Discorso di Mino Pasca alla Commemorazione di Mao
Animati dallo spirito di Mao, lottiamo per abbattere il nuovo Mussolini e per conquistare l'Italia unita, rossa e socialista

Pubblichiamo qui di seguito il discorso pronunciato dal compagno Mino Pasca, a nome del CC del PMLI, in occasione della Commemorazione di Mao che si è tenuta a Firenze il 13 settembre. Il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scudceri, l'ha definito un grande ed educativo discorso che rimarrà negli annali della storia del PMLI.

Compagne e compagni, amiche e amici,
sessant'anni fa, il 1° Ottobre 1949, in una stracolma e festante Piazza Tian An Men a Pechino Mao dichiarava solennemente: "Il popolo cinese sotto la guida del Partito comunista... si è alzato in piedi...Uniti abbiamo abbattuto con la guerra popolare di liberazione e con la grande rivoluzione popolare gli oppressori interni ed esterni e proclamiamo la fondazione della Repubblica popolare cinese".(1) Un quarto dell'umanità usciva dalle tenebre e si univa all'allora campo socialista, sbocciato in Europa sotto la spinta travolgente della vittoria dell'Urss di Stalin contro il nazifascismo nella seconda guerra mondiale.
La presente commemorazione di Mao che ogni anno, da quando egli è morto nel 1976, tiene pubblicamente il Comitato Centrale del PMLI, a nome del quale sono onorato di parlare, diventa l'occasione per celebrare la grandiosa rivoluzione popolare che Mao condusse alla vittoria in condizioni materiali terribili, in un Paese sterminato, prostrato e in ginocchio, soffocato dal colonialismo e dal semifeudalesimo, aggredito dal barbaro e sanguinario imperialismo giapponese e tiranneggiato da un numero spropositato di potenze imperialiste tra cui l'Italia che a partire dal 1901 si era impadronita dell'area commerciale di 46 ettari nella città dell'odierna Tianjin, depredato e affamato dai proprietari fondiari e dalla borghesia compradora, e flagellato da carestie e fame quantunque ricchissimo di risorse umane, naturali e di materie prime. Viva il 60° Anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese, abbasso i rinnegati revisionisti cinesi che, dopo la morte di Mao, con alla testa Deng Xiaoping l'hanno tradita e trasformata oggi in una dittatura fascista aperta, un inferno di miseria e supersfruttamento per gli operai, i contadini e le masse popolari e un paradiso per un pugno di sanguisughe e parassiti capitalisti.

I tre elementi chiave che hanno reso grande Mao
Se pensiamo a Mao esclusivamente come al Grande Maestro del proletariato internazionale e al leader maturo e indiscusso del Partito comunista e della Cina socialista, rischiamo anzitutto di idealizzare la sua figura col risultato di allontanarlo da noi, perdendo la dimensione reale dell'uomo alle prese con problemi, difficoltà e scelte analoghi a quelli che viviamo noi marxisti-leninisti italiani. E poi finiremmo per isolare un singolo fotogramma della sua esistenza e per dimenticare tutto il resto pretendendo che, da solo, esso sia sufficiente a descrivere la sua grandezza e complessità, le diverse e ricche fasi della sua esperienza e quell'intrico di contraddizioni reali e sempre mutevoli, che sono l'essenza della vita stessa, nelle quali Mao nuotava come un pesce nell'acqua, non temendole ma imparando a conoscerle per poterle meglio governare.
Invece di limitarci a esaltare semplicemente le sue leggendarie imprese è assai più fecondo studiare come sono state raggiunte, la loro genesi, attraverso quali trasformazioni e rivolgimenti il giovane figlio di un contadino povero nato in un villaggio sperduto dello Hunan sia diventato l'artefice insieme al suo popolo di un rivolgimento che ha sconvolto la pietrificata storia della Cina, coinvolto e liberato un quarto dell'umanità e impressionato il mondo intero e poi sia diventato, alla morte di Stalin, il Grande Maestro del proletariato internazionale che ha aperto una nuova primavera al socialismo salvaguardandolo dalla liquidazione a cui lo avrebbero condannato i revisionisti moderni capeggiati da geni malefici come Krusciov, Tito e Togliatti.
Mao non è una figura mitica apparsa inspiegabilmente nella storia della Cina moderna ma il figlio devoto del suo popolo che non si fermò davanti a nessun ostacolo per servirlo con tutto se stesso. Davanti a tanta miseria e oppressione in cui agonizzavano il grande "malato dell'Asia orientale" e il suo popolo, Mao si domandò: che fare? e come posso contribuire per cancellare tutto ciò e aprire la strada all'emancipazione del popolo lavoratore? Non è stata questa la domanda che ci siamo posti anche noi?

