Il decreto Letta-Berlusconi sul lavoro: un pannicello caldo
Parametri restrittivi per i giovani. Incentivi per le assunzioni temporanee. Niente per gli over 30

Dopo il "decreto del fare" il governo Letta-Berlusconi ha varato un altro pannicello caldo per l'economia. Non altrimenti si può definire infatti il decreto da 1,3 miliardi contenente "misure urgenti per l'occupazione giovanile e contro la povertà nel Mezzogiorno" che il Consiglio dei ministri ha approvato il 26 giugno, contestualmente al rinvio di tre mesi, dal 1° luglio al 1° ottobre, dell'aumento di un punto dell'Iva, compensato da altre misure fiscali equivalenti da 1 miliardo di euro.
Secondo il ministro del Lavoro Giovannini questo cosiddetto "piano nazionale per il lavoro" punta a creare 100 mila nuovi posti di lavoro per i giovani sotto i 30 anni, più altrettante "occasioni di lavoro" tra borse di studio, stage formativi e incentivi all'autoimprenditorialità, che potrebbero abbassare del 2% la disoccupazione giovanile in Italia. Un obiettivo già di per sé modesto, se si pensa che il tasso di disoccupazione tra i giovani in Italia è del 38,5%, tra i più alti in Europa, inferiore solo a Grecia (62,5%), Spagna (56,4%) e Portogallo (42,5%), ma di gran lunga superiore a quello di paesi molto meno sviluppati del nostro come Slovacchia (33,6%), Cipro (32,7%), Bulgaria (28,9%) e Polonia (27,6%). Ma per quanto minimalista anche questo obiettivo, analizzando nel concreto le misure adottate, appare più demagogico e illusorio che reale.
E questo non soltanto per l'esiguità degli stanziamenti, che si riducono in sostanza a meno di 800 milioni di euro, sotto forma di agevolazioni fiscali per le aziende, da spalmare nel quadriennio 2013-2016, più altri 300 circa destinati a programmi formativi, iniziative per l'autoimpiego ecc., mentre i restanti 167 milioni andranno a finanziare una speciale "social card" per i poverissimi del Mezzogiorno. Ma anche a causa dei meccanismi stessi con cui questi già esigui stanziamenti vengono impiegati per favorire l'occupazione giovanile.
Intanto c'è da dire che degli 1,3 miliardi complessivi stanziati dal decreto a tale scopo, 1 miliardo viene dirottato dai fondi strutturali della Ue già destinati a finanziare misure per l'occupazione giovanile. Il solito gioco di bussolotti propagandistico, insomma, con cui il governo si fa bello spostando semplicemente delle voci contabili da una casella all'altra. E gli altri 300 milioni mancanti, come saranno reperiti? "Con risorse fresche ottenute dal taglio di spese", è stata la poco rassicurante precisazione di Letta. Vero è che il presidente del Consiglio è tornato dal Consiglio europeo del 28 giugno vantando di aver ottenuto per l'Italia altri 1,5 miliardi di fondi Ue per l'occupazione giovanile, anziché i 500 milioni previsti, ma quando e come saranno impiegati è ancora tutto da definire, e quindi non possono essere impiegati per coprire le risorse mancanti al decreto.

Condizioni super restrittive per le agevolazioni
A parte questo non trascurabile particolare, cioè su chi sarà chiamato a pagare effettivamente il costo dell'operazione, ci sono anche diversi altri aspetti che ne mettono fortemente in dubbio gli obiettivi tanto sbandierati con questo provvedimento. Si parla infatti di destinare 500 milioni per le regioni del Mezzogiorno e di 294 milioni per tutte le altre per incentivare l'assunzione di lavoratori in età compresa tra 18 e 29 anni che dispongano di almeno uno tra i seguenti requisiti: siano senza lavoro regolarmente retribuito da almeno sei mesi; siano privi di diploma di scuola superiore o professionale; siano lavoratori che vivono da soli con una o più persone a carico. L'incentivo per il datore di lavoro è pari a un terzo della retribuzione lorda imponibile ai fini previdenziali, durerà 18 mesi e non potrà superare 650 euro per lavoratore. Durerà invece 12 mesi per la trasformazione di contratti da tempo determinato a tempo indeterminato.
Balza subito agli occhi che tutte queste limitazioni rendono quantomeno esigua la platea dei possibili "fortunati": non solo sono esclusi infatti tutti coloro - e sono ovviamente tantissimi - che hanno più di 30 anni d'età, ma sono esclusi anche tutti i diplomati e i laureati, che oggi come oggi rappresentano forse la gran parte dell'enorme esercito del precariato. Quanto alla terza condizione si tratta di una vera e propria presa per i fondelli, in quanto neanche a cercarlo col lanternino si riuscirebbe a trovare un giovane lavoratore che sia disoccupato ma che guadagni però abbastanza da abitare da solo mantenendo se stesso e una o più persone a carico.
Ma anche a prescindere da tutto ciò, il problema fondamentale è che gli incentivi fiscali concessi alle imprese non si traducono automaticamente in posti di lavoro aggiuntivi, come hanno messo in evidenza anche autorevoli economisti borghesi e come dimostra l'esperienza di analoghe iniziative fatte in passato. Studi recenti, riportati anche dall'economista Tito Boeri, dimostrano al contrario che la maggior parte delle somme stanziate sono andate ad imprese che avrebbero comunque assunto quei lavoratori. Semplicemente tali imprese hanno sfruttato gli incentivi per risparmiare su lavoratori che gli servivano in ogni caso. E c'è anche il rischio, come dimostra l'esempio della Spagna, che data la brevità del periodo di validità degli incentivi, le imprese assumano lavoratori per poi licenziarli alla fine di tale periodo. E magari riassumerne altri per godere di nuovo degli incentivi.
Il giurista del lavoro Piergiovanni Alleva, in un'intervista a il manifesto del 30 giugno, denuncia senza mezzi termini che "questi incentivi sono in realtà finanziamenti a pioggia. Il problema è che in Italia non c'è domanda di lavoro. Questi incentivi non faranno assumere nessuno e si presteranno a fenomeni speculativi da parte delle aziende". Specialmente, viene da aggiungere, se si tratta di piccole imprese, dove le tutele sono poche o inesistenti, e specialmente adesso, dopo l'abolizione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori imposta dalla legge Fornero.

