Il ddl Moratti sulla docenza: ultimo tassello della controriforma universitaria

Tra le tante controriforme attuate dal governo del neoduce Berlusconi in questa legislatura un posto centrale occupano quelle che hanno rigirato come un calzino il "sistema scolastico ed universitario" per renderlo pienamente funzionale alle esigenze della seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista.
La scuola e l'università sono diventate ancor più un settore strategico per la classe dominante borghese in camicia nera, alle prese con la selvaggia competitività tra monopoli nella "globalizzazione" imperialista, e quindi degli strumenti indispensabili, da un lato per plasmare una forza-lavoro adatta e disponibile a produrre di più a costi minori, dall'altra per formare la futura classe dirigente del Paese.
La già avviata "riforma" dei cicli di studi universitari nello scorso anno accademico, che ha introdotto, accanto al 3+2, il modello ad Y (ossia 1+2+2), il blocco delle assunzioni, il taglio drastico dei fondi di sostentamento delle università pubbliche e al Cnr, con lo scopo di affossarli e/o renderli appetibili sul mercato, il contemporaneo dirottamento dei soldi pubblici verso i cosiddetti "centri d'eccellenza", controllati dai potentati economici e finanziari, dal governo, dal Vaticano e dall'Opus Dei, sono gli ultimi tasselli di quel puzzle ideato da Gelli, Craxi e dallo stesso Berlusconi che porta il nome (non dichiarato) di "università del regime neofascista".
Il primo pezzo fu la controriforma di Ruberti nel 1990 che avviò, sulla base del principio neoliberista "meno Stato più mercato", lo smantellamento dell'università pubblica e la privatizzazione dell'università e della ricerca, l'ultimo pezzo, grazie ancora una volta all'imbelle e connivente opposizione di cartone del "centro-sinistra", è costituito dal Ddl del ministro Moratti "sullo stato giuridico della docenza universitaria", che sta per essere approvato definitivamente dal Senato nero, e che porta dritto alla liberalizzazione della docenza, della ricerca e della professione.
Esso istituisce le "cattedre d'impresa" e restaura "l'idoneità nazionale" per accedere ai concorsi universitari; invece di stabilizzare e riconoscerne il ruolo decisivo per la didattica e la ricerca, licenzia in tronco un gran numero di ricercatori universitari, mettendo in ginocchio la didattica e la ricerca a carattere pubblico; istituisce nuove odiose forme di precariato per addomesticare e sottomettere i ricercatori universitari e i docenti, selezionarli in base alla meritocrazia del regime neofascista ed eliminare quelli non funzionali alle "esigenze formative" del governo, della Confindustria e del Vaticano.
Per questo la coraggiosa lotta intrapresa in molti atenei italiani per affossare il Ddl non è una lotta corporativa, come afferma la Thatcher di viale Trastevere, ma è una battaglia che accomuna tutti i lavoratori dell'università, che li avvicina alla classe operaia in lotta contro la precarizzazione del lavoro e la libertà di licenziamento voluta dai padroni, agli studenti medi e agli insegnanti in lotta per affossare la "riforma dei cicli scolastici", i tagli alla scuola pubblica e i finanziamenti a quella privata e alle parificate, ai lavoratori della sanità che si sono ribellati allo smantellamento strisciante della sanità pubblica. In senso più ampio è parte della lotta di classe perché il movimento dei ricercatori e dei precari afferma esplicitamente la sua contrariatà alla restaurazione dell'università di classe, è parte della lotta antifascista perché, anche se su un solo aspetto, la loro lotta è diretta contro la gentiliana politica sull'"istruzione" del peggior governo del dopoguerra, quello che ha restaurato il fascismo sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli.

