É ORA DI COSTRUIRE DAL BASSO UN GRANDE SINDACATO DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI

 

L'infame accordo del 31 luglio '92 sul ``costo del lavoro'' sottoscritto da Trentin, D'Antoni e Larizza col governo e la Confin dustria, l'atteggiamento acquiescente assunto dai sindacalisti collaborazionisti verso la maxistangata e la politica liberista di lacrime, sangue e sudore di Amato, intese sindacali recenti come quella per la ristrutturazione e i licenziamenti all'ex Ilva di Piombino hanno portato a una rottura generalizzata e di massa tra i vecchi sindacati e l'insieme dei lavoratori e evidenziato un gravissimo problema di democrazia e rappresentatività sindacali, non più tollerabile.

Il fatto è che Cgil, Cisl e Uil, ormai pienamente omologate al capitalismo e al regime neofasci sta imperante, non ascoltano più le richieste dei lavoratori, non chiedono più il consenso dei lavoratori né prima né dopo la firma degli accordi, non tengono insomma minimamente con to del dissenso della base. Trattano e chiudono i contratti senza avere il mandato dei lavoratori, grazie al monopolio della rappresentanza che gli è concesso dallo Stato, sancito nell'art.19 della legge 300/70-Statuto dei lavoratori. Nei luoghi di lavoro da molti anni non si possono rinnovare i Consigli di fabbrica per i veti posti da questa o quella confederazione.

Di fronte alla pressante richiesta dei lavoratori di un cambiamento radicale del sindacato, i vertici di Cgil, Cisl, Uil tirano a dritto e anzi puntano al sindacato unico della seconda repubblica; si apprestano a fare la loro ``autoriforma'' in senso neofascista, in concomitanza della ``riforma'' elettorale uninominale e delle ``riforme'' istituzionali di tipo presidenzialista. In questo quadro hanno proposto le Rap presentanze sindacali unitarie (Rsu) che dovrebbero affossare definitivamente i Consigli di fabbrica. Sono strutture sindacali aziendali adatte a svolgere una politica di cogestione, che non rispondono per niente alla richiesta dei lavoratori di avere tutto il potere sindacale e contrattuale; e che invece di superare, ampliano e rafforzano il monopolio della rappresentanza dei vertici delle confederazioni sindacali. Non a caso la costituzione delle Rsu fa parte della maxitrattativa col governo e le associazioni padronali per la ``riforma'' del salario e della contrattazione, di cui l'accordo del 31 luglio è stata un'amara anticipazione. Da sancire poi con una legge di sostegno, sull'esempio di quanto fatto per l'approvazione della legge antisciopero nel pubblico impiego.

Cigl, Cisl e Uil hanno fatto il loro tempo

Al punto cui si è giunti, queste confederazioni sindacali hanno fatto il loro tempo, sono irriformabili secondo le esigenze dei lavoratori. E' ora di lavorare per aprire una pagina nuova nella storia del sindacalismo italiano, di fare scelte coraggiose e lungimiranti e di avanzare proposte adeguate al radicale cambiamento sindacale chiesto dai lavoratori.

In questa direzione non vanno certo i disegni di legge presentati da aprile a luglio del '92 dal le cosche parlamentari a firma di Giugni per il PSI, Ghezzi-Pizzinato per il PDS, Libertini-Cossutta per il PRC, per non parlare di quello della Lega Nord. I quali, specie i primi tre, sono sostanzialmente tesi a sostenere la suddetta ``autoriforma'' di Cgil, Cisl e Uil nel qua dro di un'applicazione di destra degli artt. 39, 40, 46 e 99 della Costituzione e del sindacato della seconda repubblica.

