I giudici della Cassazione confermano per il senatore ex-Udc l'aggravante d'aver favorito la mafia
Cuffaro condannato a sette anni di carcere
Chiesti dieci anni nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa dell'ex governatore
Ora la lotta antimafiosa deve avere l'obiettivo di mandare a casa il governo Lombardo

Dal nostro corrispondente della Sicilia
È entrato in carcere il 23 gennaio l'ex presidente della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, Popolari Italia Domani, PID, condannato in Cassazione, e, dunque, in via definitiva, a scontare la pena di 7 anni di reclusione. Era stato costretto a dimettersi, precisamente due anni or sono, da un'ondata di proteste e indignazione popolari, perché, condannato in primo grado a cinque anni per favoreggiamento semplice e per violazione del segreto istruttorio nel processo sulle "talpe" alla Procura di Palermo, festeggiò con un vassoio di cannoli la caduta dell'aggravante di aver favorito Cosa nostra. Ma già all'inizio del 2010, l'imputazione, saltata in primo grado, veniva ripescata e l'ex-governatore veniva condannato in appello a sette anni.
In Cassazione la battaglia politico-giudiziaria verteva quasi unicamente proprio sull'aggravante d'aver favorito la mafia. È stata una lotta molto serrata, dal momento che, nella requisitoria finale, era il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Galati, ad affermare che "l'aggravante dell'agevolazione mafiosa nei confronti di Salvatore Cuffaro non è provata" e a chiedere ai giudici della Suprema corte di alleggerire la sentenza di condanna. Sembrava che per Cuffaro si fosse aperta la strada verso la riforma dell'unica sentenza che lo avrebbe portato dietro le sbarre, visto che gli altri reati erano già prescritti o avrebbero dato vita ad una pena coperta da indulto. Ma i giudici della Cassazione, respinti i ricorsi dei difensori, hanno reso definitiva la sentenza d'appello: Cuffaro è colpevole di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio.