Mobilitati per bloccare il "golpe dell'asse Moratti-Pera"
Nel mondo universitario c'è il sentore della gravità della situazione, di essere giunti al punto di non ritorno e dell'importanza quindi di portare fino in fondo la lotta intrapresa, come si può evincere dal comunicato stampa congiunto di tutte le organizzazioni di categoria e sindacali presenti nelle università, emesso il 20 settembre: "Il Ddl alla luce degli emendamenti presentati dal relatore Asciutti mantiene immutati i suoi contenuti essenziali e le sue finalità di smantellare l'università pubblica. Nessuna delle richieste avanzate dalle organizzazioni unitarie della docenza - reclutamento straordinario, eliminazione del precariato, riconoscimento e stabilizzazione del ruolo di ricercatore come terza fascia della docenza, avanzamento di carriera nell'ambito dell'unità del ruolo docente, diritto allo studio, risorse aggiuntive - è stata presa in considerazione dal Governo. Pertanto, ribadendo la nostra netta contrarietà al Ddl e ad una legge finanziaria che ancora una volta sembra penalizzare fortemente la formazione e la ricerca chiamiamo tutti alla mobilitazione per ottenere il ritiro formale del proveddimento".
Il giorno dopo il presidente del Senato Marcello Pera, interrompendo il lavoro della commissione Istruzione, ha forzato la calendarizzazione del Ddl Moratti per ottenerne la veloce approvazione a Palazzo Madama e durissima è arrivata la denuncia e la chiamata alla lotta dell'Associazione nazionale dei docenti universitari (Andu): "la ripresa al Senato dell'iter parlamentare del ddl Moratti si sta trasformando in un golpe politico-accademico per imporre per vie brevi il provvedimento al mondo universitario che invece ne chiede da mesi il ritiro. In violazione di ogni regola e procedura parlamentare la votazione finale della legge è stata fissata per la prossima settimana e addirittura non sembra escluso il ricorso al voto di fiducia. Una procedura senza precedenti voluta da quel minoritario ma potente gruppo accademico che se ne infischia delle ragioni della protesta di tutto il mondo universitario. Si tratta di una gravissima iniziativa di una lobby trasversale, arrogante e potente che dispone della grande stampa e condiziona pesantemente il Parlamento con l'obiettivo di demolire l'Università statale a vantaggio dei `Centri di eccellenza'. L'università - si legge in conclusione del comunicato clamorosamente ignorato dai media del regime - non può assolutamente accettare per il metodo e per il merito l'approvazione di un provvedimento che ne decreterebbe la fine con un danno ingentissimo e irreversibile per l'intero paese. Tutte le componenti, tutti gli organi locali e nazionali dell'Università, tutti coloro che ricoprono cariche accademiche... debbono adottare tempestivamente iniziative e comportamenti adeguati alla gravità della situazione".
L'appello viene subito raccolto dalle associazioni dei ricercatori: "In questo clima di sconsiderata belligeranza da parte dell'asse Pera-Moratti la Rete nazionale dei ricercatori precari aderisce pienamente alla mobilitazione indetta dal Coordinamento dei ricercatori di ruolo ed altre organizzazioni sindacali della docenza per il 27 settembre invitando alla partecipazione gli studenti, i precari, i ricercatori, i docenti, presidi e rettori e tutti coloro che hanno a cuore le sorti della ricerca e della formazione universitaria nel nostro paese".
Noi ci auguriamo che questa lotta vada avanti fino alla vittoria piena, che non potrà dirsi tale finché non avremo buttato giù con la piazza il neoduce Berlusconi e le sue controriforme. Ci auguriamo che coloro che in questi mesi sono scesi in piazza e hanno promosso occupazioni, assemblee e presidi, fino al blocco della didattica, e che adesso si preparano ad un "autunno caldo" con una mobilitazione ancora più grande e massiccia dello scorso anno, trovino ispirazione nella Grande Rivolta del Sessantotto, che si infiammò proprio a partire dalla contestazione studentesca dell'arrogante ministro dell'istruzione Gui e arrivò a porre al centro della propria piattaforma la rivendicazione dell'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti, rilanciata poi dal PMLI.

28 settembre 2005