Impotente di fronte agli intrighi dei cardinali il papa getta la spugna
Ratzinger: Mi dimetto per salvare la Chiesa
La Chiesa cattolica travolta dagli scandali finanziari, dei preti pedofili e dell'affare Vatileaks

"Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino...": con queste parole, pronunciate in latino durante il concistoro dell'11 febbraio, che hanno sbigottito gli stessi cardinali presenti alla cerimonia e lasciato attonito l'intero mondo cattolico, Joseph Ratzinger ha annunciato la sua decisione irrevocabile di lasciare il ministero papale dopo quasi sette anni di pontificato.
Una decisione clamorosa e densa di incognite, la sua, perché non era mai successo, almeno dalla fine del XIII secolo con l'abdicazione di Celestino V, che un papato terminasse prima della morte del suo titolare. Una decisione che Benedetto XVI ha motivato con l'età avanzata e il venir meno delle proprie forze, spiegando che "nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato". E che per questo, "ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà", dichiarava di "rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, successore di San Pietro", annunciando che dal 28 febbraio la sede di Roma resterà vacante e dovrà essere convocato il Conclave per eleggere un nuovo papa.
In realtà, passata la sorpresa iniziale, molti hanno fatto osservare che questa decisione non è stata improvvisa e imprevista, ma viene da una lunga maturazione, visto che già nel 2010, in un'intervista al suo biografo tedesco Peter Seewald, Ratzinger aveva detto che in certi momenti, se la chiesa non è in pericolo, "quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l'incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi". Nel gennaio 2012 c'era stato poi il "giallo" delle voci che annunciavano la "morte" di Benedetto XVI entro la fine dell'anno, voci che a questo punto si spiegherebbero come un'anticipazione, sia pure in forma distorta, di quello che poi è effettivamente successo: la fine del suo papato più o meno nei tempi preconizzati. E comunque, anche secondo l'organo ufficiale della Curia romana, L'Osservatore romano, la decisione del papa era maturata fino dal marzo 2012, dopo il suo viaggio in Messico e a Cuba.

Le cause delle dimissioni
Se così stanno le cose, quali sono allora le cause che hanno portato Ratzinger a una scelta così grave da infrangere secoli di consuetudini, giacché l'età avanzata e le condizioni di salute possono rappresentare quelle soggettive ma non quelle oggettive atte a spiegarla? Lui stesso del resto lo fa capire, alludendo ad un mondo di oggi "soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede", e alle conseguenti difficoltà nel "governare la barca di San Pietro". Parole dietro le quali non si può non cogliere, per esempio, l'eco di alcune gravi vicende che hanno travagliato gli anni del suo pontificato, come lo scandalo dei preti e vescovi pedofili, con le centinaia di abusi sessuali nelle chiese che dal 2002 vengono denunciati in Europa e America; le vicende dello Ior (Istituto opere di religione), ossia la banca del Vaticano, che dopo la stagione torbida di Sindona, di Calvi e del vescovo Marcinkus, tuttora stenta a voltare pagina e dotarsi di una gestione trasparente; e l'affare Vatileaks, con la fuga di documenti segreti dalle stanze vaticane che ha scoperchiato gli intrighi e le lotte intestine che agitano gli ambienti della Curia romana e gli uomini a diretto contatto col papa.
Tutte piaghe ancora aperte e purulente e che il papa tedesco non ha saputo e forse neanche voluto cauterizzare, come lo scandalo della pedofilia, che ha visto troppe omissioni, coperture e compromessi da parte vaticana per potersi dichiarare estirpato: tant'è vero che è di queste ultime ore la denuncia del New York Times riguardante l'ex-arcivescovo di Los Angeles, Roger Mahony, che nonostante sia stato rimosso per aver coperto decine di casi di pedofilia nella sua arcidiocesi, è in procinto di partire per Roma dove parteciperà a pieno titolo ai lavori del conclave. Tra l'altro il quotidiano newyorchese accusa anche l'ex segretario di Stato di Wojtyla, Angelo Sodano, di aver preso 15 mila dollari dal prete messicano Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, responsabile di abusi sessuali.
Anche il caso Vatileaks è tutt'altro che chiuso dopo il "perdono" in cambio del silenzio concesso a dicembre da Ratzinger al suo ex maggiordomo personale Paolo Gabriele, arrestato lo scorso maggio con l'accusa di essere il "corvo" che faceva uscire dal Vaticano documenti riservati che hanno squadernato sui media gli intrighi nella Curia, in particolare quelli operati dal segretario di Stato Tarcisio Bertone, e segnatamente riguardanti la lotta scatenatasi intorno alla gestione dello Ior, culminata con la defenestrazione del suo presidente Ettore Gotti Tedeschi (cfr. Il Bolscevico n. 23 del 14/6/2012).

