Varato il documento di economia e finanza dal Consiglio dei ministri
L'eredità di Monti: una stangata da 22 miliardi
L'IMU rimane anche sulla prima casa

Il governo della macelleria sociale del tecnocrate borghese Monti, tenuto in vita dal nuovo Vittorio Emanuele III Napolitano con un golpe bianco di stampo presidenzialista, continua a spremere senza pietà le masse operaie e popolari.
Il 10 aprile il Consiglio dei ministri dimissionario ha varato il Documento di economia e finanza (Def) 2013 che rappresenta la legge più importante della politica economica di un esecutivo e non certo la "ordinaria amministrazione".
Dietro gli slogan trionfalistici di Monti, che si vanta di aver salvato l'Italia dal baratro, e in mezzo alle slide che la presidenza del Consiglio ha confezionato e diffuso ad arte utilizzando toni rassicuranti per indorare la pillola, si nasconde una stangata da 22 miliardi.
Il Def prevede infatti un ulteriore aumento del debito pubblico che entro il 2013 salirà al 130,4% sul Pil. Mentre l'inversione di tendenza è pronosticata solo a partire dal 2014. Il deficit si attesterà al 2,9% nel 2013 per poi scendere all'1,8% nel 2014 e all'1,5% nel 2015, mentre l'avanzo primario sarà al 2,4% del Pil nel 2013 (al 3,8 nel 2014 e al 4,3 nel 2015).
"Rispettiamo pienamente il pareggio di bilancio" per il 2013 e il 2014, ha annunciato con grande soddisfazione il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, durante la conferenza stampa che ha fatto seguito al varo del Def. Ma si è guardato bene dal chiarire che gran parte della manovra economica si basa sul gettito proveniente dall'Imu che lo stesso Monti in campagna elettorale aveva promesso di "rivedere" o addirittura cancellare. Invece l'iniqua tassa sugli immobili e in particolare sulla prima casa rimane e da essa il governo ricaverà un gettito di 23,8 miliardi per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 così suddivisi: 4 miliardi dall'abitazione principale e 19,8 dagli altri immobili per ciascun anno.
Ed è proprio grazie all'Imu che il governo conta di centrare il suo obiettivo di pareggio del bilancio tant'è vero che lo stesso Grilli in seconda battuta ha minacciato che: "Solo se l'Imu sarà confermata anche dopo il 2014 potrà essere garantito il pareggio di bilancio... Se invece dovesse cambiare sarebbe necessario trovare una compensazione".
Nel Def il governo ha messo nero su bianco anche la stima della pressione fiscale che nel 2013 salirà fino al 44,4% del Pil registrando uno 0,4% in più rispetto al 2012 mentre a partire dal 2014 dovrebbe attestarsi al 44,3% e nel 2015 al 43,4%.
Cala invece la spesa per investimenti fissi: dall'1,9% del 2012 all'1,8% del 2013 e poi all'1,7% negli anni successivi.
Nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi si legge che l'indebitamento netto si attesta al 3% nel 2013 e che il rapporto tra deficit e Pil è previsto in calo al 2,9% nel 2013, all'1,8% nel 2014 e all'1,5% nel 2015. Cifre a dir poco improbabili visti gli ultimi dati sull'andamento dell'economia reale e il conseguente aumento record del numero di disoccupati.
In sostanza il dimissionario Monti detta la linea economica e lascia in eredità al futuro governo le forche caudine che devono essere severamente rispettate per non finire di nuovo nel "baratro". Il premier uscente ha affermato: "Bisogna tenere alta la guardia sulla disciplina anche nei prossimi anni: solo se l'Italia resta fuori dalla procedura di deficit e riduce il debito potrà avere spazi per sostenere in maniera intelligente la ripresa come dimostra il dl sui debiti e apertura su investimenti pubblici produttivi. Altrimenti si darebbe ossigeno a breve all'economia per farla ripiombare in una crisi peggiore". Mentre per quanto riguarda l'agognata crescita Monti ha precisato che: "non ci sono sostituti alle riforme strutturali (...) Senza queste riforme il Paese sarebbe rimasto nelle secche di crescita zero: è solo con le riforme che si accenda speranza di crescita".
Non a caso nel Def un intero capitolo è dedicato al cosiddetto "Piano nazionale delle riforme" (Pnr) in base al quale entro il 2016 bisogna recuperare fino a 15 miliardi di spesa pubblica. Che in pratica vuol dire: nuovi tagli sul pubblico impiego tra i 2 e i 5 miliardi di euro e privatizzazioni selvagge a cominciare dalla svendita di almeno 30 miliardi di immobili pubblici, pari all'1% del Pil. Sono i famigerati 45 miliardi di euro da destinare all'ammortamento del debito sovrano.
Il Pnr stabilisce anche quali devono essere i prossimi tagli da effettuare a cominciare dalle città metropolitane, poi il taglio delle provincie per poi allargare la forbice su tutte le amministrazioni locali, già taglieggiate dal patto di stabilità interno. Via quindi i cosiddetti "rami secchi" degli enti pubblici con alla testa gli enti di ricerca e i ministeri. Ulteriore stretta sulla spesa per beni e servizi e feroce taglio al personale del pubblico impiego che, secondo l'Aran, è già diminuito di 232 mila unità dal 2007 al 2011, e ora si prevede un ulteriore ridimensionamento tra pensionamenti ordinari e in deroga, part-time, mobilità volontaria e obbligatoria di due anni e perfino licenziamenti.

13 aprile 2013