Senza tenere di conto la catena di controriforme economiche, sociali e politiche che hanno calpestato i suoi principi fondamentali
Come è stata manomessa la Costituzione del '48

La Costituzione della Repubblica italiana entrata in vigore il primo gennaio del 1948 è stata in questi sessantacinque anni manomessa a tal punto che possiamo ben dire che la Carta giuridica fondamentale non esiste più, e per rendercene conto basta fare una rassegna di tutte le norme che in questi sessantacinque anni sono state ampiamente modificate e anzi stravolte.
In questo articolo non tratteremo l'inarrestabile divaricazione tra la Costituzione formale e la Costituzione materiale ossia tra ciò che in essa rimane mero enunciato e ciò che risulta applicato nella realtà. Una divaricazione che è comune e tipica del diritto borghese, di tutto il diritto borghese e in tutti i paesi capitalistici, ma è particolarmente clamorosa, una sorta di peccato originale per la Carta del '48, che enunciava principi sfrontatamente contraddetti dalla legislazione e dagli ordinamenti vigenti, in grandissima parte immutati rispetto a quelli fascisti, e dall'organizzazione, struttura statale e apparato burocratico che risultavano in stretta continuità con quelli liberale e fascista. Nell'ultimo ventennio quei principi fondamentali sono ancor più del passato rimasti sulla carta, contraddetti e calpestati da una lunghissima catena di controriforme e interventi legislativi in campo economico, sociale e politico che hanno riguardato fondamentali questioni come le pensioni, la sanità, l'istruzione pubblica, l'esercito e il nuovo modello di difesa. E che dire poi del presidenzialismo neofascista, imposto di fatto quantunque la repubblica italiana formalmente sia ancora parlamentare e non presidenziale? Uno stillicidio neofascista, cominciato subdolamente con le esternazioni presidenzialiste di Pertini, voluto da Craxi, e giustificate come intemperanze dovute all'età e all'irruenza del personaggio, proseguito col picconatore della prima repubblica, capo dei gladiatori e golpista Cossiga, continuato surrettiziamente da tutti, nessuno escluso, i partiti parlamentari che hanno marchiato le loro liste col nome del premier, da Berlusconi a Monti, a Bersani, a Vendola, a Ingroia, investendolo così del primato conferitogli dall'elezione diretta di tipo plebiscitario, per arrivare infine all'inaudito golpe bianco sferrato dal rinnegato Napolitano per imporre il premier Monti al di fuori del parlamento, dopo averlo ipocritamente nominato senatore a vita.
La Costituzione è così divisa: i primi 12 articoli enunciano i 'Principi fondamentali' e nessuno di essi è stato finora modificato da leggi costituzionali, seguono poi gli articoli della Parte prima che vanno dal 13 al 54 che sono dedicati alla regolamentazione dei 'Diritti e doveri dei cittadini' ed infine gli articoli della Parte seconda dal 55 al 139 dedicati all''Ordinamento della Repubblica', e sono queste due Parti, soprattutto la seconda, ad essere state ampiamente manomesse nel corso degli ultimi 65 anni.
Cronologicamente, prescindendo dalle Leggi costituzionali che pur avendo la stessa forza giuridica della Carta costituzionale non modificano il testo di quest'ultima e che non verranno qui prese in considerazione, il primo cambiamento del testo della Costituzione si ebbe con la Legge costituzionale n. 2 del 9 febbraio 1963 (che modificò gli articoli 56, 57, e 60 della Costituzione in relazione all'elezione e composizione delle Camere ed alla loro durata), seguita dalla Legge costituzionale n. 3 del 27 dicembre 1963 (che ha modificato gli articoli 131 e 57 della Costituzione istituendo la regione Molise) e dalla Legge costituzionale n. 2 del 22 novembre 1967 (che ha variato l'articolo 135 della Costituzione in tema di nomina dei giudici della Corte costituzionale).
Poi per ventidue anni la Carta non ricevette alterazioni fino alla Legge costituzionale n. 1 del 16 gennaio 1989 (modificante, tra l'altro, gli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione in tema di reati commessi da ministri nell'esercizio delle loro funzioni, reati sottratti al giudizio della Corte costituzionale) che fu seguita due anni dopo dalla Legge costituzionale n. 1 del 4 novembre 1991 (che cambiò il secondo capoverso dell'articolo 88 della Costituzione in tema di scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica) e successivamente dalla Legge costituzionale n. 1 del 6 marzo 1992 (che rivide l'articolo 79 della Costituzione concernente l'applicazione dell'amnistia e la riduzione delle pene) e dalla Legge costituzionale n. 3 del 29 ottobre 1993 (modificante l'articolo 68 della Costituzione in tema di immunità dei membri del Parlamento).