Il suo amore sconfinato per il popolo
In quest'amore sconfinato per il popolo lavoratore e nella scelta di servirlo con tutto se stesso intrecciando indissolubilmente il proprio destino a quello del suo popolo sta il primo elemento chiave che ha reso grande Mao. E qui sta la chiave dei suoi successi, l'origine e il motore delle sue gesta più leggendarie, dalla Lunga Marcia alla Grande rivoluzione culturale proletaria. Egli si pose fin da giovanissimo questa domanda cruciale ma non se ne stette con le mani in mano a contemplare i mali del mondo macerandosi nel dolore. Cominciò a darsi delle risposte e ad agire di conseguenza, a battere strade che per forza di cose all'inizio risultarono errate o inconsistenti, e continuò col verificare la loro correttezza ed efficacia per potersi rapidamente correggere.
"Devo dire che la mia storia personale - confessò senza timori in una conversazione con alcuni esponenti del Partito socialista del Giappone - va dall'ignoranza al risveglio, dall'idealismo al materialismo, dalla fede in esseri superiori all'ateismo. Pretendere che io sia sempre stato un marxista, non sarebbe una cosa giusta. Dire che sia sempre stato al corrente di tutto, nemmeno questo sarebbe vero. Quest'anno compio 71 anni, eppure vi sono ancora tante cose di cui non so nulla; ogni giorno continuo a studiare. Se non si studia, se non si fanno ricerche e indagini, non c'è alcuna programmazione politica né alcuna politica corretta. Vedete dunque che io non sono stato per niente perfetto fin dall'inizio; a suo tempo ho creduto nell'idealismo e in un essere superiore, ho perduto molte battaglie e ho commesso non pochi errori. Queste battaglie perdute, questi errori mi hanno educato e anche gli errori di altre persone sono stati per me istruttivi. Mi ha educato soprattutto quella gente che voleva 'rettificarmi'". "Nel 1911 ho preso parte alla rivoluzione democratico-borghese, guidata da Sun Yat-sen. A quell'epoca eravamo soldati. Poi ho studiato per tredici anni: sei li ho sprecati nella lettura di Confucio e per sette anni ho letto le opere del capitalismo. Ho preso parte al movimento studentesco facendo opposizione al governo di allora. Ho organizzato movimenti di massa e ho partecipato all'opposizione contro l'aggressione straniera. Ma non avevo mai pensato di organizzare un qualche partito. Non conoscevo né Marx né Lenin. Perciò non avevo l'idea di organizzare un partito comunista. Mi fidavo dell'idealismo, di Confucio e del dualismo di Kant. Più tardi la situazione mutò. Nel 1921 organizzammo il partito comunista. Allora in tutto il paese vi erano settanta membri del partito, che elessero dodici delegati; nel 1921 fu tenuto il primo congresso del partito al quale io partecipai come delegato".(2)
Quanti di noi non hanno vissuto in qualche modo esperienze personali in tutto o in parte simili a quelle raccontate da Mao? Quanti non sono stati all'inizio animati dalla speranza di poter cambiare il mondo in modo pacifico, graduale, col concorso dell'umanità intera? Quanti non hanno ricevuto un'educazione cattolica che ha condizionato la loro infanzia e giovane età? E quanti giovani nel ribellarsi contro la vecchia società finiscono sovente per entrare in rotta di collisione con i propri genitori? Neppure noi avevamo pensato di fondare il PMLI eppure l'abbiamo fondato. È tempo che il proletariato e i fautori del socialismo, in passato privi del loro partito, comprendano che ora il loro partito esiste e spetta a loro sostenerlo, rafforzarlo con ogni mezzo e renderlo sempre più grande.
Allorché il padre, a seguito dell'acquisto di nuovi terreni, divenne un contadino più ricco, iniziò per Mao all'età di sei anni e per i suoi familiari il duro lavoro nei campi. In famiglia il padre diventò, per interesse economico e per la sua visione del mondo, il partito del "potere". Mao non si lasciò intimidire e rappresentava in famiglia l'opposizione più radicale, senza tuttavia farsi mettere all'angolo dal padre ed evitando di rimanere isolato grazie a un'intelligente e dialettica politica di fronte unito con l'opposizione più blanda e conciliatoria condotta dalla madre e dal fratello. Fin da allora si convinse che ribellarsi contro le ingiustizie e i reazionari non è soltanto giusto ma redditizio perché, se non altro, costringe il nemico a tenerti in maggiore considerazione e a temerti, mentre piegare la testa e starsene mansueto lo induce ad aumentare le sue pretese e a sottometterti ancor di più. Persino lo studio dei Classici gli ritornò utile nel confronto col padre e con i suoi insegnanti reazionari quando contrapponeva citazione a citazione se costoro le invocavano per predicare obbedienza e sottomissione.
