Per non creare problemi al governo
La Consulta boccia i referendum elettorali
Ignorata la richiesta di 1.210.466 proponenti


Giovedì 12 gennaio, con una decisione clamorosa, la Corte costituzionale ha bocciato i quesiti proposti dai promotori referendari ritenendoli inammissibili.
Il primo quesito chiedeva l'abrogazione totale del cosiddetto "Porcellum", il sistema elettorale voluto dal fascio-leghista Calderoli; il secondo interveniva per chiedere l'abrogazione delle novità introdotte da questa legge rispetto a quella precedente. Il risultato, dunque, è quello del mantenimento della vecchia legge elettorale neofascista, fortemente contestata dai promotori.

Il "Porcellum"
Con la legge n. 270 del 21 dicembre 2005, il governo del neoduce Berlusconi, con l'arrogante e prepotente minaccia "di crisi di governo nel caso in cui non venisse approvata la riforma", ha modificato il sistema elettorale in senso neofascista.
Ideatore principale fu l'allora ministro della Lega fascista, razzista e xenofoba Roberto Calderoli, che la definì, tanto era vergognosa quella normazione in tutte le sue intercapedini, "una porcata"; proprio per questo venne denominata Porcellum. In particolare, la legge Calderoli sostituì le leggi precedenti nn. 276 e 277 del 1993 (il cosiddetto Mattarellum), introducendo un sistema radicalmente differente. La casa del fascio, con in testa il partito di Berlusconi, AN, UDC e, chiaramente, Lega Nord, votarono a favore del nuovo sistema elettorale che modificò, di fatto, il precedente meccanismo misto per 3/4 a ripartizione maggioritaria dei seggi, in favore di un sistema proporzionale corretto, a coalizione, con premio di maggioranza ed elezione di più parlamentari contemporaneamente in collegi estesi, senza possibilità di indicare preferenze.
Il sistema introdotto dalla legge 270 apparve completamente nuovo, anche se il premio di maggioranza per la coalizione vincente alla Camera si era già verificato in due leggi elettorali italiane del passato: la legge fascista Acerbo, che Mussolini utilizzò per consolidare il suo potere e che attribuiva i due terzi dei seggi alla lista che avesse ottenuto anche solo il 25% dei suffragi, in maniera formalmente "legale" e utilizzando una procedura di revisione costituzionale, con la quale si assicurò tutto il potere esecutivo con la tristemente nota normativa del 24 dicembre 1925.
Questa legislazione esautorava il parlamento e conferiva a Mussolini la carica di primo ministro, capo del governo e segretario di Stato, con la prerogativa della nomina e della revoca dei ministri, soggetta all'approvazione puramente formale del sovrano, Vittorio Emanuele III, che condivise e avallò tutta la manovra mussoliniana. Oltre a questa deve ricordarsi la famigerata "legge truffa" del 1953 propugnata dalla DC e spazzata via da un grande movimento di massa al punto da essere abrogata il 31 luglio dello stesso anno.

La decisione dei giudici costituzionali
Dopo 9 ore di camera di consiglio, i 15 giudici costituzionali hanno dichiarato inammissibili i due referendum che intendevano, dunque, abrogare totalmente il Porcellum. A favore della doppia bocciatura si sono pronunciati il presidente Alfonso Quaranta, il relatore Sabino Cassese, i giudici Paolo Grossi, Marta Cartabia, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano (questi ultimi famigerati per la cena con il neoduce Berlusconi e i suoi gerarchi Alfano e Letta alla vigilia della sentenza sul lodo salva-premier).
E pensare che la stessa Consulta poteva scegliere un'altra strada, quella della possibilità di sollevare d'ufficio l'eccezione di incostituzionalità dell'attuale sistema elettorale neofascista. Lo dimostrano le parole di uno dei giudici, di area "centro-sinistra", Gaetano Silvestri, il quale affermava che il porcellum "non subordina il premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o seggi".
L'ipotesi di esercizio del potere di autorimessione veniva clamorosamente obliterato (per un solo voto contrario) a favore della scelta opzionale dell'inammissibilità: se fosse passata l'eccezione, invece, i giudici avrebbero dovuto sospendere il giudizio sul referendum, in attesa del pronunciamento, nel merito, sulla costituzionalità della legge Calderoli.

