Sciolto il parlamento. Elezioni il 24 e 25 febbraio
Monti si è dimesso e si candida a premier dei "centristi"
Solo il socialismo può cambiare l'Italia, abbattere il capitalismo e la dittatura della borghesia e dare il potere al proletariato

Il 22 dicembre il capo dello Stato ha firmato il decreto di scioglimento delle Camere. Contemporaneamente il Consiglio dei ministri fissava al 24 e 25 febbraio la data delle elezioni. Il giorno dopo il presidente del Consiglio ha tenuto la prevista conferenza stampa di fine anno, che nell'occasione si è trasformata nell'annuncio della sua imminente discesa in campo (anzi "salita", come l'ha chiamata per distinguersi polemicamente da Berlusconi), e nel lancio del suo programma politico, esposto in un documento intitolato "Cambiare l'Italia, riformare l'Europa, agenda per un impegno comune".
Si tratta della cosiddetta "agenda Monti" che - ha sottolineato il premier - "non è indirizzata alla destra, al centro o alla sinistra ma erga omnes", cioè a tutti, aggiungendo che alle forze che la adotteranno lui è pronto a dare il suo consenso "e, se richiesta, la mia guida". Fino ad essere il loro candidato a Palazzo Chigi? "Se una o più forze politiche manifestassero il proposito di candidarmi a presidente del Consiglio, valuterei la cosa", ha risposto Monti annunciando con ciò di fatto l'intenzione di partecipare alla competizione elettorale, cosa che ha confermato ufficialmente dopo l'accordo raggiunto il 28 dicembre con i "centristi" di Casini, Fini e Montezemolo.

Monti presenta il suo progetto politico
A confermare di aver ormai sciolto la riserva sulla sua entrata in lizza sono stati anche i severi giudizi rivolti per la prima volta a Berlusconi, cogliendo l'occasione per respingere ufficialmente al mittente la proposta di prendere la testa dei "moderati", Lega compresa, nel qual caso il neoduce si sarebbe "ritirato" dalla competizione. Proposta che del resto Monti sapeva essere puramente propagandistica e fatta da Berlusconi solo per coprirsi dalle accuse internazionali di aver fatto cadere il suo governo mettendo a repentaglio la stabilità politica dell'Italia.
Ma Monti ha preso le distanze anche dal PD, non perché egli abbia delle riserve personali su Bersani come per Berlusconi, dato che anzi il leader del PD "è un più che credibile candidato premier di una coalizione", ma piuttosto perché nella sua coalizione ci sono Vendola e la CGIL, che "frenano sulla riforma del lavoro e l'accordo sulla produttività" e sono "arroccati su forme di tutela che erano molto giustificate un tempo ma che finiscono oggi per penalizzare i lavoratori". Successivamente, in una delle tante comparsate televisive in cui si è subito lanciato con piglio presidenzialista, si è spinto addirittura fino ad incitare il leader del PD a "silenziare" quelle "ali estreme".
Monti ha delineato insomma i contorni della sua lista, che non intende limitarsi semplicemente al perimetro elettorale circoscritto ai "centristi", ma ambisce a scardinare il bipolarismo di PD e PDL, attirando forze da entrambi gli schieramenti, alcune delle quali hanno cominciato a trasmigrare da entrambe le parti (vedi Ichino dal PD e i "popolari per Monti" usciti dal PDL), per proporsi nel prossimo futuro come un partito a vocazione maggioritaria fortemente ancorato alla sua agenda. Se questa non è la nuova DC da molti preconizzata e auspicata, è comunque qualcosa di molto simile. Anche il suo amico e supporter Scalfari, sconcertato dalla sua strategia di contrapposizione al PD, quando molti punti della sua agenda sono sostanzialmente simili a quelli del programma di Bersani, si è chiesto su la Repubblica se Monti non voglia rifare una nuova DC. Il suo timore è che egli punti ad indebolire Bersani per creare un risultato elettorale di ingovernabilità, così da riproporsi come premier di un governo di salvezza nazionale.

