Birmania
Continua la lotta contro la dittatura militare fascista
Centinaia i morti, un numero incalcolabile di feriti, deportati 4 mila monaci
I sindacati proclamano lo sciopero generale
Dalle poche notizie che riescono a filtrare fuori del paese risulta che alcune migliaia di manifestanti sono scesi in piazza nella ex capitale Rangoon l'1 di ottobre rispondendo all'appello del sindacato birmano per uno sciopero generale contro la dittatura militare fascista; almeno 2 mila dimostranti si sono radunati nella zona di Insen e altri 1.500 nell'area dei centri commerciali sfidando il coprifuoco. Un segnale importante che dimostrava come la lotta prosegua nonostante la feroce e sanguinosa repressione scatenata dai militari che da giorni presidiavano le maggiori città del paese.
Le strade di tutte le città, riferivano testimonianze raccolte da agenzie di stampa, traboccavano di militari che avevano circondato e isolato anche i monasteri e le pagode che nei giorni precedenti erano state il luogo di partenza delle principali manifestazioni. Ma le manifestazioni continuavano con gruppi anche di poche centinaia di persone che all'arrivo dei soldati si disperdevano per sfuggire agli arresti.
Le proteste popolari erano iniziate a metà agosto contro la decisione della giunta militare del generale Than Shwe di raddoppiare il prezzo del diesel e quintuplicare quello del gas naturale che avevano portato alle stelle i prezzi dei generi alimentari; promosse da partiti e gruppi dell'opposizione erano state represse dall'esercito che aveva arrestato numerosi manifestanti. Ma erano riprese tra la fine di agosto e i primi di settembre promosse dai monaci buddisti; le manifestazioni partivano dalle pagode e raccoglievano un largo consenso popolare. Il 21 settembre l'Alleanza di tutti i Monaci Buddisti (Alliance of all Burmese Buddhist Monk) promuoveva una marcia di protesta nella ex capitale cui partecipavano più di 1.500 religiosi e annunciava di "non voler smettere di marciare fino a quando il regime dittatoriale non crollerà". Il 24 settembre scendevano in piazza 300 mila dimostranti in molte città del paese al grido di "democrazia"; altri 100 mila sfilavano a Rangoon il 25 settembre. E dopo che il ministro degli affari religiosi, il generale Thura Myint Maung, intimava inutilmente ai monaci di cessare le proteste e il generale Than Shwe scatenava l'esercito contro le manifestazioni e contro le pagode.
Il 26 settembre si riuniva il Consiglio di sicurezza dell'Onu che per l'opposizione di Cina e Russia alle sanzioni si chiudeva con un nulla di fatto e col segretario generale Ban Ki-moon che dava mandato al suo inviato Ibrahim Gambari di partire per la Birmania e di "avvalersi della volontà dell'Onu di assistere ad un processo di riconciliazione nazionale tramite il dialogo". Una missione inconcludente.
Cina e Russia già nel dicembre scorso avevano bloccato una risoluzione di condanna del regime di Rangoon. La Cina è il maggiore partner commerciale della Birmania, mentre la Russia la rifornisce di armi. Entrambe puntano a sfruttare i giacimenti di gas e petrolio birmani attraverso la costruzione di nuovi gasdotti-oleodotti oltre a quello importante realizzato a fine anni '90 dalla francese Total e dall'americana Unocal. Alla costruzione o all'utilizzo di nuovi gasdotti è interessata anche l'India.
La dittatura militare fascista birmana ha molti sponsor imperialisti e forte dell'impunità finora goduta ha dato il via libera alla repressione della protesta.
Il 26 settembre i camion dell'esercito circondavano le pagode di Shwedagon e Sule, i punti di aggregazione e partenza delle marce nella capitale e attaccavano i dimostranti; almeno una decina i morti. Nei giorni successivi il bilancio si aggraverà con la popolazione che scendeva in piazza in difesa dei monasteri e per respingere gli assalti dell'esercito. Nel quartiere di Okkalarpa i dimostranti assaltavano e davano fuoco alla caserma dell'esercito.
Quando il 30 settembre arrivava a Rangoon l'inviato dell'Onu Gambari erano in corso grandi manifestazioni a Mandalay e Yayanchaung mentre il bilancio ufficiale della repressione parlava di poco più di una decina di morti; testimonianze dalla capitale raccontavano di almeno 200 morti portati dai soldati all'obitorio e di un numero imprecisato di persone "scomparse". Imprecisato il numero dei feriti mentre sono almeno 4 mila i monaci arrestati e destinati ai lager attrezzati dalla giunta militare fascista nel nord del paese assieme ad altre migliaia di oppositori fermati durante le proteste.

3 ottobre 2007