Gli intrighi della Curia vaticana
Secondo l'interpretazione più diffusa Bertone avrebbe assunto un potere sproporzionato nella Curia, dopo la sostituzione degli uomini del suo predecessore e rivale, Sodano, opponendosi anche agli sforzi di Ratzinger, di Gotti Tedeschi e dei cardinali considerati progressisti, Nicora e Tauran, due tra i componenti la commissione di vigilanza sullo Ior, per cercare di riportare nella legalità la banca vaticana accusata dalla magistratura di operare come un "paradiso fiscale" praticante il riciclaggio e altri affari poco puliti. Sta di fatto però che Ratzinger si è sempre opposto a quanti, come l'ex arcivescovo di Milano Tettamanzi, gli chiedevano di destituirlo, e oggi, dopo le sue dimissioni, il segretario di Stato assume automaticamente le funzioni di camerlengo, cioè la figura chiave nell'organizzazione e nella gestione del conclave che dovrà eleggere il nuovo papa.
Nella sua nuova veste gli è riuscito anche di sostituire Nicora con un suo uomo, anche se non gli è riuscito di completare l'opera facendo eleggere il suo candidato alla presidenza dello Ior, che è andata invece al candidato gradito a Ratzinger e a Sodano, il banchiere tedesco Ernest Von Freyberg, sovrano militare dell'Ordine di Malta, organizzatore di viaggi a Lourdes, azionista tra l'altro di una società che costruisce anche navi da guerra.
Oltre a Bertone, nell'elezione del nuovo papa, che vede tra i favoriti l'arcivescovo di Milano Angelo Scola, vicino a Comunione e liberazione (Ratzinger gli ha detto che la Lombardia "deve essere il cuore credente dell'Europa"), giocheranno sicuramente ruoli decisivi il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, la cui recente alleanza con Bertone è stata però messa in dubbio, i reazionari Ruini e Fisichella, molto legati ancora al neoduce Berlusconi, l'Opus dei e la Comunità di Sant'Egidio del ministro Riccardi.
È anche a questi intrighi e lotte intestine tra correnti nella Curia e nell'episcopato italiano, che ora si vanno schierando in vista della battaglia per la sua successione, che papa Ratzinger si riferiva il 13 febbraio, alla cerimonia dell'imposizione delle ceneri nella basilica di San Pietro, invitando a riflettere "su come il volto della chiesa venga a volte deturpato da colpe contro l'unità della Chiesa e divisioni del corpo ecclesiale. Bisogna superare individualismi e rivalità". Lotte e intrighi che non è stato capace di governare e che alla fine lo hanno sopraffatto costringendolo a gettare la spugna.

