Vogliono tappare la bocca ai giudici Forleo e De Magistris
Il Csm chiede all'unaminità il trasferimento della Forleo
Il Gip di Milano accusa: "Sono attaccata dalle istituzioni". Il Pm di Catanzaro: "un piano per togliermi le inchieste"
Le loro indagini hanno investito politicanti "intoccabili"
Da accusatori ad accusati: il Gip di Milano Clementina Forleo e l'ex Pm di Catanzaro Luigi De Magistris sono finiti nel mirino della lupara politico-giudiziaria che vuole a tutti i costi tappare loro la bocca e insabbiare le scottanti inchieste a cui stavano lavorando. La loro unica "colpa"? Aver osato indagare sui loschi affari dei massimi vertici politici e istituzionali sia della destra che della "sinistra" del regime neofascista con alla testa Prodi, Mastella, D'Alema, Fassino e Latorre protagonisti degli inquietanti retroscena che hanno caratterizzato le scalate bancarie e editoriali del 2005 e la spartizione (dal 2004 al 2007) dei lauti finanziamenti pubblici statali e europei in Calabria.

Il golpe istituzionale
Ma questa volta, a differenza del recente passato, quando ad esempio Berlusconi e la sua banda di malfattori accusavano le "toghe rosse" di persecuzione giudiziaria e ricorrevano ad ogni sotterfugio politico e giudiziario per farla franca, lo scontro è ben più alto. Non si tratta di una "semplice" azione di delegittimazione di un giudice o di un suo ufficio, di "pressioni politiche e istituzionali" e di tentativi più o meno velati di mettere i bastoni fra le ruote degli inquirenti per fermare le inchieste. Questa volta siamo di fronte a un vero e proprio diktat fascista attuato dal governo del dittatore democristiano Prodi che per salvare se stesso e alcuni suoi ministri dalle indagini giudiziarie in cui sono coinvolti vuole mettere definitivamente il bavaglio a quella parte della magistratura più progressista e non ancora allineata al regime neofascista col chiaro obbiettivo di isolarla e ottenere così il via libera alla completa sottomissione dell'indipendenza dei giudici proprio come indicava il "Piano di rinascita democratica" di Gelli e della P2. Ed è significativo che questo piano, iniziato con la "grande riforma democratica" lanciata da Craxi e continuata coi governi successivi con alla testa quelli del neoduce Berlusconi, venga ora completato da un governo di "centro-sinistra" nell'ambito delle "larghe intese" fra la destra e la "sinistra" del regime neofascista e della terza repubblica di stampo mussoliniano.

Il caso Forleo
Il colpo di grazia alle inchieste di Milano su Antonveneta e Unipol è stato inferto il 4 dicembre quando, per la priva volta nella storia repubblicana, tutti i membri laici e togati, di destra e di "sinistra" della 1a Commissione del Csm (vicepresidente e relatore Letizia Vacca membro laico del Pdci), hanno votato all'unanimità l'apertura della pratica di trasferimento d'ufficio ad altra sede e funzione per "incompatibilità ambientale e funzionale" della Forleo. Ciò significa che, se al termine dell'istruttoria, il Csm deciderà il trasferimento, la Gip milanese non solo deve lasciare Milano ma non potrà più svolgere funzioni monocratiche e quindi verrà di fatto sbattuta fuori dalla magistratura. Non a caso la Forleo ha commentato la notizia con un loquace: "È incredibile, così l'inchiesta Antonveneta-Unipol è finita".
Vacca si è scagliata con particolare livore contro i giudici tanto è vero che già due giorni prima della decisione del Csm ha anticipato la sentenza affermando fra l'altro che: "Forleo e De Magistris sono cattivi magistrati", hanno "condotte devastanti", "devono fare le inchieste e non gli eroi".
Eppure De Magistris di inchieste ne stava facendo due su politici di destra e "sinistra" ma, guarda caso, una gliel'ha tolta il suo capo, l'altra gliel'ha avocata il Pg senza che né Vacca né il Csm avessero nulla da ridire. Mentre Forleo il 20 luglio scorso ha chiesto al Parlamento di consentire alla Procura di indagare sulle telefonate dei "furbetti" delle scalate bancarie e editoriali in cui sono coinvolti sei parlamentari, tre di FI e tre DS.
