Si suicida il braccio destro di don Verzé
Dietro il crac del San Raffaele
Guerra tra Opus Dei e CL per dar vita a un megapolo della sanità cattolica

Mario Cal, il vicepresidente dell'ospedale S. Raffaele di Milano si è suicidato nel suo studio il 20 luglio scorso. Per spiegare il suo gesto avrebbe lasciato ben tre lettere agli inquirenti, una alla segretaria, una alla moglie ed una terza che è stata resa nota solo in un secondo momento.
Da sempre braccio destro del fondatore don Luigi Verzè, Cal era stato ascoltato, nei giorni precedenti, dai magistrati milanesi come testimone nell'indagine sulla voragine da un miliardo di euro nei conti dell'ospedale. Proprio qualche giorno prima della morte inoltre, il consiglio di amministrazione della fondazione aveva approvato un piano di "salvataggio" presentato dal Vaticano, attraverso lo Ior, che escludeva di fatto un suo ruolo nella nuova gestione. Quattro fedelissimi del segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, erano stati piazzati nel consiglio di amministrazione della Fondazione San Raffaele Monte Tabor: sono il presidente dell'ospedale Bambino Gesù di Roma Giuseppe Profiti (oggi vice presidente del San Raffaele con pieni poteri), il presidente dello Ior (la banca vaticana) Ettore Gotti Tedeschi, Giovanni Maria Flick, già presidente della Corte Costituzionale e ministro della giustizia del governo Prodi, e l'industriale Vittorio Malacalza, vicepresidente della Pirelli.
Sembra comunque che Cal fino all'ultimo avesse sperato di restare in gioco, anche con il nuovo corso, mentre i nuovi finanziatori chiedevano mano libera nella gestione,  e per il "risanamento" del San Raffaele chiamavano l'ex liquidatore di Parmalat, Enrico Bondi, come advisor gradito ai maggiori referenti dell'operazione, dalle banche a Gianni Letta.

Don Verzè e Cal ridimensionati
Per Mario Cal si profilava un ruolo marginale, all'ombra di un don Verzè ridimensionato, senza più deleghe operative. Quale plenipotenziario però egli era al corrente di tutti i segreti dei bilanci sotto inchiesta del San Raffaele. Delle truffe ai danni del Ssn, delle tangenti ai politici, della contabilità parallela per gonfiare le fatture dei fornitori, dei soldi in nero che in molti anni avrebbero alimentato conti esteri, e chi sa di quante altre malefatte del prete manager, suo padrino.
Ma la domanda a questo punto è un'altra: perché il Vaticano è entrato di prepotenza, senza intermediari e senza apparente preavviso nella gestione di un ente gravato da quasi un miliardo di debiti? Forse perché la legge 399 prevede che la Regione possa riconoscere agli ospedali posseduti da enti ecclesiastici la totale equiparazione agli ospedali pubblici, con conseguente possibilità che i loro buchi di bilancio siano ripianati con soldi pubblici? Il provvedimento tocca già cinque ospedali tra cui il San Giuseppe di Milano, di cui è coordinatore scientifico il ciellino Giancarlo Cesana, l'allievo prediletto di don Giussani. Costui è stato anche nominato presidente del polo di ricerca e cura Policlinico-Mangiagalli-Regina Elena che vuol dire nascite, ma anche aborti. Forse occorreva una infornata di fidati obiettori? Ha suggerito qualche commentatore. Forse occorreva farla finita anche con i centri di fecondazione assistita dello stesso S. Raffaele? Hanno ipotizzato altri.
Sta di fatto che la colonizzazione della sanità lombarda, sia quella pubblica che quella privata, resta una priorità, sia economica sia ideologica, di quella "Confindustria bianca vaticana" che è Comunione e liberazione (insieme ovviamente alla scuola e all'università, alla formazione professionale, al terzo settore, all'ente Fiera, ecc.) ma anche per altre, altrettanto agguerrite, e ancora più compartimentate, lobby clerico-confindustrial-fasciste, come l'Opus Dei.
Corsa contro il tempo per prendere possesso della struttura del prete manager grande amico di Berlusconi, prima della scadenza del 15 settembre, data in cui la Procura di Milano dovrebbe presentare un'istanza di fallimento per il gruppo ospedaliero. Sullo sfondo uno scontro furibondo tra le fazioni delle alte gerarchie ecclesiastiche e della massoneria piduista per ottenere il monopolio sulla intera sanità lombarda, uno scontro che coinvolge Cl e l'Opus, Tettamanzi, Scola e Bertone e quindi trasversalmente i vertici del PDL, della Lega, dell'UDC e del PD nonché per il tramite delle cosche di riferimento i vari Formigoni, Tremonti, Letta, Berlusconi, Bersani e D'Alema.