Non condivisibili, ingannatorie e fuorvianti sono anche le posizioni espresse dal ``movimento dei Consigli di fabbrica'', promosso da alcuni delegati milanesi e lombardi influenzati dal PDS, dal PRC e da ``Essere sindacato'', che sostengono la piena applicazione del'art. 39 della Costituzione e la registrazione degli statuti dei sindacati presso i tribunali, una tesi questa da sempre delle destre e dei fascisti. Il referendum che ha promosso, tende ad abrogare una sola parte dell'art. 19 della legge 300, lasciando intatto il comma che condiziona la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali alle ``associazioni sindacali che siano firmatarie dei contratti collettivi'' ovvero delle vecchie e contestate Cgil, Cisl e Uil comunque ``riformate'' e di sindacati autonomi. Inoltre avanza una proposta di legge d'iniziativa popolare che sembra la fotocopia del disegno di legge elaborato dal PDS. Insomma, propone solo la riscrittura di regole della rappresentanza all'interno dello stesso quadro sindacale e, di fatto, offre la copertura ai ``riformatori'' neofascisti quando i loro leader affermano che il referendum è solo un pretesto per perorare l'approvazione di una legge parlamentare.

Nemmeno le posizioni espresse dai Cobas e dai cosiddetti autorganizzati (Sla, Flmu, Cub, Rdb) rispondono all'esigenza di dare tutto il potere sindacale e contrattuale ai lavoratori, che è il punto vero e principale di una reale riforma democratica della rappresentanza sindacale. Costoro propongono un quesito refe rendario abrogativo dell'art. 19 legge 300 migliore di quello del suddetto movimento dei Consigli di fabbrica. Ma la loro impostazione di fondo, spontaneista e anarchica, è ugualmente da rifiu tare. Porta non all'unità ma alla frammentazione sindacale dei lavoratori, favorisce tendenze rivendicative meramente corporative, non punta a spazzare via le vecchie confederazioni sindacali ma solo ad aggiungere a queste altre sigle sindacali. In fondo chiedono solo di potere avere una fetta di potere della stessa torta.

No, proposte come le Rsu, i disegni di legge delle cosche parlamentari, come quelle del ``mo vimento dei Consigli di fabbrica'' e dei Cobas e degli autorganizzati, non rispondono affatto a quanto gli operai e i lavoratori hanno rivendicato in questi mesi e in questi giorni nelle piazze e nei luoghi di lavoro; risultano fuorvianti e ingannatorie e non escono da una logica di sindacato da seconda repubblica di stampo cogestionario e neocorporativo.

La proposta sindacale del PMLI

Ci vuole una proposta davvero innovativa, anche rispetto all'esperienza passata del movi mento operaio italiano. La situazione politica, sindacale e sociale è profondamente cambiata e ciò che in passato è stata una scelta inevitabile, ovvero il sindacato degli iscritti, il sindacato associativo promosso da correnti sindacali partitiche, appare superata. Pertanto, la proposta che il PMLI avanza è quella di COSTRUIRE DAL BASSO UN GRANDE SINDACATO DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI fondato sull'idea forza della democrazia diretta. Un sindacato fatto di lavoratori di ambo i sessi che si liberi della soffocante e mastodontica burocrazia sindacale, corrotta e asservita al palazzo, che operi per la difesa degli interessi fonda mentali e immediati dei lavoratori, senza vincoli e compatibilità dettate dai capitalisti e dal go verno. Tutt'altra cosa del sindacato unico, cioè dell'unità di vertice delle burocrazie sindacali ormai omologate tra loro, del sindacato della seconda repubblica cogestionario e neocorporativo.

E' questa una proposta sindacale forte e dirompente, che contrasta il processo di fascistizza zione in atto in tutti i campi della società, anche in quelli economico, sociale e sindacale. Perché non ci siano più accordi come quello del 31 luglio, perché finalmente le lavoratrici e i lavoratori abbiano effettivamente nelle loro mani il potere sindacale e contrattuale occorre battersi per far valere il principio della democrazia diretta. E' una democrazia di movimento che non ammette deleghe in bianco e senza controllo, che poggia sul protagonismo dei lavoratori nella lotta e nella gestione della vita sindacale nei luoghi di lavoro anzitutto, ma anche al di fuori. L'unica capace di unirli attorno ai loro interessi di classe, di liberarli dai cappi delle vecchie e ``nuove'' sigle sindacali e di renderli indipendenti dalle istituzioni, dal governo e dal padronato.