Fino a questo momento le variazioni intervenute al testo della Costituzione del 1948 sono state in numero limitato e politicamente ininfluenti, tali da non riuscire a stravolgere il documento giuridico fondamentale della Repubblica come invece sarebbe avvenuto in seguito a Tangentopoli che vide il tracollo delle formazioni politiche che avevano in effetti scritto la Carta nel 1947, dal momento che all'Assemblea costituente sedevano i rappresentanti del PCI, PSI, PRI, PLI e DC, proprio quelle formazioni politiche che sarebbero state travolte dalla bufera giudiziaria iniziata nel 1992.
A quel punto, nel nuovo clima politico instaurato da Berlusconi da una parte e dalla Lega dall'altra con la complicità della "sinistra" borghese nata dal PCI che vide il suo massimo esponente in D'Alema nacquero i provvedimenti costituzionali che realmente stravolsero pezzo dopo pezzo soprattutto la Parte seconda della Costituzione, come la Legge costituzionale n. 1 del 22 novembre 1999 che conteneva disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni, ossia introduceva il presidenzialismo nelle Regioni a Statuto ordinario che è alla base dello sciagurato protagonismo politico con il quale soprattutto a partire dal 2001 i vari presidenti e le relative giunte regionali hanno fatto della spesa pubblica regionale, soprattutto sanitaria ma non solo, il mezzo privilegiato per ingrassare una macchina burocratica sempre più fine a se stessa ma soprattutto per ingrassare i capitalisti fornitori di beni e servizi: è con questa Legge costituzionale che avviene il primo vero stravolgimento della Costituzione, preludio a quello ben più grave perpetrato nel 2001.
Infatti dopo la parentesi della Legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999 che ha inserito i principi del "giusto processo" nell'articolo 111 della Costituzione, e dopo l'emanazione di due provvedimenti intrisi di retorica nazionalista e caldeggiati soprattutto dall'estrema destra come la Legge costituzionale n. 1 del 17 gennaio 2000 (modifica all'articolo 48 della Costituzione concernente l'istituzione della circoscrizione Estero per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero) e la Legge costituzionale n. 1 del 23 gennaio 2001 (modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione concernenti il numero di deputati e senatori in rappresentanza degli italiani all'estero), è con la Legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 (che reca modifiche al titolo V della Parte seconda della Costituzione) che la manomissione della Legge fondamentale della Repubblica raggiunge il suo culmine: dopo essere stata elaborata dalla terza Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta da Massimo D'Alema veniva approvata dalle Camere a conclusione della XIII Legislatura la più rilevante modifica della Costituzione nei suoi 65 anni di vita, con la sostituzione completa di 9 articoli contenuti nel Titolo V della Parte seconda che hanno di fatto trasformato l'Italia in una Repubblica federale minandone il carattere unitario e rovesciando l'ordine di preminenza nella formazione delle leggi disposto dall'articolo 117, in quanto prima venivano elencate le materie in cui le Regioni avevano potere di legiferare (in via concorrenziale) ed era lasciata allo Stato la competenza su tutto il resto mentre con la riforma vengono elencate nello stesso articolo le materie di competenza esclusiva dello Stato, nonché alcune materie di competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, mentre viene lasciata alle Regioni la competenza generale o residuale, inaugurando un vero e proprio federalismo legislativo.
Con la riforma la Repubblica italiana non vede più lo Stato in posizione centrale ma risulta costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato, inoltre le regioni a Statuto ordinario che lo vorranno potranno chiedere allo Stato ulteriori autonomie, vengono poi inseriti nella Costituzione i principi del federalismo fiscale e la previsione di un fondo perequativo per le aree svantaggiate dell'Italia eliminando qualsiasi riferimento specifico al Mezzogiorno e alle Isole e viene soppresso il controllo preventivo statale sulla legislazione regionale.
Da questo momento si può dire che la Costituzione del 1948 non esiste più, ed infatti l'anno successivo viene emanata la Legge Costituzionale n. 1 del 23 ottobre 2002 che comporta la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, cioè cessa il divieto per i discendenti maschi di Casa Savoia di rientrare in Italia: se si pensa che la Costituzione del 1948 nacque non solo in opposizione al regime fascista ma anche dello Statuto albertino che - emanato nel 1848 dal trisavolo dell'ultimo re d'Italia - fu per un secolo il massimo fondamento giuridico per la legittimazione di Casa Savoia, anche tale ultima riforma costituzionale ha l'aspetto di un vero e proprio tradimento dei principi non soltanto antifascisti ma anche antimonarchici e repubblicani ai quali si ispirava la Costituzione del 1948.