Un business con cifre da capogiro
E già perché da alcuni decenni l'assistenza sanitaria in Lombardia è diventata una grande opportunità d'affari, fondata sull'attacco al settore pubblico e sulla volontà di affermare una sanità privata convenzionata e rimborsata. Il giro di affari è di oltre 16 miliardi di euro. Tale regione è diventato un vero paradiso per i pescecani della sanità privata. Dal 2001 al 2008 le strutture accreditate sono aumentate di 277 unità pari ad un aumento del 70%, mentre il pubblico cala di anni in anno.
Attualmente tutti i più importanti ospedali della Lombardia sono legati alla compagnia delle opere, i più grandi come il Niguarda e il gruppo S. Donato, del Patron Giuseppe Rotelli, azionista del Rcs-Corriere della sera e quelle dell'hinterland come Desio e Vimercate, e poi Busto Arsizio, Lodi, l'Asl e l'ospedale civile di Brescia, le Asl della provincia di Como, Pavia, Mantova e Lodi. L'ospedale Mellini di Chiari, gli istituti di Cremona, l'ospedale maggiore di Crema e l'azienda ospedaliera della Valtellina e della Valchiavenna.
In Lombardia il monopolio cattolico sta avanzando come un carro armato grazie soprattutto alla colonizzazione mirata operata direttamente dal governatore Formigoni delle direzioni sanitarie. I predatori crociati di Cl ad esempio sono già stati collocati nelle strutture strategiche: Pasquale Cannatelli presiede l'ospedale Niguarda, Pietro Caltagirone il San Matteo di Pavia, il già citato Giancarlo Cesena, è presidente della più grande struttura lombarda: Ospedale maggiore, Policlinico Mangiagalli ed il Regina Elena, Luca Stucchi è a capo dell'azienda ospedaliera di Mantova. A dirigere l'ospedale di Castiglione dello Stiviere (trasformato in Fondazione), c'è l'imprenditore Guarrino Nicchio, vicino alla compagnia delle opere, che si occupa di due ospedali e tre residenze assistenziali. Complessivamente dei 48 direttori sanitari, ben 12 sono legati a Cl.
Senza dimenticare che c'è un accordo con la regione Puglia firmato dal liberista Nichi Vendola per costruire un ospedale che prevede 500 posti letto e 1.200 addetti, che sarà finanziato interamente dal pubblico e sarà gestito proprio dalla fondazione privata San Raffaele.
Il San Raffaele è quindi strategico insieme all'Istituto Temolo, considerato la cassaforte dell'Università Cattolica. Si verrebbe a creare un mega-polo sanitario cattolico, riunendo oltre al Bambin Gesù e al San Raffaele anche il Policlinico Gemelli e il ricco ospedale di Padre Pio da Pietrelcina in Puglia.
Chi la spunterà? Nel lontano 1997 don Giussani affermava, utilizzando una metafora, che i ciellini sarebbero i "balilla, gli irregolari che tirano le pietre", mentre quelli dell'Opus Dei "hanno i panzer: vanno avanti ben corazzati, con i cingoli, anche se li hanno rivestiti di gomma. Il rumore non si sente, ma ci sono, eccome. E ce ne renderemo conto sempre di più".
Per quanto ci riguarda non possiamo che ribadire che occorre subito una grande mobilitazione popolare per la sanità pubblica e gratuita, per dire basta al massimo profitto capitalistico sulla pelle dei malati, basta coi Poggiolini, i Poggi Longostrevi e i carnefici della cliniche private (vedi il caso S. Rita)! No ai don Verzè e al berlusconismo, ci vuole un nuovo 25 aprile per spazzarli via!
Ricordiamolo: "Un artista, è un dono di Dio all'Italia" così il prete manager ha sempre definito il presidente del consiglio piduista. L'incontro con lui nei primissimi anni '70 lo ha descritto nel dettaglio egli stesso in un'intervista rilasciata al giornalista Aldo Cazzullo: "Stava costruendo Milano 2. Venne da me a propormi un'alleanza. Entrambi avevamo acquistato i terreni dal conte Bonzi. Ma quando andai dal nobiluomo per comprare un altro lotto che mi aveva promesso, mi rispose di no: Berlusconi mi aveva preceduto con assegno in mano".
 

27 luglio 2011