Ferma denuncia del Consiglio superiore della magistratura
"La riforma del processo penale viola almeno 4 principi costituzionali"
Dopo aver ammorbidito il testo, Mancino cerca di minimizzare l'attacco alla controriforma del processo penale
Il governo vuol mettere le mani sull'azione penale, fascistizzare la polizia giudiziaria e sottomettere il PM all'esecutivo come fece Mussolini

Il 23 luglio scorso il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) ha espresso il parere, durissimo, sul disegno di legge di "riforma" del processo penale, con una votazione quasi unanime (solo i laici del "centro-destra" si sono posti contro, mentre v'è stato un astenuto vicino all'UDC) che ha unito tutti i magistrati nello smascherare lo scempio giuridico ordito dal governo del neoduce Berlusconi con in testa il guardiasigilli Alfano.

I contenuti della controriforma
In realtà già erano trapelati, nel corso della settimana antecedente alla redazione definitiva del parere, forti dubbi da parte dei componenti il Csm riguardo alla controriforma Alfano, tanto che il vicepresidente, l'ex democristiano Mancino (PD), aveva lavorato per ammorbidire la giusta rabbia dei magistrati, in ossequio alle direttive di Vittorio Emanuele Napolitano che aveva ordinato un generale abbassamento dei toni, nello stile "fate lavorare in pace il manovratore". Nel documento finale, infatti, venivano tolte espressioni come "devastante", sostituito con "gravi", mentre a "dubbi di costituzionalità" si preferiva un più moderato "norme censurabili", non sminuendo però il complessivo e fermo diniego alla controriforma nera del processo penale. Nel parere il Csm afferma che il ddl Alfano vìola quattro principi cardine della nostra Costituzione, come quello del giudice naturale precostituito per legge (art. 25), il diritto di difesa (art. 24) fino alle norme più vituperate dell'intervento governativo, ossia quella sull'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112) e sulla disposizione della polizia giudiziaria da parte del pubblico ministero (art. 109). Sotto accusa lo spostamento delle indagini completamente nelle mani della polizia giudiziaria e quindi nelle mani del potere esecutivo, con lo sconvolgimento tanto dei principi costituzionalmente garantiti e delle regole processuali del fantomatico "modello accusatorio" liberal-borghese, con la sottrazione al pm della facoltà di acquisire direttamente le notizie di reato, creando una sorta di indagini tout court della polizia giudiziaria. A questo punto si aggiunge l'aggravio della concorrenza nelle indagini tra pubblico ministero (pm) e polizia giudiziaria, cancellando la collaborazione tra i due organi e mettendoli in contrasto sistematico, con una vera e propria fascistizzazione della polizia giudiziaria e inevitabili gravi ripercussioni sull'esito del procedimento con questo aumento smisurato dei poteri alla polizia stessa. Viene così neutralizzata l'obbligatorietà dell'azione penale e messo un primo steccato a quel vecchio ma sempre presente progetto piduista della separazione delle carriere e della sottomissione del pm all'esecutivo, cominciando per ora a sottomettere completamente la polizia giudiziaria agli ordini governativi, senza che risponda più delle sue azioni investigative all'organo dell'accusa, e anzi, in ultimo, controllando l'azione del pm. La lente critica del Csm si sposta sul ruolo del giudice e sulle limitazioni dei suoi poteri in ordine alla possibilità di esprimere giudizi come libero cittadino su casi giudiziari, sull'acquisizione delle prove in dibattimento, come ad esempio l'acquisizione delle sentenze irrevocabili, la riforma dell'astensione e della ricusazione in chiave anti-giudice e decine di altri orpelli in salsa neofascista rigettati in toto nel parere, fatto salvo pochissime innovazioni di secondo o terzo piano rispetto al corpo della controriforma.

Le reazioni dei magistrati e la risposta di Alfano
"Trovo sconcertante che nella relazione che accompagna la legge si spieghi come il fine ultimo del progetto è mettere in regime di concorrenza e controllo reciproco pubblico ministero e polizia giudiziaria: questa legge consente alla polizia di controllare il pm": così si è espresso Antonio Patrono, ex segretario dei moderati di "Magistratura indipendente". Significativo l'intervento di Betta Cesqui (Magistratura democratica): "Con questa riforma non sarebbero state possibili le indagini sulla strage di Bologna, sulla P2 e sui Nar", cui ha fatto da eco quello di Fabio Roia (Unicost), che, dopo aver ricordato che ben quattro sono le violazioni alla Costituzione, ha stigmatizzato il disegno di legge affermando che è proprio sui poteri forti che le indagini non si sarebbero mai avviate se avesse avuto la luce la legge in commento. Si può aggiungere che le stesse norme contenute nel progetto voluto dal ministro Alfano sembrano studiate apposta per il processo Mills: si pensi all'acquisizione delle prove e delle sentenze irrevocabili, ad esempio.
Di tutt'altro tenore le seccate dichiarazioni di Alfano: "Il Csm esprime pareri è il Parlamento che promuove o boccia i ddl", mentre il fascista Bocchino rincarava la dose affermando che "il Csm continua ad ergersi a terza Camera dello Stato o istituzione gemella della Corte Costituzionale". Assolutamente accomodante l'intervento di Mancino che s'è limitato ad affermare che il parere "non è una bocciatura, perché il Csm non approva e non boccia".
Con quest'ennesima spallata del Csm, la controriforma Alfano del processo penale se ne esce con le ossa rotte, anche dopo i giudizi negativi del mondo accademico e professionale. È opportuno che i sinceri democratici, intellettuali, antifascisti siano sempre vigili nella denuncia del progetto di riforma che nasconde, nel suo ventre putrido, gli intenti piduisti di sottomettere alla volontà dell'esecutivo tanto l'azione penale che la stessa figura del pm, così come volevano Gelli, Craxi e prima di lui Mussolini.

29 luglio 2009