Il ruolo decisivo di Napolitano. Esulta la P3
Le motivazioni sostenute dalla Corte Costituzionale verranno depositate entro il 10 febbraio. Di sicuro, i giudici costituzionali si sono trincerati, ben coperti dal nuovo Vittorio Emanuele III, Giorgio Napolitano, dietro la frase ben studiata a tavolino del "pericolo di vuoto normativo" in caso di vittoria dei referendum e abrogazione della legge elettorale attuale. D'altronde quella del capo dello Stato non era altro che una manovra da vecchio volpone revisionista per salvare il governo Monti dal possibile pantano del varo di una legge elettorale, accantonando la fase delle nuove controriforme di macelleria sociale, ma anche di riappacificare i partiti politici, tanto che le dichiarazioni di Alfano, Casini e Bersani erano tese a riprendere il filo di un tavolo di discussione su di una nuova legge elettorale.
In un comunicato congiunto, espresso poco dopo la decisione della Consulta, i presidenti della Camera e del Senato, Fini e Schifani, e il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, ritenevano che "alla luce della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale, spetta ai partiti e al Parlamento assumere il compito di proporre e adottare modifiche della vigente legge elettorale secondo esigenze largamente avvertite dall'opinione pubblica". Che tradotto, significa: trovate un accordo definitivo, non disturbate il governo che già deve verificare i suoi precari equilibri dopo le controriforme di macelleria sociale. Non a caso il ruolo di Napolitano è stato decisivo, almeno nelle pressioni verso i giudici della Consulta, al punto che persino Di Pietro ha parlato in maniera dura contro l'ex dirigente del PCI revisionista: "La democrazia è sottoterra, ci manca solo l'olio di ricino, è un golpe bianco: dal primo giorno in cui Berlusconi si è dimesso, siamo di fronte al governo del Presidente. Napolitano ha fatto dichiarazioni da premier e non da capo dello Stato: c'è una sospensione della democrazia". Non è tardata la risposta stizzita di Napolitano che ha ritenuto le affermazioni del leader IDV "insinuazioni volgari e scorrette", con l'appoggio immediato di PDL, PD e UDC che censuravano Di Pietro.
Secondo il legale del Comitato promotore referendario, Alessandro Pace, un risultato diverso da quello deciso dalla Consulta avrebbe creato non pochi problemi all'attuale governo Monti che sarebbe caduto più velocemente, con l'effetto di ritornare alle urne. Ancora più netta la posizione del costituzionalista Zagrebelsky che parla di un possibile astensionismo dilagante alle prossime elezioni: "I cittadini delusi e decisi a far valere la loro volontà potrebbero essere indotti a un drammatico sciopero del voto, cioè a non accettare di andare nuovamente alle urne con il porcellum". Significativo e inquietante il commento del cosiddetto "geometra" della P3, il giudice tributario Pasquale Lombardi, indagato nell'inchiesta dalla procura di Roma sull'associazione segreta: "La Corte stavolta ha fatto benissimo: ci siamo tolti un impiccio perché rischiava di far saltare il governo Monti".
Mentre il neoduce Berlusconi e i suoi accoliti, rinfrancati dal voto contrario del parlamento all'arresto di Cosentino non tardavano a festeggiare la bocciatura della Consulta, lo staff del neoliberale Bersani precisava che il leader PD non aveva firmato il referendum, dopo aver opportunisticamente atteso l'esito dei giudici costituzionali, rilanciando la possibilità di un maggioritario misto (sic!).
In ossequio alla volontà di Napolitano, la Consulta ha finito per confermare la vigente famigerata legge elettorale Calderoli. Qualsiasi accordo che potranno raggiungere i partiti del regime neofascista non potrà che muoversi nel solco del presidenzialismo neofascista giacché la legge Calderoli del 2005, così come la legge Mattarella del 1993, hanno già completamente stravolto il sistema elettorale democratico borghese disegnato dalla Costituzione del '48, introducendo di fatto il presidenzialismo, aumentando il potere delle lobby economiche e finanziarie, personalizzando le battaglie elettorali, accentrando i poteri nei vertici istituzionali ai vari livelli, diminuendo il peso dell'elettorato sugli eletti, sulle istituzioni e sul governo, eliminando i partiti più piccoli, salvo quelli che si alleano e si sottomettono ai partiti maggiori.

18 gennaio 2012