Non fu neppure particolarmente precoce nella scelta marxista-leninista ma lo diventò col tempo, coll'esperienza e con lo studio solo a 27 anni, dopo aver letto il Manifesto di Marx ed Engels. Il percorso che condusse il giovane Mao ad abbracciare la causa del socialismo è tutt'altro che lineare e rapido. Da bambino la mamma gli aveva impartito un'educazione religiosa buddista e solo gradualmente cominciò a occuparsi di politica. Gli studi iniziali e i suoi maggiori interessi erano allora orientati all'insegnamento, la sua prima professione fu quella di maestro elementare. Era quanto di più lontano potesse esistere dalla guerra, dagli eserciti e dalla scienza militare. Eppure ciò non gli impedì di passare dalla totale ignoranza della materia a diventare un insuperabile maestro nell'arte della guerra rivoluzionaria, lo stratega vittorioso della lunga e complessa guerra popolare rivoluzionaria cinese, il fondatore dell'Esercito Rosso che egli guidò strategicamente e tatticamente per più di un quarto di secolo alla vittoria finale contro eserciti incomparabilmente superiori negli armamenti, come le truppe d'invasione giapponesi, e assai più numerosi e potenti, come l'esercito reazionario del Guomidang capeggiato da Jang Jieshi. Il maestro elementare diventò l'ideatore e il condottiero del capolavoro politico e militare della Lunga Marcia che segnò la svolta strategica della rivoluzione cinese, un'impresa che non si era mai vista nella storia, paragonabile dal punto di vista militare solo alla marcia intrapresa da Annibale oltre duemila anni prima dalla Spagna attraverso i Pirenei e le Alpi per giungere in Italia e battere l'esercito romano: l'Esercito Rosso percorse in un anno 12.500 chilometri, valicò diciotto catene montuose, attraversò ventiquattro fiumi, dodici province e i territori di sei minoranze nazionali, assalì e occupò sessantadue città, ruppe l'accerchiamento di dieci eserciti dei signori della guerra, combattè, ingannò e vinse più di un milione di uomini degli eserciti del Guomidang di Jang Jieshi. E trasformò nella rinascita della rivoluzione cinese quella ritirata che appariva agli occhi di Jang Jieshi come una fuga precipitosa.
Non si può non rimanere stupiti e affascinati dall'acume e dalla competenza che Mao mette in luce nella conoscenza delle leggi generali della guerra e, ancor di più, nella loro applicazione alle peculiari e mutevoli condizioni cinesi sia durante la Guerra di resistenza contro il Giappone sia nelle Tre guerre civili rivoluzionarie contro il Guomidang. Chi gli insegnò così bene a fare la guerra? Il mio primo maestro, confessò in un colloquio, fu Jang Jieshi, il secondo fu l'esercito imperiale giapponese e il terzo l'imperialismo americano. Ecco chi gli insegnò più di qualsiasi accademia militare. Ovvero i nostri migliori insegnanti sono i nemici di classe e le avverse condizioni della lotta di classe. Quanto più essi ci sovrastano, tanto più dobbiamo maturare e crescere, diventare più grandi di loro per fronteggiarli e batterli.

La trasformazione ininterrotta della sua concezione del mondo
Emerge qui il secondo elemento chiave che ha reso grande Mao: egli trasformò ininterrottamente la sua concezione del mondo per renderla sempre più coerente e adeguata agli interessi generali e strategici delle masse popolari e del proletariato cinesi e all'altezza dei complessi problemi che era chiamato a fronteggiare e risolvere. La dialettica, l'unità degli opposti, è l'anima della vita e la sua vita assomiglia a un fiume in piena e sempre in movimento che incessantemente rinnova l'ambiente attraversato e si rinnova, mentre il letto del fiume rappresenta l'unità col suo popolo là dove l'acqua può scorrere e fluire impetuosa senza mai ristagnare e imputridire. Questa ininterrotta trasformazione rivoluzionaria è influenzata dalla partecipazione alla lotta di classe, dalla maturazione dell'esperienza personale e dallo studio.
