Criminale embargo israeliano a Gaza
I sionisti imperialisti fanno mancare luce, gas, acqua, cibo, medicinali, benzina alla popolazione della Striscia
Le donne palestinesi assaltano la frontiera con l'Egitto a Rafah
L'immagine del muro di ferro arrugginito, fatto saltare dalla resistenza palestinese e piegato come un ventaglio accanto al quale passavano migliaia di persone per uscire dall'assedio di Gaza verso l'entroterra egiziano per acquistare generi di prima necessità, registrava la presa di possesso da parte palestinese del valico di frontiera di Rafah, bloccato da mesi dagli egiziani su ordine dei sionisti di Tel Aviv. Per alcuni giorni veniva interrotto il criminale embargo israeliano a Gaza, quel blocco totale dei rifornimenti alla Striscia deciso il 17 gennaio dal ministro della Difesa, il laburista Ehud Barak, per punire la popolazione palestinese dopo che si erano rivelati inutili i massacri causati dai raid sionisti per fermare le azioni della resistenza. Al momento in cui scriviamo alla frontiera egiziana sono rimasti aperti due passaggi controllati dalle forze di Hamas e dall'Egitto.
Il taglio totale dei principali rifornimenti alla striscia di Gaza, di pari passo con l'escalation degli attacchi militari che colpivano soprattutto la popolazione, era l'ennesimo tentativo dei boia sionisti di colpire la resistenza all'occupazione e di mettere in difficoltà il legittimo governo di Hamas a vantaggio dell'esecutivo fantoccio del presidente palestinese Abu Mazen. Col sostanziale consenso dei paesi imperialisti che assistevano senza muovere ciglio ai massacri e all'embargo su Gaza mentre Abu Mazen era concentrato nella farsa sui colloqui di pace col boia sionista Olmert, avviati dal vertice di Annapolis tenuto sotto il patrocinio di Bush.
Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, convocato il 22 gennaio per discutere il blocco israeliano di Gaza si chiudeva con un nulla di fatto poiché il rappresentante americano era pronto a intervenire per bloccare una eventuale risoluzione di condanna con il veto. Eppure erano state proprio le organizzazioni umanitarie dell'Onu che lavorano nella striscia di Gaza a lanciare le più pesanti denunce su una condizione oramai al limite della popolazione palestinese cui mancava luce, gas, acqua, cibo, medicinali e benzina per l'embargo sionista. Il taglio totale dei principali rifornimenti aveva costretto il governo di Hamas a disattivare il 20 gennaio l'unica centrale termoelettrica di Gaza che rifornisce all'incirca il 30% del territorio mentre il 21 gennaio il portavoce dell'Unrwa, l'agenzia dell'Onu che assiste i profughi palestinesi, annunciava che "se si protrarrà l'attuale situazione, sospenderemo il nostro programma di distribuzione di cibo per 860.000 persone", quasi la metà del milione e mezzo di palestinesi rinchiusi nella striscia di Gaza.
Per assurdo l'allarme sembrava raccolto da Israele con il premier Olmert che all'egiziano Mubarak assicurava che "non permetteremo una crisi umanitaria a Gaza" e annunciava un minimo allentamento dell'assedio poiché il numero dei lanci di missili da Gaza era diminuito; era la riproduzione del solito copione degli imperialisti sionisti nel quale secondo Tel Aviv le responsabilità della crisi di Gaza sono tutte di Hamas e della resistenza palestinese.
Non smuovevano il regime sionista dalla sua arrogante posizione sia le proteste dei pacifisti israeliani che di centinaia di palestinesi che manifestavano a Gerusalemme il 21 gennaio; nella principale strada commerciale di Gerusalemme est tutti i negozi erano chiusi per sciopero in solidarietà con gli abitanti di Gaza. Era quindi l'iniziativa della resistenza palestinese a far saltare i piani sionisti.
Il governo di Hamas chiedeva al presidente Abu Mazen di interrompere i negoziati con Israele e di riprendere i contatti per il dialogo nazionale. La proposta era respinta dal presidente palestinese ma membri e militanti di base di Al Fatah spingevano per iniziative di solidarietà con i fratelli di Gaza; fra questi uno dei consiglieri del primo ministro fantoccio Salam Fayyad che il 22 gennaio era arrestato dai sionisti perché aveva proposto uno sciopero a sostegno dei palestinesi di Gaza. Hamas chiedeva al presidente egiziano Hosni Mubarak di aprire il confine di Rafah e rompere l'embargo. Già ai primi di gennaio il Cairo, nonostante il disaccordo di Israele, aveva aperto il confine e permesso l'ingresso a Gaza di diverse migliaia di palestinesi di ritorno dal pellegrinaggio alla Mecca. Sul presidente egiziano erano forti le pressioni dei Fratelli musulmani egiziani, da una costola dei quali è nata Hamas, che il 21 gennaio organizzavano decine di veglie al Cairo e nei diversi governatorati a sostegno di Gaza.