Per noi tutto il potere sindacale e contrattuale dei lavoratori deve essere esercitato soprattutto attraverso l'assemblea generale: è questo il momento più alto della democrazia diretta in campo sindacale in cui le lavoratrici e i lavoratori discutono i problemi, mettono a confronto le idee, assumono le decisioni, approva no le piattaforme e gli accordi con voto palese, selezionano i loro rappresentanti più capaci e combattivi e li revocano non appena essi non riscuotono la fiducia dei lavoratori. Il metodo della democrazia diretta deve essere attuato per tutte le decisioni sindacali ai vari livelli territoria li e nazionale, di categoria e in tercategoriale. Non è più tollerabile che gruppi ristretti di dirigenti sindacali decidano arbitraria mente e sulla testa degli interes sati, di firmare contratti e accordi, spesso di grande portata come quelli sulla deregolamentazione del mercato del lavoro, il lavoro giovanile, i salari e la scala mobile, i livelli di contrattazione e altro.

Costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori vuol dire in primo luo go rifiutare recisamente rappresentanze sindacali aziendali che in modo aperto o mascherato siano un ritorno indietro alle sezioni sindacali o alle Commissioni interne, controllate e condi zionate dai vecchi sindacati di regime. Significa in secondo luogo rivendicare la libera elezione dei delegati di reparto e di ufficio su scheda bianca e la costituzione dei Consigli dei delegati in tutte le unità lavorative dei set tori privati e pubblici, nelle aziende grandi e in quelle piccole, secondo il principio che tutti le lavoratrici e i lavoratori sono elettori ed eleggibili. Consigli dei delegati che rappresentino l'uni co soggetto contrattuale nei luoghi di lavoro, cui siano affidati i diritti sindacali e abbiano il potere di realizzare accordi e con tratti a livello aziendale, con efficacia per tutti i lavoratori interessati.

I delegati e i Consigli possono essere destituiti in qualsiasi momento rispettivamente dai lavo ratori del reparto che l'hanno eletti e dall'Assemblea generale dei lavoratori.

In questo contesto e visto che nell'attuale contingenza non ci sono strade migliori, è utile ap poggiare il referendum, purché sia abrogativo di tutte le parti (commi a e b) dell'art. 19 legge 300 che impediscono una libera elezione e una effettiva indipendenza delle rappresentanze sin dacali aziendali dai vertici delle confederazioni Cgil, Cisl e Uil.

Far affermare il principio della democrazia diretta nell'organizzazione e nello svolgimento della vita sindacale nei luoghi di lavoro, costituire i Consigli dei delegati democraticamente eletti dai lavoratori significa in pratica costruire le condizioni per far affermare in prospettiva questa concezione sindacale a tutti i livelli, dalle assemblee dei delegati di zona, provinciale e nazionale, alle assemblee di categoria e intercategoriali. La costituzione di questo nuovo grande sindacato delle lavoratrici e dei la voratori sarà una lotta lunga e difficile. I vertici sindacali confederali, abbarbicati alle poltrone come sono, non accetteranno di lasciare il campo pacificamente, né le cosche parlamentari saranno disponibili a rinunciare senza colpo ferire alla loro nefasta egemonia in campo sindacale.

Ovviamente finché non nascerà il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, i marxisti-leninisti, fintanto che sarà possibile e opportuno, continueranno a condurre la propria battaglia all'interno della Cgil e a costruire la corrente sindacale di classe con tutti coloro che, fuori e dentro i sindacati confederali e autorganizzati, condividono la nostra proposta sindacale e vogliono battersi per realizzarla.

Invitiamo le lavoratrici e i lavoratori, soprattutto la classe operaia, ad esaminare, a discutere e a far propria la nostra proposta e ad aprire un'ampio dibattito nei luoghi di lavoro sul tema della rappresentanza sindacale e su come continuare la lotta contro il governo affamatore del popolo e il padronato affinché il potere sindacale e contrattuale sia effettivamente nelle loro mani. Senza di che la lotta contro la politica superliberista di Amato e per la difesa dell'occupazione, dei salari, della sanità, delle pensioni, dei servizi sociali, dei diritti di contrattazione, più in generale la lotta contro il sistema di sfruttamento capitalistico e il regime neofascista non può vincere.

L'Ufficio politico del PMLI

Firenze, 6 febbraio 1993