Verso le elezioni politiche a febbraio
Berlusconi costringe Monti alle dimissioni
Il neoduce si ricandida a premier
Solo il socialismo può salvare l'italia, abbattere il capitalismo e dare il potere al proletariato

Con un succinto comunicato emesso dal Quirinale nel pomeriggio di sabato 8 dicembre, subito dopo il colloquio avuto col presidente del Consiglio di ritorno da Cannes, Napolitano ha annunciato pubblicamente la decisione espressagli da Mario Monti di rassegnare le dimissioni non appena il parlamento avrà approvato la legge di stabilità e il bilancio dello Stato.
Causa della decisione improvvisa del premier, richiamata espressamente nel comunicato, è stato l'intervento con cui il giorno precedente, alla Camera, il segretario del PDL Angelino Alfano aveva dichiarato che "l'esperienza di questo governo è conclusa", annunciando la decisione del suo partito di astenersi sulla fiducia al governo Monti, e di essere disposto solo "per senso di responsabilità" a concederla per la legge di stabilità, riservandosi invece le mani libere su tutti gli altri provvedimenti in discussione in parlamento, da ora fino allo scioglimento delle Camere. Una dichiarazione durissima, che per il premier, come detta il comunicato del Quirinale, "costituisce nella sostanza, un giudizio di categorica sfiducia nei confronti del governo e della sua linea di azione". Una dichiarazione che equivaleva quindi a "staccare la spina" al governo Monti, come Berlusconi si era del resto riservato di fare in qualunque momento l'avesse ritenuto opportuno, fin da quando fu costretto da Napolitano, dalla Ue e dai mercati finanziari a cedere Palazzo Chigi all'attuale premier. E che è arrivata, infatti, subito dopo l'annuncio della sua ennesima (la sesta!) ridiscesa in campo come candidato premier alle prossime elezioni politiche. Solo i rinnegati e scimuniti politicanti del "centro-sinistra" avevano dato per l'ennesima volta per finito e irrimediabilmente eclissato il neoduce Berlusconi.
Del resto era ormai un pezzo che il neoduce stava preparando il suo ritorno sulla scena, e lo aveva preannunciato ad ottobre quale atto di "legittima difesa" con il livido proclama di Villa Gernetto, dopo la condanna a 4 anni in primo grado per frode fiscale nel processo per i diritti Mediaset, in cui aveva giurato di non darsi pace fino a che non avrà "riformato" a modo suo la giustizia. E che per far questo era "costretto" a tornare in campo, smentendo platealmente l'annuncio televisivo di appena tre giorni prima in cui aveva detto di "farsi da parte" per favorire il ricambio generazionale nel PDL attraverso le elezioni primarie da tenersi entro il 16 dicembre.
Dopo il proclama di Villa Gernetto, infatti, le primarie che avrebbero dovuto incoronare Alfano come suo successore e rilanciare un partito ormai lacerato e in declino, sono sfumate giorno dopo giorno fino a naufragare nel ridicolo, a causa del suo sempre più grottesco tira e molla, tra annunci di ridiscese in campo e smentite, minacce di sciogliere il PDL e abbandonarlo per farsi una propria lista, aspettando intanto di vedere chi avrebbe vinto le primarie del PD. Finché, a fargli rompere gli indugi, è stata non solo la vittoria di Bersani, ma anche l'annunciato decreto del governo sull'incandidabilità dei condannati in via definitiva, che vede come il fumo negli occhi. Per cui il 6 dicembre il neoduce ha dato ufficialmente l'annuncio della sua ricandidatura, tra l'osanna non solo delle sue truppe più fedeli, ma anche, tranne pochissime eccezioni, di tutti quelli che in questi mesi sembravano volersi smarcare da lui per sopravvivere politicamente, e che si sono invece affrettati a mettersi di nuovo sotto le sue nere insegne.
In testa a tutti il "rinnovatore" Alfano, al quale il neoduce ha lasciato il compito, umiliante e tuttavia accettato con immutato zelo, di dare l'annuncio del ritorno in campo del "detentore del titolo" che rendeva inutili le primarie e tutte le altre candidature di aspiranti al titolo, lui per primo. A lui anche il compito di aprire ufficialmente il fuoco su Monti alla Camera, immediatamente dopo che al Senato il PDL aveva aperto le ostilità astenendosi per due volte sulla fiducia al decreto sviluppo.

