Motivazioni della sentenza della cassazione
Dell'Utri mediò tra Berlusconi e la mafia
L'ex premier pagò Cosa nostra per essere protetto

Il 24 aprile la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha reso pubbliche le motivazioni della sentenza con cui il 9 marzo ha annullato con rinvio la condanna in appello a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa inflitta al senatore del PDL Marcello Dell'Utri il 29 giugno scorso dalla Corte d'Appello di Palermo.
È "probatoriamente dimostrato", scrive la quinta sezione penale della Cassazione presieduta da Aldo Grassi, che Marcello Dell'Utri "ha tenuto un comportamento di rafforzamento dell'associazione mafiosa fino a una certa data, favorendo i pagamenti a Cosa nostra di somme non dovute da parte di Fininvest. Tuttavia va dimostrata l'accusa di concorso esterno per il periodo in cui il senatore di Forza Italia lasciò Fininvest per andare a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda, tra il 1977 e il 1982″. Secondo la suprema Corte il giudice del rinvio dovrà "nuovamente esaminare e motivare se il concorso esterno contestato sia oggettivamente e soggettivamente configurabile a carico di Dell'Utri, anche nel periodo di assenza dell'imputato dall'area imprenditoriale Fininvest e società collegate".
Secondo i giudici della Cassazione, dal 1977 al 1982, l'imputato sarebbe passato alle dipendenza dell'imprenditore Rapisarda e, quindi, per questo periodo c'è un "vuoto argomentativo" non essendo stato provato, essendoci tale sospensione di rapporti di lavoro, la continuazione del rapporto di intermediazione mafiosa tra Berlusconi e Dell'Utri.
Mentre, nel decennio successivo, ossia tra il 1982 e il 1992, anche se i rapporti tra Dell'Utri e gli uomini di Cosa nostra continuano insieme ai pagamenti di Berlusconi, i giudici di Palermo, si legge ancora nelle motivazioni, non hanno dimostrato con certezza se questi rapporti fossero ancora determinati da "reciproco interesse", o se invece il braccio destro di Berlusconi non fosse diventato in sostanza una vittima.
Anche perché nel 1981 i "garanti del patto", i boss Stefano Bontate e Mimmo Teresi vengono inghiottiti dalla guerra di mafia che apre la strada ai Corleonesi di Totò Riina. "La corte territoriale", si legge nelle motivazioni, ha trascurato "del tutto quello che apparirebbe un rapporto estremamente teso tra Dell'Utri riluttante ai pagamenti e i vertici mafiosi del dopo Bontate", compreso Riina, "autore di repliche perentorie e/o di attentati".
Insomma, anche se Dell'Utri è stato davvero il "mediatore" tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra, alla quale il Cavaliere di Arcore pagò "cospicue somme" per la sua sicurezza e quella dei suoi familiari. Anche se Dell'Utri ha davvero contribuito al "rafforzamento dell'associazione mafiosa", per i giudici della suprema corte il senatore del PDL deve essere nuovamente processato perché il reato è compiutamente provato soltanto fino al 1977, e non per gli anni successivi.
Questo passaggio segna un punto fondamentale per l'intera vicenda processuale in quanto fissa il calcolo della prescrizione che, secondo i calcoli della stessa cassazione, scadono nel 2014, ed è dunque determinante ai fini di una condanna definitiva o meno.
Un caso che ricalca quello di un altro processato per la sua contiguità a Cosa nostra, Giulio Andreotti, che, secondo la sentenza definitiva, ha favorito la mafia "fino alla primavera del 1980", e il relativo reato al momento della sentenza definitiva risultò già prescritto.
Nelle motivazioni viene riassunto il ruolo svolto da Berlusconi che, per i giudici in un primo momento paga Cosa nostra "in stato di necessità" per assicurare la sua protezione e quella dei suoi cari. Ma in un altro passaggio si legge che "la consorteria mafiosa aveva, grazie all'iniziativa di Dell'Utri che si era posto come trait d'union, siglato con l'imprenditore un patto, all'inizio non connotato e tanto meno sollecitato da proprie azioni intimidatorie (la suprema Corte cita al proposito le emergenze probatorie a sostegno della tesi che le minacce ricevute da Berlusconi fossero di matrice catanese ma soprattutto calabrese) oltre che finalizzato alla realizzazione di evidenti risultati di arricchimento".
Nelle motivazioni è citato anche la presunta estorsione di Dell'Utri denunciata dall'imprenditore trapanese Vincenzo Garraffa a proposito della sponsorizzazione di Publitalia alla sua squadra di pallacanestro. Una vicenda che secondo i giudici di Cassazione, vale come "indicatore dei rapporti che Dell'Utri", ancora nei primi anni Novanta, "intratteneva con personaggi di caratura mafiosa per risolvere, con o senza iniziative intimidatorie, questioni di interesse patrimoniale".
Infine la Cassazione ritiene pienamente confermato l'incontro del 1974 tra Berlusconi, Dell'Utri e i capimafia Francesco Di Carlo, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, raccontato tra l'altro dallo stesso Di Carlo, collaboratore di giustizia. In uno degli uffici del futuro presidente del consiglio, in foro Bonaparte a Milano, fu presa la "contestuale decisione di far seguire l'arrivo di Vittorio Mangano presso l'abitazione di Berlusconi in esecuzione dell'accordo" sulla protezione ad Arcore. I giudici di merito hanno trovato un "preciso riscontro nelle dichiarazioni di altro collaboratore, il Galliano, il quale aveva riferito di avere appreso i dettagli di quello stesso incontro e del suo scopo, forniti da Cinà nel corso di un pranzo con altri esponenti mafiosi nel 1986". La tenuta delle prove dell'incontro diretto tra Berlusconi e i boss erano state messe fortemente in dubbio da Francesco Iacoviello, il sostituto procuratore generale dell'udienza in Cassazione su Dell'Utri.
Pienamente comprovato anche "il tema dell'assunzione -per il tramite di Dell'Utri- di Mangano ad Arcore come la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa nostra" e "il tema della non gratuità dell'accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore del sodalizio mafioso che aveva curato l'esecuzione di quell'accordo, essendosi posto anche come garante del risultato".
Nelle 146 pagine di motivazioni, la suprema Corte parla "senza possibilità di valide alternative di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell'Utri che, di quella assunzione, è stato l'artefice grazie anche all'impegno specifico profuso da Cinà".

6 giugno 2012