La mattina del 22 gennaio centinaia di donne palestinesi assaltavano il valico di Rafah chiedendo la riapertura del passaggio. Le guardie di frontiera egiziane le respingevano usando i cannoni ad acqua e sparando raffiche di mitra in aria. Un gruppo di dimostranti riusciva a passare il confine ma era fermato e riportato indietro.
Nello stesso momento migliaia di persone manifestavano in Libano, in Sudan e nello Yemen contro il blocco imposto ai danni di Gaza. Nel campo profughi di Rachidiyeh, nel sud del Libano, migliaia di dimostranti scandivano slogan contro Israele, Stati Uniti e la Lega Araba che non aveva preso posizione contro il blocco. Proteste anche a Erez, il passaggio con Israele nel nord di Gaza, dove manifestavano centinaia di dimostranti palestinesi con cittadinanza israeliana.
L'assalto palestinese al valico di Rafah spingeva il premier fantoccio Salam Fayyad, in giro per l'Europa, a chiedere che fossero i servizi di sicurezza dell'Anp a riprendere il controllo del valico, quelli che lo tenevano chiuso su ordine di Tel Aviv assieme al contingente Ue della missione Eubam composta principalmente da militari italiani e comandata da un generale dei carabinieri.
L'azione palestinese del 22 gennaio era il preludio per l'assalto in forze del giorno successivo. Il 23 gennaio miliziani di Hamas e dei Comitati di resistenza popolare facevano saltare almeno duecento metri del muro di ferro costruito dagli israeliani per dividere Gaza dall'Egitto. Decine di migliaia di palestinesi giunti da ogni parte della striscia passavano i varchi, controllati con discrezione dagli uomini di Hamas, e si recavano nella parte egiziana di Rafah per acquistare cibo, medicinali, benzina, vestiti. Al termine della giornata passavano la frontiera più di duecentomila palestinesi; i poliziotti egiziani erano arretrati e lasciavano passare su ordine di Mubarak.
Hamas, attraverso il capo dell'ufficio politico Khaled Meshaal, lanciava l'offerta al presidente Abu Mazen e agli egiziani di controllare assieme Rafah. Senza le ingerenze israeliane. Israele ammoniva con una nota ufficiale l'Egitto a risolvere rapidamente il problema del controllo di Rafah.
Le pressioni sioniste e americane sembravano far effetto sul Cairo che il 24 gennaio prima annunciava che la frontiera sarebbe rimasta aperta "fino a quando continuerà l'emergenza umanitaria a Gaza" poi la chiusura del valico entro due giorni.
Il 25 gennaio centinaia di agenti dei reparti antisommossa egiziani erano schierati lungo il confine per impedire nuovi ingressi in territorio egiziano e permettere il passaggio solo ai palestinesi che rientravano a Gaza. Migliaia di palestinesi attaccavano il cordone di poliziotti, rispondevano con sassaiole alle manganellate e agli idranti egiziani e riuscivano a aprire altri passaggi lungo il confine.
Era evidente che la questione della frontiera tra Gaza e l'Egitto non poteva essere risolta né con una prova di forza della polizia egiziana né senza il contributo di Hamas e del legittimo governo palestinese guidato da Haniyeh. Il presidente egiziano Mubarak il 26 gennaio si offriva come mediatore tra Fatah, il partito di Abu Mazen, e Hamas e invitava le due parti al Cairo per il 30 gennaio. Il leader di Hamas in esilio in Siria, Khaled Mashaal, accettava l'invito rilanciando la proposta di una gestione congiunta del valico di frontiera tra Fatah e Hamas. Una posizione finora rifiutata da Abu Mazen che ritiene di poter rientrare a Gaza, da dove i dirigenti corrotti di Al Fatah furono cacciati nel giugno scorso, grazie all'appoggio di Stati Uniti, Israele e Unione Europea gli sponsor della sua rottura con Hamas e col legittimo governo di Haniyeh e della farsa del processo di pace di Annapolis.
Dal 28 gennaio le forze di Hamas e quelle egiziane controllano congiuntamente i due passaggi ancora aperti tra Gaza e l'Egitto, una "anomalia" che sionisti e imperialisti vorrebbero velocemente correggere per riconsegnare a Tel Aviv il potere assoluto di controllo sul lager di Gaza e sulla vita dei palestinesi.

30 gennaio 2008