La strategia di Berlusconi
Da qui l'attacco frontale di Alfano al governo, che ha ripetuto in aula le accuse di Berlusconi a Monti di aver peggiorato tutti gli indicatori economici del Paese rispetto a come l'aveva lasciato lui, oltre a non aver fatto la legge sulle intercettazioni e la legge sulla responsabilità civile dei giudici, e di considerarlo perciò "un'esperienza conclusa", con l'annuncio che il PDL intende comunque "contribuire a un'ordinata conclusione della legislatura, anche in vista di adempimenti inderogabili relativi al bilancio dello Stato". Il che, legge di stabilità e bilancio a parte, equivaleva ad esporre il governo Monti al ricatto continuo della bocciatura di tutti i provvedimenti ancora da approvare in parlamento, come quello sull'accorpamento delle Province (su cui infatti il PDL ha sollevato subito dopo l'intervento di Alfano eccezione di costituzionalità), il decreto sviluppo, la delega fiscale, il decreto per l'Ilva, per non parlare del decreto sull'incandidabilità dei condannati, a questo punto già morto e sepolto prima ancora di nascere.
Con ciò la strategia di Berlusconi appariva in tutta la sua furbizia: provocando la caduta del governo e le elezioni anticipate, sia pure di poche settimane, non solo impedisce l'approvazione di provvedimenti invisi a lui, come l'incandidabilità, o invisi alla Lega che vuole compiacere, come quello sulle Province, ma ottiene pure l'election day con le regionali in Lombardia e Lazio insieme alle politiche, per non rischiare che una sconfitta alle prime ne traini un'altra alle seconde. Inoltre, siccome non c'è più tempo per una riforma elettorale, si può avvalere ancora del "porcellum" per decidere solo lui chi nominare e chi sbattere fuori dalle liste, anche per presentarsi con un PDL rinnovato nel nome, nel simbolo e nelle "facce"; e, se gli riesce di nuovo l'alleanza a livello nazionale con la Lega, alla quale è disposto a regalare in cambio la candidatura a governatore della Lombardia a Maroni, conta di ottenere un cospicuo gruppo parlamentare almeno al Senato, dove il premio di maggioranza è su base regionale.
In tal modo pensa di poter restare arbitro della situazione, esercitando un potere di veto e di ricatto su partite decisive come la formazione del prossimo governo, l'elezione del successore di Napolitano, la controriforma costituzionale presidenzialista, e le leggi che lo riguardano direttamente, come quelle sulla giustizia e le intercettazioni, l'incandidabilità dei condannati, le frequenze televisive e quant'altro. E per soprammercato il neoduce ottiene pure la possibilità di far slittare i suoi processi in corso, utilizzando la legge sul "legittimo impedimento" con la scusa degli impegni di campagna elettorale.
Nel frattempo, di qui alle elezioni, avrebbe rosolato a fuoco lento il governo Monti per marcare le distanze da esso, cavalcando demagogicamente l'antieuropeismo e la ribellione fiscale, cercando di far dimenticare il più possibile di aver votato tutti i suoi provvedimenti che hanno affamato il Paese e che la sua politica di lacrime e sangue non è altro che l'applicazione spietata degli impegni capestro che erano già stati presi dal suo governo con la UE, la BCE e il Fondo monetario internazionale. Una strategia che spiazza non poco il PD, che rischia di restare da solo, insieme all'UDC, a pagare in termini elettorali la politica antipopolare di Monti. Ed è per questo che Bersani, risvegliatosi col cerino in mano, ha alzato i toni con Alfano, accusando il suo partito di irresponsabilità, e avvertendolo che "siamo leali col governo ma non stupidi. Non ci mettiamo sulle spalle il peso della vostra propaganda. Così si logora il Paese".

Monti accelera la crisi
In parte però il programma furbesco del neoduce è stato vanificato dalla decisione di Monti di annunciare subito le dimissioni, ributtando così la palla nel suo campo perché ha messo a nudo le sue responsabilità nell'aver provocato la crisi, e quindi anche rispetto a tutte le conseguenze negative che ne deriveranno dai mercati finanziari internazionali, facendolo passare da irresponsabile e populista. Il premier cioè rifiuta di stare al suo gioco e di farsi rosolare a fuoco lento, ma imprime invece un'accelerazione alla crisi per farla durare il meno possibile, dando così anche meno tempo al neoduce per organizzare la sua campagna elettorale. Sembra infatti che Napolitano stia per anticipare la data delle elezioni a febbraio, anziché a marzo come ipotizzato in un primo momento.
Monti tiene anzi la porta aperta, anche se ufficialmente lo nega, a una propria possibile candidatura a capo di una lista centrista, e comunque è chiaro che si riserva un ruolo per il dopo elezioni. Anche perché glielo chiedono tutti i governi della UE, preoccupati delle "derive populiste" e antieuropee che la ridiscesa in campo di Berlusconi può provocare e da un possibile allentamento della politica del "rigore". Anche Bersani, pur sconsigliandolo di candidarsi, ha assicurato che il PD resterà al fianco del tecnocrate liberista borghese fino alla fine e che comunque continuerà la sua politica del "rigore" se andrà al governo.
Perciò per i lavoratori e le masse popolari non si prospetta nulla di buono da questa ennesima tornata elettorale: stessa la musica e stessi i suonatori, cioè la politica liberista e affamatrice già adottata da Berlusconi e Tremonti, proseguita con spietato "rigore" da Monti e ora promessa anche dal liberale Bersani, incalzato a destra dal liberista Renzi e coperto a sinistra dal neoliberale trotzkista Vendola. Neanche il demagogo narcisista Grillo può rappresentare un'alternativa credibile a questa manica di politicanti borghesi: si tratta solo dell'ennesimo inganno elettorale per riacciuffare gli astensionisti e riportarli all'interno delle istituzioni borghesi.
Oggi più che mai, di fronte alla crisi irreversibile del capitalismo e del regime neofascista, che viene scaricata interamente sulle spalle della classe operaia e delle masse popolari, è necessario abbandonare ogni illusione elettorale, parlamentare e governativa, astenendosi elettoralmente e confidando solo nella lotta di classe per difendere i propri diritti e condizioni di vita e di lavoro e per conquistare una nuova società. Solo il socialismo può salvare l'Italia, abbattere il capitalismo e dare il potere al proletariato.

12 dicembre 2012