Ogni scritto di Mao, che sia un articolo o un discorso, un saggio o un'opera, non è mai il frutto di uno studio libresco, un'elucubrazione individuale com'è costume dei maggiori intellettuali borghesi. Eppure egli amava talmente lo studio dal dimenticare sovente persino di mangiare per gettarsi anima e corpo nella lettura di quei libri che stava attendendo con impazienza. Non smise mai di studiare, senza mai cadere nel culto del libro, anzi combattendo ogni conoscenza di tipo libresco. Rivolgendosi agli studenti si espresse così: "I libri non hanno gambe, possono essere chiusi o aperti a piacere. Leggere i libri è la cosa più facile di questo mondo. È molto più facile che fare da pranzo o macellare un maiale. Perché quando c'è bisogno di acchiapparlo, il maiale scappa, quando lo ammazzate strilla, mentre il libro sul tavolo non può né correre né strillare, ma si lascia maneggiare come vi pare... C'è niente di più facile? Per questo vorrei che coloro i quali hanno soltanto cognizioni libresche e nessuna esperienza pratica, capissero la loro inferiorità e fossero più utili".(3)
Per ricordare quanto fosse determinante la pratica della lotta di classe, amava ripetere di essersi laureato all'università della macchia e che le sue opere non erano state scritte coll'inchiostro ma col sangue versato dal popolo cinese durante la rivoluzione. Tutto ciò che aveva imparato veniva dall'esperienza concreta e tuttavia egli possiede una straordinaria potenza di indagine teorica. Rifugge tanto il cieco empirismo quanto il dottrinarismo libresco: il primo si esaurisce nella pratica e rinuncia a spingere il processo della conoscenza a uno stadio superiore, dalla materia oggettiva al pensiero soggettivo; il secondo rovescia il processo della conoscenza a testa in giù, mettendo lo spirito e l'essere al centro di tutto invece della pratica. Quando noi parliamo di studio ci riferiamo non al culto del libro ma al processo della conoscenza da percettiva a razionale, da superficiale e approssimata a sempre più approfondita e aderente alla realtà.
Mao, che non è un filosofo di professione, ritorna più e più volte sulla teoria della conoscenza e risponde con esemplare chiarezza alla domanda: da dove vengono le idee giuste? "Non vi sono altri mezzi - spiega Mao - per provare la verità. Per il proletariato lo scopo di conoscere il mondo è trasformarlo, al di fuori di questo non ce n'è altro. Spesso si può giungere a una conoscenza giusta solo dopo molte ripetizioni del processo che comporta il passaggio dalla materia allo spirito, poi dallo spirito alla materia, cioè dalla pratica alla conoscenza, poi dalla conoscenza alla pratica. (...) Nella lotta sociale, le forze che rappresentano la classe avanzata subiscono a volte delle sconfitte, non perché abbiano idee sbagliate, ma perché, nel rapporto delle forze in lotta, esse sono temporaneamente meno potenti delle forze della reazione; possono essere temporaneamente sconfitte, ma finiranno sempre per trionfare".(4)
Per noi marxisti-leninisti lo studio non è la lettura di formulette sui libri ma è fatto di ricerche, indagini, verifiche del lavoro svolto che lo correggano e lo sviluppino incessantemente. Impariamo da Mao per diventare degli esperti rossi nei settori che la lotta di classe e il Partito ci chiamano a fronteggiare. Ci vorrà del tempo e ripetuti tentativi prima di diventarlo, ma se vi rinunceremo non avremo alcuna chance di prevalere sugli esperti neri al servizio della borghesia e del regime neofascista e di vincerli. Se sono occorsi 15 anni a Mao per imparare a dirigere la guerra rivoluzionaria, perché non dovremmo riuscirci anche noi nella guerra contro il capitalismo e il regime neofascista e per l'Italia unita, rossa e socialista? Ecco perché non studiare equivale a togliere ossigeno al nostro lavoro, col risultato di comprometterlo, renderlo asfittico, sterile, e condurlo alla sconfitta; alla lunga produce danni irreparabili e finisce per portare alla nostra morte politica.

L'inesauribile fiducia nel marxismo-leninismo e nella causa del socialismo
Il terzo elemento chiave che ha reso grande Mao è la sua inesauribile fiducia nel marxismo-leninismo e nella causa del socialismo. Da giovane non aveva mai sentito parlare del socialismo e non sapeva neanche che cos'era il marxismo-leninismo. Furono i nemici stessi del popolo cinese a lavargli il cervello dalle illusioni e incrostazioni confuciane, idealiste e liberali, poi lesse qualche libro sul socialismo riformista, infine egli spiega che: "Le cannonate della Rivoluzione d'Ottobre ci portarono il marxismo- leninismo. La Rivoluzione d'Ottobre aiutò i progressisti cinesi e quelli di tutti i paesi ad adottare la concezione proletaria del mondo come strumento per studiare il destino della propria nazione e per esaminare daccapo tutti i loro problemi".(5) Solo dopo aver appreso della sua esistenza cominciò a studiarlo e, studiandolo, comprese che il socialismo è il successore del capitalismo; la lettura del Manifesto di Marx ed Engels fece il resto e così diventò un marxista-leninista. Da allora è come se fosse nato una seconda volta.