I molti fattori di crisi della Chiesa
Ma ci sono anche motivi più generali che hanno concorso alla sua resa, e che vanno al di là delle mura vaticane. C'è per esempio la crisi delle vocazioni, che pone una pesante ipoteca sul ricambio del corpo sacerdotale, c'è la questione del superamento del celibato per gli ecclesiastici, e quella del sacerdozio femminile, che sono sempre più ineludibili per la Chiesa cattolica. Ci sono poi le questioni della sessualità, dell'aborto, del controllo delle nascite, dell'uso del preservativo, della procreazione assistita, delle coppie di fatto e dei matrimoni gay ecc., che premono sempre più alle porte leonine e che le gerarchie ecclesiastiche non possono continuare ad ignorare e trattare con gli stessi argomenti che usano immutati da secoli.
C'è inoltre la questione gigantesca dei rapporti con le altre religioni, in particolare della perdita di terreno della Chiesa cattolica nei confronti dell'avanzare dell'Islam nel mondo, che il discorso di Ratisbona di Ratzinger nel 2006, che fece indignare il mondo musulmano, mise drammaticamente in evidenza frustrando il tentativo del papa tedesco di riaffermare fin dall'inizio del suo pontificato la supremazia del cattolicesimo nella società e nel mondo: missione per la quale era stato espressamente eletto dai cardinali più reazionari come successore del papa nero Wojtyla, ma che nel corso degli anni si è evidentemente dimostrata superiore alle sue forze. Persino all'interno dello stesso mondo cattolico è sempre più evidente il problema dell'enorme squilibrio di rappresentanza nella Chiesa cattolica della componente europea (e all'interno di questa, quella italiana) rispetto alle altre realtà continentali: in particolare quella africana, la più numerosa, e quella latino-americana, che viene subito dopo.

Adattarsi o andare incontro al declino
Tutti questi problemi sono alla base della gigantesca crisi che sta attraversando la Chiesa cattolica, e di cui le dimissioni di Ratzinger sono solo un riflesso della difficoltà di adattamento e di sopravvivenza di un'istituzione vecchia di 2000 anni, peraltro maestra in quest'arte, ma che stenta a tenere ormai il passo con l'incalzare di queste trasformazioni. Ma c'è un fattore ancor più generale che sta a monte di questa crisi della Chiesa, ed è la crisi del capitalismo. È dal tempo dell'imperatore romano Costantino (IV secolo dopo Cristo) che la Chiesa cattolica si adatta, si compenetra e si identifica con i sistemi economici, sociali e politici di classe che si alternano sulla scena della storia: schiavitù, feudalesimo, capitalismo. Identificatasi ormai da secoli col capitalismo occidentale, che ha sempre servito e col quale ha condiviso potere e privilegi nella sua espansione mondiale, oggi la Chiesa cattolica non può che condividerne ineluttabilmente anche il declino storico e la crisi economica e di valori devastante.
Sotto questa luce le dimissioni del papa rappresentano anche un tentativo disperato della Chiesa di cambiare passo per cercare ancora una volta di adattarsi alle nuove condizioni e continuare a sopravvivere nel mondo in trasformazione, mettendo sul tappeto il problema di una almeno parziale desacralizzazione dell'ormai ingessata e anacronistica istituzione papale e di una gestione più "laica" e pragmatica del potere gerarchico. Le componenti cattoliche progressiste ci vedono speranzosamente un'occasione per riprendere il cammino conciliare e "aprirsi al mondo", come il teologo Vito Mancuso, che osserva la desacralizzazione del ruolo del papa e si chiede se le sue dimissioni "possono condurre a una riforma della concezione monarchica e sacrale del papato nata nel Medioevo, e riprendere la concezione più aperta e funzionale che il ruolo del papa aveva nei primi secoli cristiani".
Tuttavia, come avverte più realisticamente il teologo svizzero Hans Kung, rimosso a suo tempo da Wojtyla, il prossimo papa, da qualunque paese provenga, non conterà nulla se farà come Ratzinger che è rimasto prigioniero della Curia romana, vera e propria "corte medievale-barocca": "La Curia è l'ostacolo principale al rinnovo della Chiesa, a un dialogo ecumenico e a un'apertura al mondo moderno".

27 febbraio 2013