Con una sentenza contraddittoria
La Corte Costituzionale ammette solo due dei tre quesiti contro la privatizzazione dell'acqua
Votare due Sì' al referendum

L'11 gennaio la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili due dei quattro referendum contro la "privatizzazione" dell'acqua.
Partiamo da quelli ritenuti inammissibili. Il primo riguarda il quesito promosso da Di Pietro. Risparmiamo ai lettori di riassumerne l'impianto giuridico in quanto era stato ampiamente criticato come una mossa per mettere un cappello sul movimento contro la privatizzazione dell'acqua e sulla relativa campagna referendaria. Più rilevante è stata invece la bocciatura del 2° quesito promosso dal Comitato "Siacquapubblica" per cancellare alcune norme introdotte dall'allora governo Prodi in materia di ambiente, e che riguarda anche le forme di gestione e le procedure di affidamento delle risorse idriche. In attesa delle motivazioni, che saranno di certo difficilmente comprensibili, si può senz'altro affermare che la Corte Costituzionale ha voluto in questo modo azzoppare la campagna referendaria ridimensionandone gli obiettivi.

Il diritto all'acqua non può affogare in un groviglio giuridico
Il quesito non ammesso si proponeva l'abrogazione dell'art. 150 (quattro commi) del Decreto legislativo. n. 152/2006 (c.d. Codice dell'Ambiente), relativo proprio al nodo cruciale della scelta della forma di gestione e delle procedure di affidamento del servizio idrico integrato. L'articolo definisce infatti come uniche modalità di affidamento del servizio idrico la gara o la gestione attraverso Società per Azioni a capitale misto pubblico privato o a capitale interamente pubblico.
"L'abrogazione di questo articolo - spiegavano i promotori - non avrebbe consentito più il ricorso né alla gara né all'affidamento della gestione a società di capitali, favorendo il percorso verso l'obiettivo della ripubblicizzazione del servizio idrico, ovvero la sua gestione attraverso enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali. Avrebbe dato ancor più forza a tutte le rivendicazioni per la ripubblicizzazione in corso in quei territori che già da tempo hanno visto il proprio servizio idrico affidato a privati o a società a capitale misto".
Esso era stato pensato in un corpo unico con gli altri due quesiti: "il combinato disposto dei tre quesiti proposti - spiegavano infatti i promotori - comporterebbe, per l'affidamento del servizio idrico integrato, la possibilità del ricorso al vigente art. 114 del Decreto legislativo n. 267/2000. Tale articolo prevede il ricorso ad enti di diritto pubblico (azienda speciale, azienda speciale consortile, consorzio fra i Comuni), ovvero a forme societarie che qualificherebbero il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente 'privo di rilevanza economica', servizio di interesse generale e scevro da profitti nella sua erogazione. Verrebbero di conseguenza poste le premesse migliori per l'approvazione della legge d'iniziativa popolare, già consegnata al Parlamento nel 2007 dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua, corredata da oltre 400.000 firme di cittadini. E si riaprirebbe sui territori la discussione e il confronto sulla rifondazione di un nuovo modello di pubblico, che può definirsi tale solo se costruito sulla democrazia partecipativa, il controllo democratico e la partecipazione diretta dei lavoratori, dei cittadini e delle comunità locali".
I milioni di firmatari e le migliaia e migliaia di attivisti che si sono mobilitati per la raccolta delle firme non possono quindi pienamente gioire per questa sentenza, e diviene ancora più importante la battaglia per imporre una legge che abroghi tutta la legislazione vigente, vieti la privatizzazione in qualsiasi forma su tutto il territorio nazionale, garantendo come un'unica ed esclusiva modalità di gestione del servizio idrico, delle infrastrutture e delle fonti, quella pubblica, su tutto il territorio nazionale e garantisca che l'acqua sia sottratta alle logiche del mercato e del profitto capitalistico.
Non è possibile infatti consolarsi per il via libera della Consulta agli altri due quesiti redatti dal Comitato 'Siacquapubblica' sui quali invitiamo comunque a votare Sì: quello per l'abrogazione delle norme del decreto Ronchi-Fitto sulle modalità di affidamento con gara a privati dei servizi pubblici di rilevanza economica, l'altro per la cancellazione delle norme del governo Prodi riguardanti la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito.
In ogni caso occorre affiancare alla mobilitazione per la campagna referendaria la mobilitazione di piazza anche perché a seguito di una delle ultime sentenze della Corte Costituzionale secondo la quale non sarà più possibile aggirare l'ostacolo normativo, muovendo dalla nozione di rilevanza economica, nel senso di ritenere che le regioni o gli enti locali, pur restando ferma la competenza dello Stato in materia di forme di gestione dei servizi pubblici locali, possano stabilire "in concreto" quali fossero le condizioni in virtù delle quali tale rilevanza doveva essere attribuita ad una data attività. Facendo leva su questo cavillo, battendosi affinché a livello locale venga affermato che il servizio idrico non è suscettibile di rilevanza economica, una parte del movimento ha ritenuto che lo si poteva in tal modo sottrarre, regione per regione, comune per comune, alla tagliola imposta dall'art.23 bis. Quest'azione giuridico-amministrativa prevedeva comunque come successivo corollario l'affidamento del servizio idrico integrato ad Aziende speciali, secondo quanto disposto dall'art 114 del TUEL. La sentenza della Corte Costituzionale n. 325 del 2010 ha invece "escluso che gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza della rilevanza economica del servizio".
Dopo questa sentenza quindi non è più in discussione il principio giuridico che spetti alla competenza esclusiva dello Stato decidere sulla sussistenza della rilevanza economica di un servizio. Occorre quindi abrogare tutta la legislazione vigente con una mobilitazione non di carattere burocratico e regionale, bensì unitaria, di piazza e a carattere nazionale, anche per non prestare il fianco alla devoluzione federalista che va sempre a braccetto con la privatizzazione.