L'inesauribile fiducia nel marxismo-leninismo e nella causa del socialismo animò ogni istante di questa sua seconda vita, a cominciare dai lunghi e difficili anni in cui egli era in minoranza ed emarginato dalla direzione del Partito, in pugno più volte alla corrente riformista di destra o alla corrente trotzkista e "ultrasinistra", fino a che non riuscì a dimostrare la giustezza della sua linea politica proletaria rivoluzionaria e a conquistarne la maggioranza. La animò durante la prolungata guerra popolare per la conquista del potere politico, allorché concluse la Lunga marcia con l'Esercito rosso decimato letteralmente da 300 mila ad appena 30 mila soldati e poi quando egli era impegnato ad assicurare una lungimirante direzione politica alla rivoluzione di nuova democrazia per battere ora l'imperialismo giapponese ora l'esercito di Jang Jieshi, fronteggiando e impedendo nel contempo l'intervento dell'imperialismo americano che lo proteggeva e manovrava. E la animò nella fase della costruzione del socialismo in Cina, quando coraggiosamente ruppe con la potente e prepotente Urss del rinnegato revisionista Krusciov che cercava di strangolare economicamente e militarmente la giovane e inesperta Cina socialista e poi all'età di 72 anni, quando, con il vigore e la vitalità di un ventenne, inventò e scatenò la Grande rivoluzione culturale proletaria e garantì la continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato contro la borghesia e i revisionisti moderni infiltrati all'interno del Partito e dello Stato per impedire che costoro rovesciassero il socialismo e trasformassero il colore del Paese da rosso a nero, come poi sarebbe davvero accaduto alla sua morte per mano della cricca revisionista e fascista di Deng Xiaoping e successori, fino a Jiang Zemin e Hu Jintao.
La stessa fiducia nella causa del socialismo dobbiamo avere noi marxisti-leninisti italiani oggi che, con la scomparsa del socialismo realizzato, il sistema capitalista si sente onnipotente e libero di spadroneggiare ai danni del proletariato e dei popoli del mondo, ma è pur sempre un colosso dai piedi di argilla. E l'ha dimostrato nella perdurante grave crisi economica, iniziata col fallimento di alcune banche e società di investimento Usa, esplosa come una bolla della speculazione finanziaria e rapidamente allargatasi a all'intero sistema economico e produttivo del pianeta. Per quanto il neoduce Berlusconi la definisca immaginaria e psicologica e, prendendosela col disfattismo di mussoliniana memoria, ne attribuisca l'origine agli untori che ne parlano, la crisi è uno tsunami che ha devastato le cittadelle dell'imperialismo, i paesi più industrializzati e i paesi poveri. Il sistema capitalistico è alla corde ed è lontano dal garantire lo sviluppo illimitato delle forze produttive, come vantavano gli economisti borghesi per giustificarne la superiorità rispetto all'economia socialista: per la prima volta nella sua storia le giovani generazioni dei paesi più industrializzati non beneficiano in nessuna misura del vertiginoso aumento della produttività e diventano più povere dal punto di vista assoluto e relativo e sono private di fondamentali diritti economici e tutele sociali rispetto ai loro genitori.
Il primo nemico del capitalismo è il capitalismo stesso, sono le leggi degli utili individuali e dei sacrifici collettivi che lo governano. Ecco perché la questione di chi ha vinto se il capitalismo o il socialismo è tutt'altro che risolta. Rispetto al momento in cui si è affacciato nella storia, al sistema economico capitalistico sono occorsi oltre 350 anni per imporsi definitivamente sul feudalesimo. Perché mai dovremmo disperarci se non è riuscito ancora a prevalere il socialismo in appena 161anni di vita? Un sistema economico e politico, peraltro, che non si limita a trasferire il potere da una classe sfruttatrice all'altra ma ha la missione storica di eliminare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo ed emancipare l'intera umanità. Dal punto di vista della prospettiva storica il capitalismo e la borghesia rappresentano il passato e sono destinati alla sconfitta. Occorreranno certo molte tempeste di classe ma il futuro appartiene al proletariato e al socialismo.

Le calunnie degli anticomunisti aperti e mascherati
Da quando è morto, non passa giorno senza che non siano inventate calunnie contro Mao, la sua vita privata e pubblica e la sua opera di direzione e governo del Partito comunista e dello Stato cinesi. La sorte che gli tocca ai nostri giorni è la stessa toccata dopo il 1956 a Stalin e prima di lui a Lenin e agli stessi Engels e Marx. Oggi come allora assistiamo al tentativo di demonizzare e liquidare l'intera esperienza storica della costruzione del socialismo prima nell'Urss di Lenin e Stalin e poi nella Cina di Mao. Insomma assistiamo al tentativo di cancellare per sempre dalla memoria storica del proletariato e dei popoli del mondo la sola concreta, realizzata e vittoriosa alternativa storica al capitalismo.
