Al Senato il ministro degli Esteri rivendica addirittura la continuità della politica estera con i governi DC
D'Alema riconferma la missione di guerra in Afghanistan e il raddoppio della base Usa di Vicenza
Vergognoso allineamento della "sinistra radicale"
Dov'è allora la discontinuità col governo Berlusconi?
"Se il governo va sotto sulla politica estera si va a casa". Agitando questo spauracchio dal vertice italo-spagnolo di Ibiza il rinnegato D'Alema aveva provato a esorcizzare il fantasma di una nuova sconfitta della maggioranza alla vigilia della votazione del 21 febbraio al Senato sulle linee di politica estera del governo. Un passaggio parlamentare, questo, richiesto espressamente da Napolitano dopo lo scivolone del governo al Senato il 1 febbraio sulle comunicazioni del ministro Parisi su Vicenza. Incidente che pur essendo provocato da alcuni parlamentari dei DS e della Margherita, che avevano fatto passare un ordine del giorno della Casa del fascio che approvava la linea del governo su Vicenza, aveva allarmato l'inquilino del Quirinale circa la tenuta della maggioranza sulla politica estera, con particolare riferimento all'alleanza strategica con gli Usa e alla prossima votazione del decreto di rifinanziamento della missione di guerra in Afghanistan.
Per questo Napolitano aveva preteso un "chiarimento" nella maggioranza per rimettere in riga una volta per tutte la "sinistra radicale" su Kabul e su Vicenza, dopodiché il governo avrebbe dovuto ripresentarsi al Senato per sancire con un voto la ritrovata unità sulle linee guida di politica internazionale. Il "chiarimento" c'era stato con il vertice dell'Unione del 6 febbraio a Santi Apostoli, in cui i leader della "sinistra radicale", Giordano (PRC), Diliberto (PdCI) e Pecoraro Scanio (Verdi), avevano ceduto su tutta la linea e assicurato che tutti i loro parlamentari dissidenti avrebbero finito per votare disciplinatamente la relazione che D'Alema avrebbe presentato in aula a nome del governo, compreso la missione di guerra a Kabul e la base di Vicenza. Chiedevano solo di essere "aiutati" a convincerli con qualche foglia di fico per coprire la vergognosa linea imperialista, interventista e filoamericana del governo, come la riproposizione della fantomatica "conferenza internazionale di pace" per l'Afghanistan. Quanto alla base Usa di Vicenza, l'accordo era che D'Alema non ne avrebbe parlato, così da non fornire alimento ai "mal di pancia" dei senatori dubbiosi. Che poi non erano molti: Claudio Grassi, Fosco Giannini, Heidi Giuliani e Franco Turigliatto del PRC, il verde Mauro Bulgarelli, la dipietrista Franca Rame e l'ex PdCI Ferdinando Rossi, tutti disponibili a garantire il loro voto sulla base di queste risibili condizioni.

Gli effetti della manifestazione di Vicenza
Tutto sembrava quindi sotto controllo, solo che nel frattempo c'è stata la manifestazione nazionale del 17 febbraio a Vicenza, che con la grande partecipazione di massa e il suo forte carattere antigovernativo ha scompaginato di nuovo le carte e acuito le contraddizioni che sembravano sopite nella "sinistra radicale", rendendo di nuovo incerto il voto di qualche dissidente. Per questo D'Alema ha alzato la posta agitando lo spauracchio della caduta del governo e del "tutti a casa", così da stroncare una volta per tutte ogni tentazione di distinguersi dalle scelte politiche del governo. Tant'è che all'immediata vigilia del delicato appuntamento la maggior parte dei senatori dubbiosi avevano capitolato alle pressioni e ai ricatti garantendo il loro sì "per non far cadere il governo Prodi e per non far tornare le destre". Solo Rossi e il trotzkista dichiarato Turigliatto si dicevano ancora incerti se votare sì o astenersi, e avrebbero deciso dopo aver ascoltato l'intervento di D'Alema.