All'origine della condanna
I rapporti intrattenuti con il manager della sanità privata e braccio economico del capo riconosciuto della mafia siciliana, almeno fino al suo arresto, Bernardo Provenzano, Michele Aiello, in carcere mentre il "suo" patrimonio di 80 milioni di euro è stato sequestrato, sono all'origine dell'inchiesta. L'informazione più riservata al prestanome di Provenzano, Aiello, appunto, arrivò proprio da Cuffaro che, seminata la scorta, lo convocò in un negozio di abbigliamento per dirgli che i pubblici ministeri indagavano su di lui.
E per Cuffaro non finisce qui. Per il 16 febbraio è attesa la sentenza nell'altro processo a suo carico, e questa volta con il capo di imputazione ancor più grave di concorso esterno in associazione mafiosa. Tale capo d'accusa inizialmente i pubblici ministeri (PM) del pool guidato da Piero Grasso non vollero contestarglielo. Adesso, i PM di Palermo l'hanno riproposto, chiedendo la condanna a 10 anni: "L'attività di infiltrazione di Cosa nostra nella politica ha trovato spazio a un livello istituzionale così alto come quello rappresentato all'epoca da Salvatore Cuffaro", ha detto Di Matteo, sostituto procuratore di Palermo. L'ex governatore, secondo l'accusa, "consapevolmente e più volte ha manifestato disponibilità in favore dell'ala di Cosa nostra più vicina a Bernardo Provenzano".
Intanto Cuffaro, eletto senatore nelle liste dell'UDC e passato al PID dopo la scissione del gruppo di Casini, perde anche il suo seggio a Palazzo Madama e subisce l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Numerose le reazioni di gioia spontanee delle masse popolari siciliane. Alla notizia della condanna un gruppo s'è riunito sotto la sede del parlamento regionale per festeggiare con cannoli, mentre gli sberleffi feroci contro il politicante borghese condannato per mafia si inseguivano su Internet.
Ben diversa la reazione delle istituzioni borghesi, inorridite di fronte alle estemporanee manifestazioni di gioia degli antimafiosi. L'ex-segretario di Rifondazione-Sicilia, adesso passato a SEL, Francesco Forgione, ex-presidente della Commissione nazionale antimafia, su un articolo intitolato "C'è poco da festeggiare per il carcere di Cuffaro", sosteneva: "il giorno dell'entrata di Totò Cuffaro in carcere non ho provato alcun motivo di festa e di gioia. Anzi, ho trovato irritanti e fastidiose le foto di manifestazioni a base di cannoli..." e udite udite: "certo è, invece, che il comportamento di Cuffaro nel processo e alla sua conclusione, varcando il cancello del carcere senza urlare al complotto giudiziario, ai giudici comunisti, alla pena ingiusta, di questi tempi rappresenta un'anomalia e per questo merita rispetto". L'ex segretario di Rifondazione conclude: "Serve invece una riflessione sull'oggi partendo almeno dagli ultimi quindici anni: dall'errore commesso da tutto il centrosinistra, me compreso, con il governo Capodicasa", riferendosi al fatto che fu il II governo siciliano di "centro-sinistra", guidato da Capodicasa, a fornire a Cuffaro tutti gli strumenti per la sua vertiginosa scalata ai nodi del potere borghese in Sicilia, affidandogli il ruolo di assessore all'agricoltura nel 1999. Eppure, la pasta di cui era fatto il pupillo dell'"onorevole" Mannino la conoscevano tutti in Sicilia, e a livello nazionale, fin da quando, da deputato regionale, divenne famigerato per il suo intervento nel settembre 1991 al "Maurizio Costanzo Show", presente sul palco Giovanni Falcone, in cui si scagliò con veemenza contro la magistratura antimafia.
Forgione rifletta bene sulla sua "autocritica" e lasci in pace i siciliani antimafiosi che vogliono festeggiare l'arresto di Cuffaro, amico di mafiosi.
Suona, peraltro, stonata la posizione di parte della "sinistra" borghese siciliana, PD in testa, che propaganda gli attuali problemi legali del manniniano Cuffaro per la fine di un sistema di governo basato sulla corruzione mafiosa, sul clientelismo, il saccheggio delle risorse economiche e ambientali dei siciliani.
Di fatto, l'uscita di scena di Cuffaro non ha cambiato nella sostanza la corrotta politica borghese siciliana. Il sistema di rapporti politico-clientelari-mafiosi, è oggi più che mai vivo e vegeto, incarnato dal IV governo Lombardo, composto tra l'altro da MPA e PD. Ma, per certi versi, questo sistema è addirittura ancor più pericoloso, in quanto il "centro-sinistra" ne fa parte e lo copre, tentando di presentarlo alle masse siciliane con un sistema "antimafioso" e di "rinnovamento" politico, giustificando qualsiasi malefatta del governatore, continuando ad appoggiarlo nonostante il processo per mafia a Catania, i bandi clientelari di milioni di euro per creare nuovo precariato, gli scandali relativi a settori di vitale importanza per le masse popolari. L'abbiamo detto fin dall'inizio di questa sporca operazione: il ruolo del PD è quello d'aver favorito la sostituzione dell'apparato lobbistico-mafioso di Cuffaro con quello di Lombardo, altro che "portare l'antimafia al governo della Sicilia", parola d'ordine ancora in voga con cui i vertici del PD giustificano l'entrata nel Lombardo quater. Ma le masse popolari siciliane sanno bene che Cuffaro e don Arraffaele, nella sostanza, la stessa cosa sono. Anche Lombardo, come Cuffaro, se ne deve andare! E il modo migliore per mandarlo a casa è far leva su una mobilitazione di massa popolare, che veda impegnate le masse lavoratrici, pensionati, disoccupati, precari, studenti, i sindacati e i movimenti, le forze politiche, sociali, culturali, religiose antifasciste, antimafiose, democratiche e progressiste.

9 febbraio 2011