Ci sono mille modi per sabotare la lotta per il socialismo e per seminare zizzania nelle nostre file. C'è l'attacco frontale, aperto e becero, tipico degli anticomunisti e fascisti alla Berlusconi. Ed esiste l'attacco più subdolo e maligno di chi contrappone un Maestro all'altro, di chi si dice comunista a parole e poi specula sul ricchissimo patrimonio di idee e insegnamenti che scaturisce dalla loro vita per avanzare pretestuose riserve e distinguo sulle questioni fondamentali e peculiari del marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Il più comune è l'antistalinismo dei trotzkisti, tanto viscerale che basterebbe sostituire la parola comunismo a stalinismo e vi sembrerebbe di ascoltare il nuovo Mussolini. L'uno e gli altri hanno fatto propria la massima del braccio destro di Hitler, Goebbels: "Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità". È questa la loro speranza, che invece si ridurrà a una pura illusione se saremo capaci di ribattere colpo su colpo senza farci intimidire dai rapporti di forza oggi in campo.
Gli stessi loschi figuri che sull'onda della Grande Rivolta del Sessantotto e dell'irresistibile fascino esercitato dalla Rivoluzione culturale proletaria cinese in Occidente e soprattutto su di noi, allora giovani antimperialisti e anticapitalisti, malignamente contrapponevano Mao a Stalin come il santone orientale allo spietato dittatore georgiano, l'eresia alla ortodossia e lo spontaneismo creativo alla burocrazia, ebbene proprio quegli stessi figuri oggi, compiuta la loro nera missione antimarxista-leninista, non hanno più ritegno a confessare che il loro antistalinismo muove dall'antileninismo, che in una parola sola si riduce all'anticomunismo. Il guru e capofila dei trotzkisti italiani Ingrao così si è espresso in un'intervista rilasciata al direttore di "Liberazione" il 31 maggio scorso. La nostra sconfitta e la nostra crisi cominciarono a suo dire quando "vennero al pettine nodi su cui il leninismo e ancor più lo stalinismo e poi il maoismo, avevano dato una risposta che non resse alle prove della storia e che voleva una settaria concentrazione del potere al vertice... Sì. Ho detto che la crisi forte sgorgava dalle radici: il leninismo". Beh, con queste parole Ingrao ha confessato la sua inguaribile anima socialdemocratica, sia pure nella sua forma di "sinistra", esattamente come una sorta di liberali e socialdemocratici di "sinistra" si sono sempre dimostrati Trotzki e i trotzkisti.
Infatti Lenin, e dopo la sua morte Stalin, è lo spartiacque tra il comunismo e la socialdemocrazia, tra chi era rimasto fedele alla dottrina rivoluzionaria di Marx ed Engels e aveva rotto irrimediabilmente col liberalismo borghese e chi riduceva i fondatori del socialismo scientifico a due riformisti, a due liberali di sinistra preoccupati più di correggere e mitigare che di distruggere e rovesciare il sistema economico e politico capitalistico.
Non siamo caduti in questa trappola opportunista ieri, figuriamoci oggi che il campo del proletariato risulta ancor più nettamente distinto dal campo della borghesia. I nostri nemici, coi loro attacchi subdoli o aperti finiranno per indurci ad amare i Maestri ancor di più, un po' come avveniva al proletariato mondiale che ripagava l'aggressione e le calunnie imperialiste vomitate contro l'Urss con una sorta di venerazione verso la patria dei Soviet. Guarda sempre dov'è schierato il nemico di classe e capirai immediatamente da che parte stare. Dobbiamo essere fermi nella difesa di tutti e cinque grandi maestri del proletariato internazionale, ma in particolare di quei maestri che di volta in volta bersagliano e coprono di insulti gli anticomunisti aperti e mascherati nella speranza di aprire una prima breccia tra loro per poi demolirli meglio a uno a uno.

Lottare per l'Italia unita, rossa e socialista
Nell'attuale situazione politica noi marxisti-leninisti italiani abbiamo davanti al proletariato una doppia responsabilità storica: anzitutto tenere alta la causa del socialismo, che è la causa della sua emancipazione dalla schiavitù salariata, e insieme occupare un ruolo d'avanguardia nella battaglia contro il nuovo Mussolini e la restaurazione del fascismo attuata sotto forme nuove, nuovi metodi e nuovi vessilli in questo regime neofascista fondato sul presidenzialismo, sul federalismo, sull'interventismo, sul razzismo e sulla xenofobia.
