Intervenendo a un seminario del PD sulla socialdemocrazia
D'Alema: "non è più tempo di internazionale socialista". È meglio chiamarsi progressisti
Il vicepresidente dell'Internazionale socialista auspica un governo tra "progressisti e moderati"

"L'Internazionale socialista riflette un mondo che non c'è più". Con queste parole il rinnegato del comunismo Massimo D'Alema ha recitato il de profundis all'organismo che rappresenta i partiti socialdemocratici di tutto il mondo e di cui egli stesso è il vicepresidente dal 2003.
Lo ha fatto intervenendo a un seminario dell'associazione "Lavoro & Welfare" che si è tenuto il 26 settembre scorso nella sede centrale del PD sul tema, appunto, dell'"eclisse della socialdemocrazia", a cui sono intervenuti anche altri due big del partito, in rappresentanza rispettivamente dell'anima cattolica e di quella liberale: l'ex segretario del PPI, Castagnetti, e l'ex ministro del Lavoro, Damiano.
D'Alema, che doveva evidentemente rappresentare quella socialdemocratica, ha invece colto l'occasione per un'altra delle sue inopinate sterzate a destra, gettando clamorosamente nella pattumiera della storia la socialdemocrazia per affiliarsi ai "progressisti" (D'Alema è anche presidente della Fondazione dei progressisti europei), in attesa di chiudere la sua parabola di revisionista del PCI e poi di rinnegato, con un approdo definitivo e ufficiale al liberalismo. Il modello socialdemocratico "è definitivamente tramontato", ha detto infatti il presidente del Copasir, perché "sono venute meno le premesse su cui si fondava, compresa la società divisa in classi". Ossia per lui nell'attuale società capitalista esiste una sola classe, la borghesia, che abbraccia dall'ultimo dei barboni che chiedono l'elemosina fino a Bill Gates, per cui non c'è ragione di continuare a richiamarsi a una tradizione e a una storia, quella socialdemocratica, che anche se solo per il nome rievoca inevitabilmente i fantasmi della lotta di classe e del socialismo che vorrebbe esorcizzati per sempre.
Perciò nel futuro dei socialdemocratici, per D'Alema, ci può essere solo il liberalismo, tant'è vero che si è detto "perplesso sulle critiche da sinistra alla Terza via", perché "se è vero che ha dimostrato una certa subalternità al pensiero liberista, con un ottimismo eccessivo sulla globalizzazione, è anche vero che ha portato una cultura liberale che non deve essere rinnegata dai socialisti". Se ci si chiede "come promuovere una strategia per una nuova stagione progressista", ha detto, questa non può essere basata "sul semplice rilancio della tradizione socialdemocratica, non può essere un semplice recupero", ma deve muovere "sulle basi di una coalizione progressista, con un progressismo plurale basato su nuovi principi; avrà l'europeismo come pilastro ma soprattutto dovrà avere consapevolezza dei limiti del passato". Ed ha quindi invitato i socialdemocratici europei a prendere atto che tutte "le grandi forze progressiste al governo non hanno matrice socialista" e ad andare perciò "oltre i confini della loro esperienza storica e geografica", perché "l'Internazionale socialista riflette un mondo che non c'è più".
Dunque il capofila dei rinnegati ha fatto un ulteriore e ancor più significativo passo verso una totale conversione liberale, dopo quello compiuto nel gennaio 2011 ad un analogo seminario organizzato dai gruppi parlamentari, in cui aveva dichiarato che la sfida per i socialisti era "allargare i confini", perché l'Internazionale socialista "è figlia del secolo scorso". Il loro compito, aveva aggiunto, era quello di costruire una "coalizione ampia" di forze di sinistra, ambientaliste, democratiche e di centro in grado di rappresentare "un'alternativa robusta alle destre e al populismo". Oggi ha aggiornato quella ricetta con la formula "lavorare a un'alleanza tra progressisti e moderati", cioè ad un governo con PD e UDC.
Se si pensa che fino a ieri D'Alema era ancora accreditato come il garante dell'anima socialdemocratica del PD, quello che si era sempre opposto alla trasformazione del PD in un partito compiutamente liberal-democratico di centro (si pensi alla polemica a suo tempo con Rutelli sul come schierare il PD nei gruppi parlamentari europei, se tra i socialisti o tra i liberali), c'è da chiedersi a questo punto come farà a distinguersi il suo eterno rivale Veltroni, che rispetto a lui ha sempre rappresentato tradizionalmente la destra del partito: forse confondendosi con Casini?

18 gennaio 2012