Quest'ultimo ha fatto un grosso sforzo per cercare di recuperare i residui dissensi nella maggioranza, dosando col bilancino le parole della sua lunga e articolata relazione nel tentativo di dimostrare una proclamata "discontinuità" con la politica estera del governo Berlusconi. Ha cercato - come è stato detto dalla stampa - di "volare alto", per evitare il confronto sulle scelte concrete e portare il discorso dove voleva lui, cioè sul presunto "nuovo ruolo" internazionale che l'Italia si sarebbe conquistato con la sua politica, ma alla fine ciò è servito solo a rendere più rumoroso il tonfo, quando il documento della maggioranza che recepiva la sua relazione è stato respinto dall'aula per non aver raggiunto il quorum di 160 voti necessari. Ciò che ha determinato automaticamente - anche grazie alle sue incaute dichiarazioni della vigilia - le dimissioni di Prodi e l'apertura della crisi di governo.
La bocciatura è avvenuta con l'astensione, peraltro non determinante, di Turigliatto (che è uscito dall'aula) e di Rossi. Il primo è stato poi sottoposto a linciaggio politico e mediatico, e processato dalla Direzione nazionale di Rifondazione che ha avviato il provvedimento per espellerlo dal partito. Il secondo, rimasto in aula, era stato ricoperto di insulti e improperi ("vota stronzo", il più elegante) dai suoi colleghi, con in testa Cossutta, la Finocchiaro (capogruppo Ulivo) e la Palermi (capogruppo Verdi-PdCI), nel vano tentativo di spingerlo a votare. Insulti che sono continuati anche fuori dall'aula e sui media. Alla faccia della "democrazia" e "libertà di coscienza" che i partiti borghesi proclamano di garantire ai loro parlamentari, e che per quanto riguarda la "sinistra" borghese valgono evidentemente solo per i parlamentari democristiani e teo-dem quando si tratta di boicottare Pacs, fecondazione assistita e altre materie invise al Vaticano!
In realtà, anche se i due senatori della "sinistra radicale" avessero votato, il governo non avrebbe raggiunto lo stesso il quorum. Questo perché sono mancati all'appello voti centristi su cui l'Unione contava, come quello dell'ex dipietrista De Gregorio, che all'ultimo momento ha votato con la Casa del fascio, e i voti di alcuni senatori a vita, come Andreotti che all'ultimo momento ha deciso di votare no, come Cossiga, che aveva già annunciato voto contrario, e Scalfaro, che era assente per malattia. Clamoroso il caso dell'industriale Pininfarina, assente dall'aula da mesi, convinto da Fassino a venire a votare, e che poi ha votato invece con la Casa del fascio. Evidentemente i leader dell'Ulivo, oltre che dei rinnegati e dei traditori del popolo, sono anche degli incapaci e dei mentecatti che non sanno fare nemmeno i conti e sono ridotti al punto di mettersi nelle mani infide di vecchi volponi democristiani come Andreotti e Cossiga e industriali ultraliberisti come Pininfarina per andare avanti!

Continuità coi governi DC
Eppure il titolare della Farnesina aveva fatto di tutto per magnificare i risultati della politica estera del governo e prendere i voti degli uni e degli altri. Per ingraziarsi Andreotti, Cossiga e l'UDC di Casini ha perfino rivendicato la continuità della sua politica estera con quella dei vecchi governi democristiani, da De Gasperi fino ai governi del Caf (Craxi, Forlani, Andreotti), sostenendo che è "coerente con le grandi scelte condivise su cui si è sempre fondata, nella sua tradizione migliore, la politica estera italiana". Secondo il rinnegato D'Alema, quindi, la proclamata "discontinuità" col governo Berlusconi non è altro che la ripresa e la continuazione della vecchia politica estera dei governi DC, che la parentesi Berlusconi avrebbe secondo lui interrotto. E difatti di quella politica ne ha ribadito tutti i capisaldi, dall'alleanza con gli Usa alla Nato, dall'Onu alla Ue imperialista.