Da tempo sulle nostre rosse bandiere sta scritto il nostro obiettivo strategico dell'Italia unita, rossa e socialista, ed è appunto su questo tema: "Avanti con forza e fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista" che si è tenuto vittoriosamente nel dicembre scorso il 5° Congresso nazionale del PMLI. "Avanti vuol dire - ha spiegato il Segretario generale Giovanni Scuderi nel suo lucido e lungimirante Rapporto politico presentato al 5° Congresso - non fermarsi mai, e procedere anche se a piccoli o piccolissimi passi quando la marcia si fa più dura o abbiamo bisogno di riprendere fiato. Con forza vuol dire mettercela tutta e essere determinati. Con fiducia vuol dire essere pienamente convinti che un giorno ci sarà l'Italia unita, rossa e socialista. La nostra titanica impresa farà epoca e sarà per sempre scolpita nel cuore del proletariato italiano".
Continuiamo a respirare a pieni polmoni quest'aria fresca e salutare del 5° Congresso e se ne beneficerà l'intero nostro lavoro politico.
Noi considerammo tanto seriamente e fin da subito il secessionismo della Lega di Bossi da aggiungere alla nostra parola d'ordine l'aggettivo unita agli aggettivi rossa e socialista, al fine di sottolineare che il socialismo non è solo il regno del proletariato e delle masse sfruttate e oppresse ma l'unico in grado di tenere unito il nostro popolo e il Paese contro il golpismo secessionista della Lega e contro la divisione delle masse popolari e la frantumazione del Paese a cui porta l'attuale federalismo neofascista, sostenuto tanto dalla destra che dalla "sinistra" borghese. Il vincolo più forte che unisce il proletariato è il vincolo di classe, quella solidarietà internazionalista che lo unisce al di sopra di tutto ed è l'unica garanzia per metterlo al riparo dalle sirene nazionalistiche e patriottarde che lo vorrebbero ridurre a carne da macello nelle guerre e nelle aggressioni imperialiste. Figurarsi se può lasciarsi irretire dalla contrapposizione tra il Nord ricco e industrializzato e le restanti regioni più povere e arretrate e affidarsi al localismo e al campanilismo retrogrado e medievale che finirebbero per minare la sua unità e coesione di classe e per trasformarlo da becchino a zimbello della borghesia.
Abbattere il nuovo Mussolini
Nei confronti del neoduce Berlusconi la "sinistra" borghese sta tragicamente ripetendo gli errori che spalancarono le porte a Mussolini e al ventennio fascista. Oggi come allora sottovaluta la gravità della situazione e la pericolosità di questo losco individuo che in modo indisturbato si è accaparrato un potere politico, economico e mediatico assoluto, detiene il monopolio dei mass media pubblici e privati e dell'editoria, condiziona e ricatta in prima persona il mondo delle banche e della finanza, si propone come il rappresentante diretto del padronato e insieme governa il Paese con un plebiscitario presidenzialismo, zittisce l'opposizione parlamentare scatenandogli contro sistematicamente le squadracce fasciste che in ogni settore si è comprato e stipendia. La "sinistra" borghese tende sempre a spostare la polemica su questioni secondarie e marginali, sui suoi peccati di letto e sulla condotta libertina piuttosto che sull'anima nera della sua politica, sulla sua inaffidabilità personale piuttosto che sulla sua arroganza presidenzialista e fascista. Insomma la butta sul ridicolo, dove di ridicolo c'è ben poco. "È ora di muovere la piazza per liberarsi del nuovo Mussolini" perché costui, come ha denunciato l'Ufficio politico del PMLI il 31 agosto scorso, "ha restaurato il fascismo sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli applicando il 'piano di rinascita democratica' della P2. Sistematicamente e progressivamente assoggetta al governo le istituzioni e cancella le libertà democratiche-borghesi e i diritti sociali, sindacali e civili." "Gli autentici antifascisti - conclude l'accorato appello dell'Ufficio politico del PMLI - abbiano il coraggio di ammetterlo e di prendere le misure conseguenti. Occorre con urgenza chiamare le masse a scendere in piazza per abbattere la nuova dittatura fascista. Il PMLI non ha la forza sufficiente per farlo, chi l'ha lo faccia senza indugio, altrimenti si assumerà una responsabilità storica che non sarà mai cancellata. Contiamo sull'aiuto degli intellettuali e dei giornalisti antifascisti non a parole per smascherare la vera natura di questo governo e per far maturare l'idea che non c'è altro modo per liberarsi del neoduce Berlusconi che quello della lotta di piazza e di massa".
