Pyongyang espelle gli ispettori dell'Onu
LA REPUBBLICA POPOLARE DI COREA NON E' DISPOSTA A PIEGARSI AI DIKTAT DEGLI IMPERIALISTI AMERICANI
In una lettera inviata a fine dicembre alla sede di Vienna dell'Aiea, l'agenzia internazionale per l'energia atomica delle Nazioni Unite, il governo nordcoreano ha chiesto l'immediata rimozione dei due ispettori che dal 1994 tenevano sotto controllo il reattore nucleare di Yongbyon, situato a nord della capitale. L'espulsione degli ispettori Onu da Pyongyang è la risposta della Repubblica popolare di Corea alle pressioni e ai diktat dell'imperialismo americano moltiplicati dalla Casa Bianca dopo che Bush nel discorso sullo stato dell'unione del gennaio dello scorso anno incluse la Corea del Nord tra gli "stati canaglia".
In base agli accordi raggiunti nel '94 tra il governo nordcoreano e l'amministrazione Clinton la Corea del Nord si impegnava a rinunciare ai progetti nucleari per uso militare in cambio di un aiuto americano pari a 5 miliardi di dollari in forniture petrolifere e in finanziamenti per costruire centrali atomiche per usi civili. In seguito all'accordo, gli ispettori dell'Aiea a Pyongyang verificavano il blocco della centrale di Yongbyon e lo sviluppo dei programmi nucleari civili.
Il presidente americano Bush ha alzato il prezzo e chiesto alla Corea del Nord di rinunciare non soltanto alle armi atomiche ma anche a una parte di quelle convenzionali.
Nell'ottobre scorso gli Usa, sulla base dei soliti opportuni rapporti dei servizi segreti, accusavano la Corea del Nord di aver ripreso segretamente a produrre armi nucleari; nel successivo incontro tra le parti i diplomatici nordcoreani respingevano le accuse e avvisavano la Casa Bianca che se gli Usa non rispettavano l'accordo del '94 avrebbero riattivato la centrale di Yongbyon. La risposta di Bush era l'interruzione delle forniture petrolifere e l'invito agli alleati a fare lo stesso. Un'altra provocazione dell'imperialismo americano contro la Corea del Nord era nello scorso dicembre il temporaneo sequestro piratesco in acque internazionali di una nave mercantile che trasportava missili nordcoreani regolarmente venduti allo Yemen.
Poco prima dell'annuncio della cacciata degli ispettori Onu da Pyongyang Bush dichiarava in una intervista che prima o poi avrebbe fatto i conti anche con il leader nordcoreano Kim Jong Il. Dopo l'espulsione degli ispettori il segretario di Stato americano, Colin Powell, ha precisato che gli Usa non stavano "pianificando un attacco preventivo" ma non escludeva l'adozione di misure diplomatiche, economiche e anche militari. La Casa Bianca premeva sull'Aiea affinché rinviasse la questione al Consiglio di sicurezza dell'Onu e ventilava la possibilità di un blocco economico e commerciale alla Corea del Nord, nonché un possibile blocco navale per intercettare le esportazioni di forniture militari a paesi terzi. Il ministro della Difesa americano minacciava Pyongyang affermando che gli Usa hanno la capacità di tenere aperti due fronti contemporaneamente, come dire che assieme all'attacco all'Iraq potrebbero preparare anche quello contro la Corea del Nord.
Contro le proposte americane di embargo a Pyongyang si pronunciavano la Corea del Sud e la Russia che assieme alle diplomazie cinese e giapponese tentavano di gettare acqua sul fuoco della crisi coreana. Alle proposte di una ripresa del dialogo tra le parti, a cui sta lavorando in particolare il governo di Seul, la Corea del Nord rispondeva attraverso il proprio ambasciatore a Pechino che il 3 gennaio in una conferenza stampa dichiarava: "se gli Stati Uniti ci danno garanzie legali di sicurezza concludendo un trattato di non aggressione, la questione nucleare nella penisola coreana sarà risolta". L'ipocrita risposta di Washington è stata che gli Usa non hanno "alcuna intenzione ostile" e che il problema non è un trattato di non aggressione ma che la Corea del Nord "abbandoni le ambizioni nucleari". Ovvero accetti senza fiatare i diktat dell'imperialismo americano.

8 gennaio 2003