Presieduto dal nuovo Vittorio Emanuele III, il rinnegato Napolitano
Il Consiglio supremo di difesa lancia la riorganizzazione dell'esercito interventista
"L'Unità" plaude alle decisioni del Consiglio e chiama i pacifisti a sostenerle

In fatto di armamenti e spese per le missioni militari non c'è crisi che tenga. Niente tagli indiscriminati come in tutti gli altri settori della spesa pubblica, ma solo maggiore "razionalizzazione" e "qualificazione" della spesa, mantenendo fermi tutti gli impegni e gli obiettivi della politica estera e militare interventista dell'Italia, anche nel quadro del rafforzamento dell'integrazione militare europea: questa la consegna tassativa che Napolitano, il governo Monti e i vertici delle forze armate hanno ribadito nella riunione del Consiglio superiore della difesa, presieduto dal capo dello Stato, che si è tenuta l'8 febbraio scorso al Quirinale.
Alla riunione hanno partecipato il presidente del Consiglio Monti, il ministro degli Esteri, Terzi di Sant'Agata, quello dell'Interno, Cancellieri, quello della Difesa, Di Paola, quello dello Sviluppo economico, Passera, il viceministro dell'Economia Grilli, il capo di Stato maggiore della difesa, gen. Abrate, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Catricalà, il segretario generale della presidenza della Repubblica, Marra e il segretario del Consiglio supremo di difesa, gen. Mosca Moschini.
All'ordine del giorno l'evoluzione dei teatri di crisi e della situazione internazionale, con particolare riferimento alle "aree di immediato interesse del nostro Paese e dell'Europa" e alla "difficile congiuntura economico-finanziaria globale". Il comunicato emesso al termine della riunione puntualizza subito che "ferme restando la rilevanza dell'impegno italiano per la sicurezza e la stabilizzazione e, in tale quadro, la validità dei compiti attualmente assolti dalle Forze Armate, è stata confermata la necessità di proseguire nel processo già in corso volto a qualificare ulteriormente i contributi garantiti alle missioni internazionali, in modo da accrescerne l'efficacia, contenendone, nel contempo, gli oneri".
Quindi, se da una parte sembrerebbe che la politica di "austerità" del governo con i tagli di spesa ai ministeri a causa della crisi tocchi anche a quello della Difesa, dall'altra si scopre però che è solo fumo negli occhi, poiché non si vuole nessuna riduzione dell'impegno militare nelle missioni di guerra in cui l'Italia è coinvolta, anzi si mira a renderlo più efficace, anche se si auspica genericamente di riuscirci a costi inferiori. Lo stesso trucco degli F35, insomma, con cui si rinuncia a qualche caccia per far vedere che qualche risparmio si fa anche qui, ma senza intaccare significativamente l'entità dell'affare. Infatti il documento specifica che in questo quadro si punta in tempi rapidi a una "razionalizzazione del sistema di Difesa, al fine di eliminare ridondanze e inefficienze" e a "rimodulare alcuni significativi programmi di investimento"; ma sempre e comunque - si ribadisce - "dovranno essere garantite le capacità umane e tecnico-militari necessarie ad assolvere i prioritari compiti nelle missioni internazionali".
Nel contempo, prosegue il documento, "si potrà procedere alla definizione dei lineamenti per la riorganizzazione generale dello strumento militare" per adeguarlo agli scenari odierni e prevedibili futuri e "agli specifici compiti di prevenzione e di contrasto delle minacce emergenti e incrementandone l'efficacia complessiva rispetto alle crisi con le quali il nostro Paese potrebbe realisticamente doversi confrontare".
È evidente qui il riferimento alle recenti rivolte nel mondo arabo, all'aggressione alla Libia, ad un altro possibile intervento simile contro la Siria, per non parlare dei preparativi di guerra contro l'Iran, e quindi all'urgenza di riorganizzare l'esercito interventista italiano in funzione dei nuovi scenari di guerra che si stanno profilando nel sud del Mediterraneo. E questo processo di riorganizzazione dovrà andare di pari passo e in stretta coordinazione con la creazione di un efficace braccio militare offensivo di cui si deve dotare l'Unione europea imperialista: "In tale prospettiva - conclude infatti il comunicato - iI Consiglio guarda alla progressiva integrazione multinazionale delle forze armate nell'ambito europeo della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) come ad un passaggio ormai ineludibile nel processo di riorganizzazione e di potenziamento delle capacità di intervento del nostro strumento militare".
Come da tutto ciò il quotidiano portavoce del PD abbia potuto trarre una morale addirittura in linea con le richieste di abbattimento delle spese militari portate avanti dai movimenti antimilitaristi e pacifisti, è incredibile e vergognoso. Eppure è proprio quel che ha fatto L'Unità del 9 febbraio, che in un articolo di Umberto De Giovannangeli così riassume il senso del vertice al Quirinale: "Il concetto-chiave emerso dal Consiglio presieduto dal capo dello Stato, non è quello dei tagli da compiere in una fase di crisi, ma quello, ben più strategico e politico, di razionalizzazione del sistema Difesa. Ed è questo, peraltro, un possibile terreno d'incontro tra un movimento pacifista che pone la questione del disarmo non in termini ideologici assolutistici, e quanti, anche nelle fila delle nostra Forze armate, si pongono il problema di una razionalizzazione degli investimenti e non accettano di veder ridurre l'esercito ad uno 'stipendificio' assistenziale".
Ecco un classico esempio di come la "sinistra" borghese regge il sacco al nuovo Vittorio Emanuele III con l'elmetto, Napolitano, e alla politica militare interventista e guerrafondaia degli imperialismi italiano ed europeo.

15 febbraio 2012