Su tutto ciò governo e parlamento non hanno ancora risposto. La Camera, per un cavillo, ha rimandato indietro la posizione di D'Alema, mentre il Senato a distanza di oltre 5 mesi non ha ancora votato su Latorre, Comincioli e Grillo.
Evidentemente la Vacca, pur di difendere la sua poltrona di nomina politica al Csm, è disposta a tutto. Basta ricordare che recentemente ha votato a favore del ritorno in Cassazione dell'ammazzasentenze Carnevale, pensionato, che cassava le condanne dei mafiosi e definiva Falcone "un cretino"; ha detto sì alla nomina di Carbone - contestato perché insegnava all'università senza il permesso del Csm, doppio stipendio - a 1° presidente di Cassazione; sì al ritorno di Settembrino Nebbioso, ex capo gabinetto del ministro Castelli, alla Procura di Roma che indaga su di lui per le consulenze facili.
A spingere la Forleo tra le fauci del Csm è stato il procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli che il 27 novembre ha promosso un'azione disciplinare contro di lei per i contenuti dell'ordinanza con cui il magistrato del Tribunale di Milano chiese alla Camera di usare le intercettazioni delle telefonate tra sei parlamentari Ds e di Forza Italia e diversi altri indagati nell'inchiesta sulle scalate bancarie e editoriali del 2005. Al Gip vengono contestate le cosiddette "abnormità" contenute nel provvedimento, ossia le motivazioni su cui la Forleo basa la sua richiesta, ritenute addirittura diffamatorie nei confronti dei politici in questione in particolare per quanto riguarda Massimo D'Alema e Nicola Latorre, definiti dalla Forleo "non semplici tifosi" della vicenda Unipol - Bnl, ma "consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata" nell'ambito di "una logica di manipolazione e lottizzazione del sistema bancario e finanziario nazionale".
Tra i capi d'incolpazione formulati dal Pg contro il Gip Forleo, oltre al possibile "uso incongruo dell'ordinanza" sulle scalate bancarie, ci sono anche quelli relativi alle sue dichiarazioni rese durante la trasmissione televisiva "Annozero" ed altri due episodi: il primo riguarda le offese che il magistrato avrebbe rivolto al capitano dei carabinieri Pasquale Ferrari accusato, insieme ai Pm di Brindisi Negro e Santacaterina, di non avere indagato a sufficienza sulle minacce telefoniche subite dai genitori del giudice prima del tragico incidente di auto in cui persero la vita. Il secondo è avvenuto a Milano dove la Forleo ebbe un pesante alterco con due poliziotti che arrestarono un extracomunitario per strada con metodi a dir poco violenti. Incolpazioni a dir poco pretestuose dal momento che, successivamente alla denuncia della Forleo, uno degli agenti è stato radiato dalla polizia per aver reiterato il reato pestando dei trans, mentre le indagini di Brindisi sono risultate così ficcanti che un Gip ne ha ordinate di nuove.
Il 6 novembre durante l'audizione a Palazzo dei Marescialli, Forleo aveva puntato il dito anche contro il procuratore generale di Milano, Mario Blandini, che le ha "consigliato" di non fare il nome del ministro degli Esteri perché "D'Alema aveva chiamato..." a proposito di certe "intercettazioni" in cui esprimeva giudizi poco lusinghieri sui colleghi di partito.
In una lettera inviata nelle settimane scorse al prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, e nella denuncia che ha presentato ai carabinieri di Milano il 24 ottobre per le "pressioni di soggetti aventi rilievo istituzionale" la Forleo tra l'altro accusava che: "Ho ragione di ritenere che i pericoli che corro non derivano da attacchi provenienti dalla piazza ma, con profonda amarezza, da ambienti istituzionali". Ricorda di aver già ricevuto un proiettile via posta e che la procura di Brescia non ha ancora avviato le indagini in seguito alla sua denuncia sulle "lettere minatorie con minacce di morte a me e a mio marito inviate nella nostra azienda di famiglia". Perciò aveva ammonito il Gip di Milano non voglio più essere protetta dalla scorta perché "Non ho bisogno di un taxi gratuito dello Stato" a causa delle "protratte condotte commissive e omissive da parte di taluni carabinieri deputati alla mia protezione, sulle quali ho già riferito ai vertici dell'Arma senza avere alcun riscontro".
