cgil - si afferma - deve scegliere di riformare la propria struttura organizzativa e conseguentemente di distribuire diversamente le proprie risorse al fine di ridurre gli apparati centrali e regionali a favore della presenza nel territorio e nei luoghi di lavoro; accorpare le categorie in funzione dell'unificazione contrattuale dei lavoratori, partendo dalle federazioni che hanno come controparte immediata i settori industriali della Confindustria.
7. Va riaffermato il valore dell'autonomia e indipendenza della Cgil e respinta ogni forma di collateralismo anche se, per i valori e i progetti sociali di cui è portatore, per gli interessi che rappresenta, il sindacato confederale non può prescindere dal rapporto esistente tra programmi elettorali e le politiche degli schieramenti politici e gli interessi di area di rappresentanza. Questi elementi fondanti dell'autonomia e della indipendenza della Cgil devono vivere anche nella vita democratica dell'organizzazione. Ciò significa rafforzare le regole dell'incompatibilità e costruire pratiche di selezione democratica dei dirigenti che escludono la cooptazione dall'alto e favoriscono il rinnovamento e l'accesso diffuso ai ruoli di direzione.

Un documento debole politicamente
Tirando le conclusioni si può osservare che quello che abbiamo esaminato è un documento fortemente sindacale ma che presenta delle debolezze nell'analisi e nella denuncia politica. Per quanto sia stata definita, la crisi economica in atto, di gravità straordinaria mancano un'analisi e una denuncia della crisi come crisi del capitalismo e della globalizzazione imperialista. Troppo poco e parziale parlare di fallimento delle politiche neoliberiste. La critica al governo Berlusconi c'è, ma limitata alla sua politica economica e sociale, non si coglie e quindi non si denuncia, come necessario, l'insieme del disegno politico berlusconiano di terza repubblica con caratteri neofascisti, presidenzialisti, federalisti, interventisti, razzisti e xenofobi; che poi è il piano golpista della P2 di Gelli. Evidentemente non si avverte che Berlusconi è il nuovo Mussolini.
Si sostiene che la Cgil è per la difesa della democrazia e in questo ambito della Carta costituzionale ma non si denuncia con la forza e la chiarezza che occorre che, nei fatti, è già stato instaurato un regime neofascista, non si dice con onestà che la Costituzione del 1948 è stata abbondantemente superata da destra con innumerevoli "riforme" istituzionali e alcune "riforme" costituzionali. Si sostiene che la Cgil è per la pace e per la difesa dell'art.11 della Costituzione, ma non si denuncia con sufficiente forza la politica imperialista della borghesia monopolista italiana, oggi rappresentata dal governo Berlusconi. Né si chiede l'immediato ritiro di tutti i contingenti militari sparsi in varie zone del mondo, a partire dall'Afghanistan e dal Libano. Sul federalismo il documento si esprime in modo ambiguo e non condivisibile. Certo ne denuncia i rischi e le pericolosità per l'unità del Paese e per le conseguenze sociali per il Mezzogiorno ma si limita ad auspicare delle modifiche che ne attenuino la portata.
Non possiamo inoltre non vedere un segno riformista, illusorio, nelle parti che trattano la rivendicazione di un "nuovo modello di sviluppo" e l'"Europa sociale". C'è anche il punto sulla "democrazia economica" che non condividiamo affatto, dove si propone di sperimentare "forme più avanzate di assetti societari partecipativi, quale quello duale, valutando a tal fine esperienze di altri paesi". I lavoratori proprietari di pacchetti azionari insieme ai padroni? No grazie!
C'è infine una differenza di fondo sul modello di sindacato che viene proposto e quello per cui noi marxisti-leninisti lottiamo. Lottare per una Cgil autonoma, indipendente, che abbia come unica compatibilità quella di difendere gli interessi dei lavoratori occupati, dei precari e disoccupati e dei pensionati, che favorisca la partecipazione dal basso e che eserciti per davvero e in modo sistematico la democrazia del mandato di chi rappresenta è già un traguardo importante.
Ma l'obiettivo strategico che noi poniamo è più ambizioso: quello di unificare dal basso, nel tempo e al di là delle confederazioni sindacali esistenti, tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori in un grande sindacato fondato sulla democrazia diretta e il potere sindacale contrattuale all'Assemblea generale dei lavoratori. Un'esperienza di questo genere, sia pure in nuce e in modo parziale, è stata fatta in Italia negli anni '70 col sindacato dei consigli e la democrazia consiliare. Un'esperienza da cui trarre ispirazione, per migliorarla nella realizzazione del modello di sindacato che vogliamo.

25 novembre 2009