L'appoggio della chiesa italiana e del Vaticano a Monti
Non a caso, a conferma dei timori del liberale Scalfari, la chiesa sembra aver rotto gli indugi per appoggiare ormai apertamente il progetto politico di Monti. Non solo quella italiana, con in testa Bagnasco ("sulla onestà e capacità di Monti penso che ci sia un riconoscimento comune sia in Italia che all'estero", ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale italiana), ma anche il Vaticano è sceso direttamente in campo a suo favore, tramite le dichiarazioni del segretario di Stato, Bertone. Quest'ultimo, che fino a ieri puntava su un PDL più "presentabile" senza Berlusconi, con Alfano come suo leader e alleato con Casini, sembra essersi spostato decisamente su Monti dopo il flop di Alfano e la ridiscesa in campo dell'ormai sputtanato (in tutti i sensi) neoduce di Arcore. Se n'è accorto benissimo anche quest'ultimo, tanto che in un'intervista al Gr1 è sbottato tra il suadente e il minaccioso: "Si ricordino che cosa abbiamo fatto per la chiesa durante i nostri governi"! Un segnale lanciato evidentemente alle correnti ecclesiastiche e vaticane più retrive e oltranziste che tifano ancora per lui.
Ma quel che più conta è un editoriale dell'Osservatore romano di aperto appoggio a Monti, in cui si rivela anche che lo stesso Ratzinger ha telefonato non solo a Napolitano, ma anche a Monti (che non è un capo di Stato) per fare gli auguri di Natale, intrattenendo con lui un colloquio "particolarmente cordiale". E questo editoriale è uscito proprio nel giorno, il 28 dicembre, della riunione segreta in un convento romano tra Monti, accompagnato da Passera e Riccardi, i rappresentanti di UDC, FLI, API e Italia futura di Montezemolo, in cui è stata decisa la presentazione di una lista unica al Senato con il riferimento a Monti e alla sua agenda. Alla Camera ci sarà invece solo una lista civica montiana, denominata "Scelta civica con Monti per l'Italia", mentre UDC e FLI si sono voluti presentare separatamente nella convinzione di raccogliere più voti, pur consentendo a formare un unico gruppo parlamentare con i montiani.
Ma gli appoggi a Monti non arrivano solo dalla chiesa e dal Vaticano: si sono dichiarati apertamente per Monti tutti gli ambienti della grande finanza nazionale e internazionale e delle istituzioni europee, come il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, il presidente dell'europarlamento Shultz e il premier francese Hollande. E dopo gli abbracci con Marchionne stanno fioccando anche gli appoggi degli industriali, con una cordata di imprenditori che ha già raccolto 15 milioni di euro per la sua campagna elettorale.

Le reazioni di Berlusconi e Bersani
L'ingresso di Monti nell'arena elettorale non poteva che impensierire seriamente sia Berlusconi che Bersani, che temono l'erosione dei rispettivi elettorati da parte delle liste del premier. Il primo infatti, nelle sue alluvionali interviste che stanno appestando l'intero universo mediatico, definisce "immorale" la sua candidatura, ripete schiumante di rabbia che Monti sarà "uno dei tanti leader o leaderini che affollano il campo della politica", aggiungendo che per lui è stato "una delusione", si è trasformato "nel vicecapo di Casini" e la sua è una "anomala armata Brancaleone che fa da ruota di scorta alla sinistra". Ed è tornato a minacciare che se vincerà lui formerà una commissione d'inchiesta sulla caduta del suo ultimo governo e la nascita del governo Monti, inchiesta che riguarderà anche Napolitano. Intanto è riuscito a incassare lo sconcio accordo di scambio con Maroni che dovrebbe garantire al leader leghista la Lombardia e a se stesso, sfruttando i vantaggi del "porcellum", una corposa e fidata rappresentanza in Senato per rendere impossibile la vita ad un eventuale governo di "centro-sinistra".
Quanto a Bersani, ha mostrato il suo malumore borbottando di una "caduta di stile", di una "sbavatura delle regole" da parte del premier, che "questa roba del centro nasce nel chiuso di una stanza... è una cosa che parte già vecchia, che ricorda riti superati", avvertendolo che "adesso deve separare le funzioni dello Stato dall'attività politica del suo partito". Cosa che ha stoppato subito la ventilata candidatura della ministra dell'Interno Cancellieri.
Anche Napolitano, che non aveva fatto mistero di non vedere di buon occhio una candidatura del premier, forse vedendolo come suo successore, ha finito per fare buon viso e legittimare la sua "salita in campo": "Il senatore Monti - ha detto in un passaggio del suo discorso di Capodanno - ha compiuto una libera scelta di iniziativa programmatica e di impegno politico. Egli non poteva candidarsi al Parlamento, facendone già parte come senatore a vita. Poteva, e l'ha fatto - non è il primo caso nella nostra storia recente - patrocinare, dopo aver presieduto un governo tecnico, una nuova entità politico-elettorale, che prenderà parte alla competizione al pari degli altri schieramenti. D'altronde non c'è nel nostro ordinamento costituzionale l'elezione diretta del primo ministro, del capo del governo". Una sottolineatura alquanto ipocrita, quest'ultima, mirante a coprire il presidenzialismo ormai imperante e anche da lui stesso avallato e promosso, dato che poi ha ribadito che darà l'incarico di premier al leader della coalizione vincente.
Quel che è certo è che a chiunque lo dia, Monti o Bersani - dando per esclusi in partenza Berlusconi e Grillo, perché presupporrebbe una situazione di totale ingovernabilità e di ritorno alle urne - il programma del prossimo governo sarà comunque quello dell'"agenda Monti", dato che anche Bersani condivide sostanzialmente la filosofia generale e anche molti dei punti specifici di quel programma, e dato anche che è andato in giro tra le cancellerie europee a rassicurarle che se andrà al governo continuerà la sua politica di "rigore".