Infatti a Brindisi, gli inquirenti hanno sentito alcune persone che avrebbero confermato le minacce ricevute dai genitori del giudice, poi deceduti in un incidente stradale nel 2005 che, date le circostanze potrebbe destare più di un sospetto.
Interrogata per 6 ore dalla procura di Brescia che ha aperto un fascicolo a suo carico per le dichiarazioni di fuoco contro i vertici della procura di Milano, il 28 novembre la Forleo ha raccontato anche dell'"inopportuno pranzo avvenuto tra il 3 e il 6 settembre" fra l'ex procuratore di Milano Gerardo D'Ambrosio, oggi senatore ex DS, e il pool di magistrati milanesi fra cui i sostituti Fusco e Orsi che si occupano del caso Unipol. Secondo la Forleo i Pm che gli avevano preannunciato "due richieste importanti", dopo il colloquio conviviale con D'Ambrosio e "una successiva riunione con Bruti Liberati e Greco" fanno un passo indietro perché "probabilmente D'Ambrosio aveva avvicinato Greco e Bruti Liberati per indurli a bloccare l'inchiesta sulle scalate Unipol". Inoltre la Forleo indica nell'avvocato generale Manuela Romei Pasetti la persona a cui potrebbe aver telefonato D'Alema per raccomandare prudenza nell'uso delle intercettazioni Unipol e tira ancora in ballo il Pg Blandini per averla rimproverata "per aver spifferato delle confidenze".
A difendere la Forleo rimane solo il suo ex collega Ferdinando Imposimato che conferma che si tratta di "cose abbastanza serie e preoccupanti, per cui credo che si tratti di pressioni che lei ha subìto per la sua attività nell'inchiesta che riguarda le scalate".
Il 18 dicembre la Forleo sarà ascoltata dal Csm.

Il caso De Magistris
Per quanto riguarda il Pm De Magistris, chiamato a rispondere davanti al Csm delle sue dichiarazioni alla stampa sulle collusioni tra politica, affari e magistratura, il 29 ottobre ha detto che sin dal 2005 è stato messo in atto "un piano per togliermi tutte le inchieste" sui rapporti tra politica e affari. Prima Poseidone (quella partita dai finanziamenti per i depuratori), poi Toghe lucane (sui rapporti tra politica e magistratura a Matera e Potenza) e infine Why not (sulla distrazione di fondi europei da parte di società collegate alla Compagnia delle opere braccio economico di Comunione e Liberazione). E l'atto di inizio - ha aggiunto ancora De Magistris - è stata l'ispezione inviata alla procura di Catanzaro dall'allora ministro della Giustizia Castelli e poi proseguita e portata a compimento da Prodi e Mastella.
Quanto ai suoi rapporti con la stampa e le dichiarazioni in cui parlava del criminale intreccio tra magistratura, politica e poteri forti e della "fine dello stato di diritto", De Magistris ha chiarito di essersi dovuto esporre pubblicamente nel momento in cui gli è stato chiaro che non era possibile toccare gli intrecci tra pubblica amministrazione e affari. E ha confermato i suoi sospetti sul procuratore capo Mariano Lombardi che avrebbe informato il senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli di una perquisizione a suo carico nell'ambito dell'inchiesta Poseidone. Come pure ha ribadito i suoi dubbi sul procuratore aggiunto Salvatore Murone, anch'egli amico di Pittelli. Anche a questo proposito il magistrato ha annunciato che manderà al Csm le carte già in possesso della procura di Salerno competente per territorio che dimostrano la fuga di notizie sull'inchiesta.
