A proposito de "La meglio gioventù"

di Nadia - Rufina (Firenze)
Vorrei fare alcune considerazioni a proposito del film del regista M.T. Giordana, trasmesso di recente in televisione.
Avevo atteso con impazienza e curiosità, come forse è capitato a molti di quelli che avevano vent'anni come me nel '68, la programmazione di tale opera, sperando di rivivere il clima e gli eventi di un periodo storico per molti versi straordinario, di cui fu appunto protagonista quella generazione. Altro motivo di interesse era il fatto che per la prima volta un autore si cimentava nella ricostruzione di tale periodo che, per molti versi, negli anni passati e tuttora, è stato volutamente insabbiato, dimenticato o, al peggio, fatto passare per la matrice del terrorismo.
Comunque, senza nulla togliere al fatto che il film può essere genericamente definito un bel film, nel senso estetico e formale, in quanto ben realizzato, diretto e recitato, non altrettanto apprezzabile mi è parso il film nel suo "succo'' politico, né tantomeno nelle sue conclusioni, sia per ciò che riguarda la scelta dei personaggi, sia per la rappresentazione degli eventi e del clima che caratterizzarono gli anni che vanno dal'66 ad oggi rievocati dal regista.
Le tre figure emblematiche del film non mi sembra che possano simboleggiare e rappresentare al meglio un'epoca così rivoluzionaria che portò i giovani ad essere protagonisti, forse per la prima volta, di cambiamenti epocali, di una rottura col passato enorme, che generò grandi fermenti nella vita politica, culturale, nel costume, nei rapporti tra i sessi, in quelli familiari, nella lotta di classe. Tutte cose che si sostanziarono nella grande rivolta giovanile, nelle grandi lotte studentesche, in quelle femminili per l'emancipazione delle donne che portarono alla conquista di fondamentali diritti come quello del divorzio e dell'aborto, nelle lotte operaie per la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, senza dimenticare le grandi manifestazioni contro la guerra imperialista di allora in Vietnam, nel continuo fiorire di formazioni e partiti politici che in vario modo si richiamavano alla grande Cina di Mao, che allora illuminava come un faro rosso il cammino dell'umanità.
No, tutto ciò non trova alcun riscontro nel film, che preferisce raccontare le vicende private, intime, in definitiva piccolo-borghesi dei tre personaggi principali, che sono i due fratelli Nicola e Matteo, animati l'uno da oneste ma pur sempre individualistiche motivazioni di stampo riformista nell'ambito della sua professione di psichiatra; l'altro, Matteo, dominato da profonde contraddizioni caratteriali, che mi sono parse del tutto avulse dal contesto storico e politico del momento e che lo conducono nientemeno che ad abbracciare la professione di poliziotto e successivamente al suicidio. Cosa che non mi pare certo rappresentativa di quell'epoca e del suo spirito. è più facile semmai che poliziotti e celerini ce li trovassimo di fronte a bastonarci quando si manifestava contro la guerra del Vietnam!
Il terzo personaggio principale, la compagna dello psichiatra Nicola, a un certo punto, di colpo e senza una spiegazione logica, se non una generica inquietudine e insofferenza, abbandona la famiglia ed abbraccia la via del terrorismo. Attorno a queste tre vicende personali, con il contorno di quelle di altri membri della famiglia, si dipana il film dal '66 ad oggi, senza che, come ho già accennato, emerga sufficientemente il contesto storico e politico di quegli anni. La stessa vicenda della terrorista, per esempio, avrebbe potuto essere l'occasione per andare oltre alla solita tesi di regime che il terrorismo fu "figlio'' del '68 e analizzare invece a chi e a che cosa esso è servito, da chi è stato manovrato e quale disegno politico (P2, seconda repubblica, neoduce Berlusconi) ha oggettivamente finito per agevolare.
Anzi, a questo riguardo, silenzio assoluto. Tolto di mezzo il Matteo poliziotto con il suicidio, riammessa la terrorista, ormai piegata e pentita, nella società, il film alla fine sembra premiare con uno sbocco felice l'eroe "positivo'', lo psichiatra, che impalmerà la fidanzata di Matteo il quale, nell'improbabile veste di angelo custode, favorisce l'unione tra i due.
Così, tra idillii e ristrutturazioni di ameni casali toscani, il film approda ai giorni nostri, fluttuando apparentemente sul niente, o, al massimo, su un mondo dolciastro che forse esiste per qualcuno, ma che non è quello che purtroppo viviamo noi tutti i giorni, alle prese con un presente abbastanza orripilante, in piena seconda repubblica piduista e neofascista, dominata dalla nefasta dittatura mass-mediologica, affamatrice del popolo, liberticida e guerrafondaia del neoduce Berlusconi.
Neanche un cenno di tutto ciò. Poteva essere l'occasione, riferendosi all'attualità, per dire che se è stata straordinaria l'epoca e la generazione del'68, a maggior ragione ci si dovrebbe augurare che da oggi in poi, perché ce n'è tanto bisogno, ancora e ancora tante, tantissime "meglio gioventù'' nascano e raccolgano quell'eredità. Un'eredità che non è certo il terrorismo, ma la lotta per il socialismo che rivive oggi nel PMLI.