L'"agenda Monti" iperliberista
L'"agenda Monti" è un concentrato della filosofia liberista, antisindacale e antioperaia già ampiamente mostrata e attuata dal finanziere massone e liberista borghese, e che emerge palesemente al di là di alcune proposizioni tanto demagogiche quanto evanescenti, fatte solo per rosicchiare voti a sinistra, come una pseudo-patrimoniale che "non causi fughe di capitali", una "drastica riduzione" degli emolumenti ai politici, la revisione del falso in bilancio, della legge sull'incandidabilità dei condannati e "una più robusta disciplina sulla prevenzione del conflitto di interessi", incentivi per la "green economy", per la ricerca e per rilanciare scuola e università.
Ben più concrete e dettagliate sono, infatti, tutte le altre proposizioni dell'"agenda", che riguardano invece: la riaffermazione dei vincoli finanziari europei, di quelli militari atlantici e della politica interventista e la riduzione del debito pubblico ai ritmi infernali fissati dal "fiscal compact"; la dismissione del patrimonio pubblico e la micidiale "spending review", che in poche parole non è nient'altro che la politica dei tagli selvaggi allo "Stato sociale", la produttività e il merito come "metodo ordinario" di gestione dell'amministrazione pubblica; "l'apertura del mercato dei beni e dei servizi", che significa la privatizzazione dell'acqua e degli altri beni pubblici primari.
A ciò si aggiunga il "decentramento della contrattazione salariale" e lo "spostamento della contrattazione collettiva sui luoghi di lavoro", sulla base dell'accordo truffa sulla produttività firmato l'ottobre scorso con i sindacati crumiri; nessun accenno a finanziamenti alla scuola pubblica, bensì la meritocrazia tra gli insegnanti tramite test INVALSI e INDIRE come unico intervento per risollevarla; la difesa della controriforma Fornero delle pensioni e l'"invecchiamento attivo" per promuovere l'assunzione di anziani che non hanno ancora maturato l'età per la pensione; la controriforma dello Stato sociale per renderlo "compatibile" con le politiche europee di "rigore" finanziario, la legge sulle intercettazioni e così via. È stupefacente che il segretario liberale del PD non abbia trovato nulla da ridire su questa micidiale agenda iperliberista, salvo di non vederci "niente di sorprendente". Evidentemente perché la condivide in larga misura.
Perciò la classe operaia, i giovani e le masse popolari non hanno nulla da aspettarsi a loro favore da questa competizione elettorale tra borghesi di destra, di centro e di "sinistra". L'unica vera scelta elettorale per gli anticapitalisti è quella astensionista, per delegittimare le istituzioni rappresentative borghesi e creare le premesse per le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo. I fatti dimostrano che solo il socialismo può cambiare l'Italia, abbattere il capitalismo e la dittatura borghese e dare il potere al proletariato.

9 gennaio 2013