"I magistrati - ha poi aggiunto il Pm al termine dell'audizione - devono poter parlare in alcuni momenti, non ritengo di aver violato il codice etico. Piuttosto bisogna chiedersi perché si è arrivati al punto di aspettare che un magistrato denunciasse pubblicamente alcuni fatti gravi".
L'inchiesta Why not, dal nome della società di lavoro interinale facente capo al principale indagato, Antonio Saladino, già al vertice della Compagnia delle Opere in Calabria, comincia a decollare nel giugno scorso. A luglio cominciano a circolare notizie sull'iscrizione nel registro degli indagati del premier Romano Prodi e del Guardasigilli Mastella insieme ad esponenti locali dei DS e della Margherita. I reati ipotizzati si riferiscono chiaramente al periodo in cui Prodi era presidente della Commissione europea e Mastella un semplice parlamentare. Infatti De Magistris aveva cominciato a scoperchiare il pentolone del malaffare già qualche anno prima conducendo l'inchiesta Poseidone, su un traffico di rifiuti da milioni di euro e, soprattutto, con le indagini sulle toghe lucane, che avevano portato alla luce le connivenze col malaffare di un intero pezzo del palazzo di giustizia a Potenza.
A metà settembre il guardasigilli Clemente Mastella chiede al Csm il trasferimento d'ufficio per De Magistris: la causa starebbe in un rapporto elaborato dagli ispettori di via Arenula (coordinati dal fidato Arcibaldo Miller) sui rapporti all'interno della procura di Catanzaro. L'8 ottobre scorso il Csm rinvia la decisione al 17 dicembre, ma non è finita. Il 18 ottobre si apprende che nel registro degli indagati per l'inchiesta Why not compare anche il nome dello stesso Clemente Mastella. Il ministro si dichiara "sereno", ma appena due giorni dopo il procuratore generale di Catanzaro Dolcino Favi, poche ore prima di lasciare l'incarico, avoca a sé l'inchiesta per incompatibilità. De Magistris, di fatto "rimosso" dall'indagine, parla di "morte dello Stato di diritto". Qualche giorno prima gli era stata recapitata anche una busta contenente un proiettile e minacce di morte.
Il 24 ottobre lo "scippo" è completato: il procuratore Favi dispone infatti la trasmissione dell'inchiesta Why not alla procura di Roma, dove il Tribunale dei ministri dovrà esaminare la posizione di Mastella e quella di Romano Prodi per verificare se i reati ipotizzati nei loro confronti siano stati commessi quando già erano rispettivamente ministro e premier. Quanto a De Magistris, la sua posizione resta al vaglio del Csm e del suo vicepresidente Nicola Mancino (ex senatore democristiano e ex presidente del Senato) il cui nome era rimbalzato fra le carte di quelle stesse indagini per le quali il Pm di Catanzaro è ora "sotto accusa" dinanzi alla disciplinare. Una circostanza che aveva sollevato perfino la protesta dell'ex guardasigilli Roberto Castelli sulla possibile incompatibilità di Mancino a pronunciarsi in merito al caso De Magistris.
E così, dopo il fallito tentativo di sottrarre il processo a De Magistris con il trasferimento del magistrato ad altro ufficio, la lupara politico-giudiziaria ha pensato di colpire il Pm di Catanzaro affidando ancora una volta le carte nelle "mani amiche" del procuratore generale della Cassazione Delli Priscoli che, con atto del 6 dicembre inviato al Consiglio superiore della magistratura, ha "incolpato" per la terza volta De Magistris reo di aver acquisito e utilizzato i tabulati delle conversazioni telefoniche su Prodi e Mastella senza la preventiva richiesta di autorizzazione alla Camera di appartenenza così come previsto dalla legge Boato del 2003. "L'illecito commesso dal Pm" sarebbe stato accertato lo scorso 20 novembre dalla Procura di Roma, su richiesta della stessa Procura generale.
Palazzo dei Marescialli, stando al calendario dei lavori, tornerà ad occuparsi della vicenda lunedì 17 dicembre.

12 dicembre 2007