Alla "sinistra radicale" e ai movimenti pacifisti ha sventolato invece come una carota l'inquadramento della politica estera del governo nell'articolo 11 della Costituzione, dalla cui seconda parte discenderebbe a suo dire addirittura la legittimazione dell'interventismo e delle sempre più numerose missioni di guerra in cui si è imbarcato l'imperialismo italiano, da lui spacciato per "multilateralismo". Un discorso particolarmente ipocrita e disgustoso, da parte di chi da capo del governo autorizzò i bombardamenti sulla Jugoslavia senza neanche informare preventivamente il parlamento: altro che rispetto della Costituzione!
Del resto il rinnegato D'Alema non ha certo fatto mistero di qual è l'obiettivo strategico di questa politica: assicurare un nuovo ruolo di protagonista all'imperialismo italiano sulla scena internazionale: a questo risponde in particolare l'impegno militare nel Libano, sotto il cappello dell'Onu per salvare la forma della "missione di pace"; come anche la presenza italiana in Afghanistan, di cui si è sforzato di dimostrare il carattere più civile che militare, ripetendo anche lo stanco e insulso ritornello della "conferenza di pace".
Ma al di là dell'abbondante demagogia pacifista e multilateralista con cui ha cercato di mascherare la politica estera interventista e guerrafondaia del governo, dalla relazione di D'Alema è apparso chiaro che nel concreto l'Italia è schierata con gli Usa e con Israele, con il governo filoamericano e filosionista di Siniora e contro Hezbollah nel Libano, partecipa alla campagna di isolamento e di aggressione dell'imperialismo occidentale contro l'Iran e la Corea del Nord, appoggia le pressioni della Rice, di Olmert e di Abu Mazen per far capitolare Hamas e far accettare ai palestinesi il diktat sionista-imperialista dell'occidente, riconferma l'impegno militare in Afghanistan a tempo indeterminato, e così via.
Quanto alla nuova base di Vicenza, di cui non avrebbe dovuto parlare, il ministro degli Esteri è stato invece chiarissimo nel chiudere ogni spiraglio possibile, dicendo nella relazione che se non ne parlava era perché "non avrei nulla da aggiungere a quanto ha detto il presidente del Consiglio". Aggiungendo per di più, nella replica, che "revocare l'autorizzazione sarebbe da parte nostra un atto ostile nei confronti degli Stati Uniti di cui non si comprenderebbe il senso e che avrebbe degli effetti controproducenti".
Non per nulla la Casa Bianca, tramite Michael Novak dell'American Enterprise Institute, da sempre vicino all'amministrazione Bush, ha fatto sapere di aver accolto la notizia della caduta di Prodi sulla politica estera come "un giorno triste, perché l'Italia è sempre stata una forte alleata nella difesa dei diritti umani, della democrazia e della libertà. La caduta del governo potrebbe far mancare il suo apporto in una fase così decisiva". Novak ha elogiato specialmente Prodi e D'Alema, che hanno preso "posizioni coraggiose. Noi non dimenticheremo mai, tra l'altro, che D'Alema era a palazzo Chigi durante la campagna del Kosovo".
Non si capisce quindi su cosa si fondi l'immediato quanto vergognoso allineamento della "sinistra" radicale alla relazione del ministro, e il suo precipitarsi a tessere le lodi della "discontinuità" che avrebbe segnato con la politica di Berlusconi: "Restano dei punti di dissenso, ma l'impianto è convincente, importante, e conferma la vocazione profondamente innovativa della politica estera del governo italiano", aveva abbaiato entusiasta il cane da guardia dell'Unione, Diliberto, poco prima che la mazzata del voto del Senato si abbattesse sul governo provocandone la caduta. Come non si capisce il senso del documento di alcune associazioni pacifiste, tra cui Arci, Tavola della pace, Gruppo Abele, Libera, ecc., che hanno firmato un documento in cui individuano nel discorso di D'Alema "elementi di discontinuità che caratterizzano la politica estera del nostro governo" e su questa base chiedono al governo Prodi "di andare avanti". Avanti verso l'aumento delle spese militari e delle missioni di guerra, evidentemente.

28 febbraio 2007