Votare due Sì ai quesiti ammessi
Il primo quesito ammesso alla consultazione referendaria "per fermare la privatizzazione", si propone l'abrogazione dell'art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica.
Si tratta della normativa sui servizi idrici approvata dal governo del neoduce Berlusconi sulla quale si fonda l'art.15 del famigerato decreto Ronchi che impone la privatizzazione di tutti i servizi idrici della Penisola. Stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l'affidamento a soggetti privati attraverso gara o l'affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all'interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%. Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 Ato (su 92) che o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l'affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015.
Abrogare questa norma significa contrastare l'accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese. Ecco le motivazioni del Comitato promotore: "La normativa approvata dal governo Berlusconi stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l'affidamento a soggetti privati attraverso gara o l'affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all'interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%". Le società interamente a capitale pubblico cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011: dovranno trasformarsi in società miste con almeno un 40% di proprietà privata. Abrogare l'articolo 23 significa - quindi - stoppare la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici.
Il secondo quesito ammesso dalla Consulta, il terzo per il comitato promotore, è quello che dovrà - secondo i promotori - "eliminare i profitti privati dall'oro blu". Si propone l'abrogazione dell'articolo 154 del decreto legislativo 152/06 limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell'"adeguatezza della remunerazione del capitale investito".
In altre parole si chiede di cancellare la possibilità concessa al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta un 7% a remunerazione del capitale investito, senza vincolare ciò a una logica di reinvestimento di questi profitti per il miglioramento qualitativo del servizio.
"Abrogando questa parte dell'articolo - sostengono i promotori - sulla norma tariffaria, si eliminerebbe il 'cavallo di Troia"'che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici, avviando l'espropriazione alle popolazioni di un bene comune e di un diritto umano universale".

I referendum sul nucleare e sul "legittimo impedimento"
C'è da dire che nella stessa giornata la Consulta ha ammesso il quesito sul nucleare promosso dall'IDV di Di Pietro per cancellare circa 70 norme anticostituzionali contenute nei provvedimenti che con il governo Berlusconi hanno riaperto la strada alla costruzione di nuove centrali atomiche. Ed è stato approvato anche il referendum chiesto dall'Italia dei Valori sul "legittimo impedimento". Una mossa per salvare la faccia dopo la sentenza vergognosa e opportunista della Cassazione del 9 gennaio, che in maniera pilatesca non aveva giudicato incostituzionale il "legittimo impedimento" scaricando sul singolo giudice la scelta di accettare o meno l'ammissibilità delle scappatoie degli avvocati del nuovo Mussolini per procrastinare all'infinito la sua presenza in aula fino alla prescrizione dei processi a suo carico. Anche su questi quesiti, nonostante i limiti insiti in essi che affronteremo in un prossimo articolo, invitiamo a votare sì.

19 gennaio 2011