La corruzione è frutto della cultura borghese capitalista

Che la corruzione in Italia in questi ultimi anni abbia assunto dimensioni impressionanti è sotto gli occhi di tutti ed è confermato da tutti gli organismi nazionali e internazionali che si occupano del fenomeno. La Corte dei conti valuta la perdita economica a causa della corruzione in ben 60 miliardi l'anno, senza contare i danni indiretti alla collettività in termini di cattivo funzionamento della pubblica amministrazione, dei servizi e delle opere pubbliche. Queste ultime subiscono un aumento del 40% dei costi a causa della corruzione. Un danno enorme, a fronte del quale corrispondono condanne solo per 75 milioni, segno che a meno di denunce degli stessi coinvolti non si riesce a pizzicare e punire che pochi corrotti e corruttori.
Il Guardasigilli Paola Severino, intervenendo in Senato per chiedere la fiducia sul suo disegno di legge cosiddetto anticorruzione, ha affermato che siamo di fronte a "una nuova tangentopoli". E lo stesso premier Monti, per giustificare l'ennesimo voto di fiducia del governo, ha rivelato che "l'emiro del Quatar, non il Re di Norvegia, non investe in Italia perché c'è troppa corruzione". Ma allora dovrebbero spiegare al Paese perché hanno fatto una legge di pura facciata, che lascia le cose come stanno e per alcuni aspetti addirittura le peggiora, come hanno messo in rilievo insigni costituzionalisti, l'Associazione nazionale magistrati e perfino il Consiglio superiore della magistratura.
In realtà non si tratta di una "nuova tangentopoli", ma semmai di una continuazione e diffusione a livello endemico dello stesso fenomeno esploso 20 anni fa. E nessun governo borghese, tanto meno quello della grande finanza del tecnocrate liberista borghese Monti, può seriamente intraprendere la lotta alla corruzione, dal momento che essa è intrinseca al sistema capitalista e alla proprietà privata che rappresenta e di cui cura gli interessi, e pertanto è inestirpabile finché non saranno aboliti il capitalismo e la proprietà privata. Perciò non c'è da stupirsi se da una parte il governo Monti lancia alte grida contro la corruzione dilagante, e dall'altra si guarda bene dal ripristinare il falso in bilancio cancellato da Berlusconi o depenalizza la concussione e accorcia la prescrizione per fare un favore al neoduce e agli altri politici corrotti.
Tuttavia, se questo vale a livello di principio generale, c'è anche un fattore culturale che gioca un ruolo specifico attuale nelle dimensioni e nella diffusione della corruzione in Italia. Dopo la caduta del muro di Berlino, l'esplosione di tangentopoli aveva fatto emergere e demolire il vecchio sistema di corruzione politica concentrato soprattutto ai vertici dei partiti di governo e di sottogoverno, in primis la DC e il PSI, con il contorno dei partiti satelliti PSDI, PRI e PLI. Ma con la seconda repubblica neofascista, lungi dallo sparire, il cancro della corruzione politica ha subito un processo di metastasi estendendosi via via a tutti i partiti politici, sia quelli eredi del vecchio pentapartito, sia quelli che fino ad allora erano stati più o meno emarginati dal potere borghese, come la Lega, gli ex missini di Fini sdoganati e portati al governo da Berlusconi e gli ex dirigenti del PCI revisionista, che nel frattempo avevano completato la loro metamorfosi borghese e liberale e si erano pienamente integrati nel corrotto regime neofascista.
Il berlusconismo, imperante senza interruzione dal '94 fino ad oggi, ha finito di compiere l'opera, erigendo, favorendo e diffondendo la corruzione a sistema di governo ad ogni livello, dalle istituzioni centrali fino alle più periferiche e minute, facendo apertamente dell'egoismo, dell'individualismo, del carrierismo e della sete di arricchimento, del disprezzo del pubblico e dell'esaltazione del privato, anche grazie al dominio assoluto del sistema dei media, un modello e la regola di vita per tutta la società, per tutti i partiti della destra e della "sinistra" borghese e per i singoli individui. Un sistema culturale e morale profondamente reazionario e corrotto si è cioè impiantato e diffuso come un cancro nel corpo putrido della società capitalistica in questi due ultimi decenni, e il cui corrispettivo è costituito dal presidenzialismo, che è il suo naturale riflesso a livello politico e istituzionale, la forma di governo ad esso più confacente.
Stando così le cose come meravigliarsi allora se la corruzione, in Italia più che altrove, rappresenta un vero e proprio ossigeno per far funzionare la finanza e l'economia capitaliste? Se è diventata la regola e non l'eccezione in tutte le transazioni a livello pubblico e privato? Basti pensare, tanto per citare due casi venuti di recente alla ribalta, alle tangenti pagate da Finmeccanica, sotto l'egida del governo Berlusconi, al governo indiano per la vendita di elicotteri e a quello panamense per la vendita di navi da guerra. La corruzione è ormai talmente compenetrata col mercato capitalistico che chi non accetta di praticarla è destinato alla sconfitta e a esserne espulso, mentre chi vi si adatta anche solo per sopravvivere finisce per spandere ulteriormente il contagio all'intera società.
D'altra parte la lotta alla corruzione dovrà continuare necessariamente anche nel socialismo, non perché la corruzione è connaturata all'essere umano, come sostengono gli ideologi borghesi, ma perché anche nel socialismo continueranno a sopravvivere i residui dell'individualismo, dell'egoismo e del benessere personale ereditati dall'influenza della borghesia.
Questo non significa dover restare indifferenti alla corruzione e rinunciare a denunciarla e combatterla anche in questo regime capitalista, ma essere coscienti che solo con il suo abbattimento e la conquista dell'Italia unita, rossa e socialista è possibile creare le premesse per sradicare una volta per tutte questo grave fenomeno dalla società e dagli individui.

24 novembre 2012