Nonostante l'accordo di tregua
Continua il blocco di Israele intorno a Gaza

La trattativa che si è svolta al Cairo con incontri separati tra le parti, condotta dal presidente egiziano Morsi, fra il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, e rappresentanti del governo sionista ha prodotto il 21 novembre un accordo di tregua. Secondo quanto precisato dalla delegazione egiziana i punti principali dell'accordo stabiliscono che Israele fermava tutti gli attacchi via terra, mare e cielo su Gaza mentre la resistenza palestinese si impegnava a fermare gli attacchi dalla Striscia verso Israele e in particolare il lancio di missili e razzi.
Dopo un periodo di osservazione sul rispetto dell'accordo, Israele si impegnava a aprire i valichi di frontiera con Gaza alle persone e alle merci. E a permettere ai pescatori palestinesi di spingersi oltre il limite delle 3 miglia marittime imposte finora dalla Marina israeliana. Ma il blocco navale resta e Gaza continua a essere inaccessibile dal mare, come da terra fino a che la gestione dei transiti dai valichi è in mani israeliane. Continua il blocco sionista intorno a Gaza.
"Il cessate il fuoco da solo non è sufficiente", denunciava il responsabile di una Ong che lavora nei territori palestinesi, "da cinque anni Gaza è soggetta a un blocco paralizzante che ha limitato le importazioni e le esportazioni e ha distrutto la sua economia. Da quando il blocco di Gaza è iniziato, un terzo delle imprese di Gaza hanno chiuso e l'80 % della popolazione ha ora bisogno di aiuto per farcela".
Il garante della tregua è l'Egitto del presidente Morsi che ha raccolto gli elogi dell'imperialismo americano. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, presente al Cairo nelle fasi finali della trattativa, ha affermato che in "un momento critico per la regione il nuovo governo egiziano si sta assumendo la responsabilità e la leadership che ha fatto per lungo tempo di questo paese una pietra miliare nella stabilità regionale e per la pace". Se quello della Clinton sia solo un auspicio di continuità del nuovo governo egiziano col precedente regime di Mubarak nei riguardi della questione palestinese è da verificare.
Certo la vicenda del negoziato del Cairo e soprattutto i colloqui dietro le quinte hanno messo in evidenza il protagonismo delle aspiranti potenze egemone locali, dall'Egitto del presidente Morsi che può sfruttare i legami della sua formazione dei Fratelli musulmani con i vertici di Hamas, nata come una costola dell'organizzazione egiziana, alla Turchia e al Qatar; evidente l'assenza di precedenti protagonisti come l'Arabia Saudita e dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen, informato a cose fatte. Al presidente palestinese è rimasta solo la visibilità legata alla richiesta che presenterà all'Onu del riconoscimento della Palestina come osservatore. Richiesta appoggiata da Meshaal ma bocciata dal primo ministro palestinese Ismail Haniyeh e dal leader di Hamas a Gaza, Mahmoud Zahar, che l'ha bollata come "una stupidaggine".
Comunque che le cose non siano cambiate per la popolazione di Gaza lo ha confermato l'uccisione il 23 novembre di un giovane palestinese da parte della polizia sionista. Trecento palestinesi, molti dei quali contadini, volevano raggiungere i campi coltivati nei pressi di Qarara entrando nella fascia di territorio dichiarata inaccessibile da Israele lungo il confine interno di Gaza. Secondo i palestinesi quelle terre in seguito all'accordo di tregua sarebbero dovute tornare accessibili. Le guardie di frontiere sioniste sparavano e uccidevano il giovane palestinese non appena si era arrampicato sulla recinzione del confine per issarci una bandiera. Era la vittima palestinese numero 166 dell'ultima aggressione sionista a Gaza.

28 novembre 2012