Altre misure demagogiche e inconsistenti
È vero che a tali inconsistenti incentivi alle assunzioni, che oltretutto si prestano anche ad abusi, il decreto affianca altre misure volte a incidere in qualche modo sulla spaventosa disoccupazione giovanile, ma si tratta di altrettanti pannicelli caldi di ancor più improbabile efficacia, come gli stage di tre mesi, rimborsati con 200 euro mensili da parte dello Stato e di altri 200 da parte del soggetto, pubblico o privato, che offre il tirocinio, e altre iniziative per promuovere l'alternanza tra studio e lavoro. Il tutto a fronte di uno stanziamento complessivo di soli 15 milioni di euro, più altri 2 per le amministrazioni che non hanno risorse per pagare gli stage.
Qualcosa di più è destinato ai giovani del Mezzogiorno, ma comunque sempre poco, sempre solo per la fascia dai 18 ai 29 anni, e per altre iniziative aleatorie e solo temporanee: come gli 80 milioni per iniziative volte a promuovere l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità, altri 80 per "progetti di valorizzazione dei beni pubblici e per l'inclusione sociale" e 168 per "borse di tirocinio formativo" per giovani che non studiano né lavorano. In ogni caso non si vede come da misure tanto demagogiche quanto inconsistenti possano scaturire come per magia altri 100 mila nuovi posti di lavoro.
Vi sono infine misure di "revisione" della legge Fornero n. 92/2012 sul "mercato del lavoro" che a detta del ministro Giovannini dovrebbero favorire l'occupazione giovanile introducendo una "flessibilità buona", ma che in realtà nascondono delle ulteriori insidie ai diritti dei lavoratori che sembrano fatte a sommo studio: come per esempio il ritorno a 10-20 giorni dell'intervallo tra due contratti a tempo determinato a sei mesi, che con la Fornero era stato prolungato a 60-90 giorni. Una misura di ripristino alla situazione precedente che era stata inizialmente criticata dai vertici di CGIL, CISL e UIL perché un intervallo così corto poteva prestarsi ad abusi mascherando un lavoro a tempo indeterminato di fatto come una sequenza di contratti a tempo determinato, ma che alla fine è stata accettata a scatola chiusa come l'intero provvedimento: giudicato "un segnale sicuramente positivo" dalla Camusso, "un primo segnale positivo" da Bonanni e "un primo passo" da Angeletti.
Tutto ciò avvalora il sospetto che il governo Letta-Berlusconi abbia concordato preventivamente con i tre segretari confederali il via libera al provvedimento. Ancora il giuslavorista Alleva, a questo proposito, denuncia altri meccanismi, accettati senza battere ciglio da Epifani e Camusso, che configurano un micidiale attacco ai diritti dei lavoratori mascherato come semplici misure di supporto all'occupazione giovanile: si tratta della possibilità per le aziende non solo di prorogare fino a 24 mesi il primo contratto a termine, ma anche di non dover dichiarare la causa per cui richiede i contratti a termine, se ciò è ammesso nei contratti firmati dai "sindacati rappresentativi", anche a livello aziendale. Il che svela l'inciucio segreto tra governo Letta-Berlusconi e vertici di CGIL, CISL e UIL che sta alla base di questo provvedimento demagogico e truffaldino e rappresenta solo una prima nefasta conseguenza del vergognoso accordo sulla rappresentanza sindacale.

3 luglio 2013