Infine, dopo l'emanazione della Legge costituzionale n. 1 del 30 maggio 2003 che modifica l'art. 51 della Costituzione in tema di parità tra uomini e donne e della Legge costituzionale n. 1 del 2 ottobre 2007 che modifica l'art. 27 abolendo senza alcuna eccezione la pena di morte dall'ordinamento giuridico italiano, entra in vigore un ulteriore stravolgimento della Costituzione del 1948 con l'approvazione della Legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012 che introduce il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale modificandone gli articoli 81, 97, 117 e 119: quest'ultima riforma addirittura snatura ulteriormente la Costituzione in quanto rende gli articoli dal 32 al 38 (relativi al diritto sociale alla salute, allo studio, al lavoro, all'assistenza ai disabili) e in generale quelli della Parte prima mere dichiarazioni programmatiche sempre più private di efficacia sostanziale, dal momento che allo Stato viene ora imposto dall'articolo 81 - su pressione dell'Unione Europea - un rigido vincolo di spesa pubblica mentre di fatto il liberismo economico assurge a principio fondamentale dell'economia nazionale, stravolgendo quello che precedentemente era un diritto dei cittadini e un dovere della Repubblica, ovvero rispettivamente di pretendere e di elaborare liberamente quelle politiche economiche più rispondenti alle necessità sociali e al benessere dei cittadini. D'ora in poi questo compito di erogazione di servizi pubblici sarà secondario rispetto al dovere costituzionalmente imposto non solo allo Stato ma anche (in coerenza con il precedente stravolgimento costituzionale della riforma del Titolo V) alle Regioni, alle Città metropolitane, alle Province ed ai Comuni di assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio di questi enti interessati.
Ma c'è di più: la Legge costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012 che introduce il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale recepisce nel massimo documento giuridico della Repubblica il principio del fiscal compact, cioè del patto di rientro coatto dal debito pubblico nazionale, espresso dall'accordo firmato il 2 marzo 2012 scorso da 25 su 27 governi della Ue: è una situazione di sostanziale sudditanza dell'Italia alle politiche economiche dettate dall'Unione Europea e di sostanziale perdita di sovranità dello Stato italiano che va ben al di là di quanto consentito dal dettato dell'art. 11 della Costituzione come fu pensato dall'Assemblea costituente del 1947 che consente "in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni": l'ultima riforma costituzionale svilisce quindi anche sotto questo aspetto quello che formalmente restava in piedi fino a pochi mesi fa, ovvero il principio della sovranità nazionale che il fiscal compact (ed il conseguente principio dell'obbligo costituzionale del pareggio di bilancio) ha non già limitato bensì totalmente eliminato.
Ora saranno quindi solo ed esclusivamente i mercati finanziari internazionali e le istituzioni dell'Unione Europea a decidere la politica economica e sociale dello Stato italiano e di tutti gli altri enti locali, e lo faranno in modo pienamente legittimo in quanto sarà la Costituzione italiana a consentirlo, mentre il Parlamento ed il Governo dell'Italia diverranno semplici organi di ratifica di decisioni prese altrove.
Come si vede quindi la Costituzione del 1948 nei fatti non esiste più, manomessa e stravolta dagli sviluppi e dalla crisi del sistema capitalista italiano ed europeo: ma è la crisi irreversibile dell'intero sistema capitalistico a richiedere agli Stati uno stravolgimento dei principi come quello espresso dall'art. 10 della Costituzione italiana secondo cui "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" di fatto stracciato dai tanti interventi militari italiani all'estero che si sono susseguiti a partire dagli anni '90 e quindi con una grossa accelerazione a partire dalla guerra in Afghanistan iniziata nel 2001. Anche l'abolizione della leva ha trasformato l'Esercito di popolo, che la Costituzione del 1948 aveva - secondo quanto stabilito all'articolo 10 - considerato uno strumento di difesa nazionale, in un esercito di prezzolati professionisti in divisa disposti a servire fedelmente e acriticamente gli interessi economici che spingono i vari governi alle più svariate iniziative militari imperialiste che sarebbero state altrimenti difficilmente digerite da un esercito di leva.
Ormai quindi la Costituzione entrata in vigore nel 1948 non esiste più, sostituita da ben altro assetto costituzionale di tipo neofascista.
Nel suo spettacolo Benigni, forte di quel simpatico e accattivante linguaggio toscano che fu anche di Giovanni Boccaccio, imbroglia in realtà alla stessa maniera di Calandrino e di Buffalmacco le masse popolari facendo credere di parlare della Costituzione nata dal sangue dei Partigiani mentre in realtà parla di una Costituzione di tipo neofascista che ha il marchio dei capitalisti, dei banchieri, degli speculatori e dei burocrati del Fondo monetario internazionale e dell'Unione europea.

9 gennaio 2013