Quanti aspettano di veder uscir di scena Berlusconi per esaurimento naturale o con un colpo di palazzo sappiano che tale via è fallimentare e tutt'al più si risolverebbe nel tramonto di un individuo e non nella sconfitta del suo disegno politico e dei potentati economici e politici neofascisti che lo sostengono. Dovrebbe pure insegnar loro qualcosa la vicenda del tramonto di Craxi e della conseguente discesa in campo di Berlusconi che fin lì aveva tramato dietro le quinte? Come dovrebbero far tesoro della lezione storica che viene dal delitto Matteotti, quando Mussolini si trovò isolato nel Paese e rischiava di essere travolto dalla bufera dell'indignazione e della protesta popolari ma ne sortì indenne e più forte di prima grazie alla codardia e all'opportunismo dell'opposizione parlamentare (PSI di Turati e Nenni e PCI di Bordiga, Gramsci e Togliatti, anzitutto) che alla lotta di piazza sostituirono l'imbelle fuga sull'Aventino. Quella stessa opposizione parlamentare che aveva tradito le masse popolari insorte contro le squadracce in camicia nera, com'era accaduto a Parma nel '22 dove dettero un fulgido esempio di fronte unito antifascista insieme agli eroici Arditi del Popolo, resistendo per quattro giorni all'attacco di centinaia di squadristi capeggiati da Italo Balbo, fino a metterli in fuga.
Che cos'altro deve accadere perché si possa parlare dell'instaurazione del fascismo? Si rimane inorriditi a guardate nell'insieme che cosa è stato permesso a Berlusconi nell'ultimo quindicennio. La passività ha provocato danni devastanti all'opinione pubblica antifascista perché l'ha intossicata quotidianamente inducendola ad accettare poco per volta una catena infinita di golpe e di intollerabili atti neofascisti che rispondevano tutti all'obiettivo di realizzare integralmente il "piano di rinascita democratica" della P2. Il PMLI non è disposto a tollerare in alcuna misura l'arrendevolezza e la perdurante disponibilità al compromesso e alla conciliazione che la "sinistra" borghese dimostra verso il nuovo Mussolini e chiama le masse, gli antifascisti e tutti coloro che vogliono davvero sconfiggere Berlusconi a scendere nelle piazze per abbattere questa nuova dittatura fascista.
La storia del socialismo è lunga e gloriosa ma ancor più lunga e splendida è la storia che ci sta davanti, la storia che creeranno il proletariato e i marxisti-leninisti. "Il vento non si ferma neanche se gli alberi vogliono riposare"(6), amava ripetere Mao: "Venti e tempeste non devono farci paura. E' attraverso i venti e le tempeste che si sviluppa la società umana" (1957).
Nei confronti del futuro dobbiamo avere lo stesso spirito di Mao. Consapevole delle grandi responsabilità che ricadevano sulle sue spalle dopo aver rotto definitivamente con i rinnegati revisionisti russi e alla vigilia della Grande rivoluzione culturale proletaria che avrebbe sconvolto la Cina e il mondo, Mao volle ritornare sull'impervio monte Jinggang, che fu la culla della rivoluzione cinese e lo aveva visto 38 anni prima protagonista della nascita della prima base rossa rurale, come per trarre nuova linfa vitale da quel passato glorioso e affrontare con lo stesso vigore le battaglie future. Nel maggio 1965 ci regalava questa bella poesia.(7)
Da tempo desideravo toccare le nuvole
E ora salgo di nuovo sul monte Jinggang.
Venendo da lontano per vedere l'antico nostro rifugio,
Scopro il vecchio volto mutato in un giovane viso.
Ovunque canto di usignoli, volteggiar di rondini,
Il mormorio di cento piccole cascate.
La strada sale e sembra toccare il cielo.
Superato il valico di Huangyang
Nessuna vista in basso ci farà più paura.
Infuriano venti e fulmini,
Fremono vessilli e bandiere
Là dove vivono gli uomini.
Trentotto anni sono fuggiti
rapidi come un batter di ciglia.
Possiamo afferrare la luna nel firmamento
e prendere la testuggine negli abissi del mare:
possiamo tornare gioiosi a ridere e a cantare.
Non c'è niente di impossibile al mondo
per chi osa scalare le vette più alte.
Facciamo nostra l'esortazione di Mao e senza alcun dubbio riusciremo ad abbattere il nuovo Mussolini e la dittatura fascista e a conquistare l'Italia unita, rossa e socialista!
Con Mao per sempre!
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!


Note
1. Mao, Rivoluzione e costruzione, Einaudi, p. 8-9.
2. Mao Zedong, Conversazione con esponenti del Partito socialista del Giappone, 10 luglio 1949.
3. Citato da A. L. Strong, Cina Rossa, Edizioni sociali, 1949, p. 57.
4. Mao Zedong, Da dove provengono le idee giuste?, Ed. in lingue estere di Pechino, p. 3-2.
5. Mao Zedong, Sulla dittatura democratica popolare, 30 giugno 1949, Opere scelte, vol. 4, p. 425, Ed. in lingue estere di Pechino.
6. Mao Zedong, citato dal Quotidiano del popolo, 2.6.1966.
7. Mao Zedong, Ritorno al monte Jinggang, maggio 1965.


16 settembre 2009