Teniamo vivi gli insegnamenti del '77. Una pietra miliare della storia del movimento operaio e giovanile
Documento del CC del PMLI
 
Imparare dall'esperienza

Sui media borghesi sta scorrendo un fiume di inchiostro sul '77. Tra l'altro siamo stati costretti a sorbirci la lezione del tronfio Adriano Sofri, che dalle colonne del bollettino dell'Unione, "La Repubblica", ha impartito voti a destra e a sinistra. Proprio lui che nel '77 era già stato emarginato dai movimenti dopo aver sciolto nel '76 Lotta continua ed era rifluito al servizio del PSI di Craxi, per poi passare a quello dei DS.
Per la destra il '77 è stato un "anno orribile". Mentre i trotzkisti di "Liberazione" hanno colto l'occasione per rilanciare il loro pattume ideologico, politico e organizzativo, che ha tanto nuociuto al movimento del '77, e al contempo attaccare il socialismo.
Nella presentazione dei fascicoli dedicati agli anni '70, tramite le penne di Piero Sansonetti, Nanni Balestrini e Franco Berardi "Bifo", hanno infatti scritto che il movimento del '77 si è dimostrato "capace di imporre idee e modelli di società che sono i più avanzati che abbiamo conosciuto nel Novecento". Più avanzati, dunque, rispetto anche alle Rivoluzioni russa e cinese. "Sono gli anni - essi precisano - della presa di coscienza ambientalista, gli anni nei quali esplode - per la prima volta nella storia dell'umanità - un formidabile movimento femminista... sono gli anni in cui si afferma un'idea democratica basata sulla partecipazione e sul rifiuto della delega, e un'idea di libertà piena, sovversiva, collettiva e individuale".
Insomma l'anarchismo, l'individualismo e l'operaismo. Come se nel '77 non fossero esistite la lotta di classe, le contraddizioni di classe e le spinte rivoluzionarie per cambiare la società capitalistica.
Secondo costoro non c'era nient'altro che "una profezia e una maledizione: ecco cosa fu quel movimento... Maledizione del dogmatismo che costringe gli uomini a scegliere sempre la stessa via suicidaria del profitto, dell'accumulazione, del possesso, del consumo. E profezia di una catastrofe irrimediabile. A guardare le scelte politiche ed economiche compiute dai poteri che governavano il mondo, sembra che la profezia maledetta sia ineluttabilmente destinata a realizzarsi. Nell'ordine del prevedibile non è visibile alcuna speranza". È come dire: suicidiamoci, tanto non c'è nulla da fare.
Per fortuna le cose non stanno così. Non lo furono nel '77, non lo sono oggi.
Sulla stessa linea del suddetto terzetto trotzkista si muove l'allora "teorico" della rivoluzione Franco Piperno, leader di Potere operaio e poi di Autonomia. Successivamente per molti anni assessore al comune di Cosenza, attualmente pantofolaio docente universitario.
"Oggi - egli sostiene - mi sembrano superati 'i vestiti dell'epoca', ossia il lessico marxista-leninista che continuavamo a usare e che finiva per imbottigliare tutte le novità. Ci ha penalizzati nel concepire una visione del futuro. Non abbiamo mai pensato di prendere il potere, ma non abbiamo mai pensato neppure a forme autonome e stabili di organizzazione. Una volta abbandonata l'idea di fare come in Russia, non abbiamo sufficientemente riflettuto sull'alternativa".
Ma al di là delle ciance di questi imbroglioni di ieri e di oggi, domandiamoci cosa è stato effettivamente il '77 dal punto di vista di classe e marxista-leninista. La risposta la troviamo chiara e tonda nel documento del Comitato centrale del PMLI datato 17 febbraio, il giorno della cacciata del crumiro e revisionista Luciano Lama dall'Università di Roma, 1987, che ripubblichiamo qui di seguito.
Il PMLI, come si può leggere, ha definito il '77, a ragion veduta, "una pietra miliare della storia del movimento operaio e giovanile". In effetti in quell'anno un grande conflitto di classe scosse dalle fondamenta il sistema capitalistico italiano. I giovani - operai, studenti, precari, disoccupati e delle periferie urbane - furono gli artefici di questo terremoto sociale, a quasi dieci anni dalla Grande Rivolta del '68. La miccia l'accendono quelli del Sud, a partire da Palermo.
Leggendo il documento si rivivono quei momenti, e si capisce quanto furono importanti e ricchi di esperienza, anche per il PMLI che proprio nel fuoco della lotta del '77 vide la luce. E i fautori del socialismo che non li hanno vissuti perché non erano nemmeno nati o erano troppo giovani possono facilmente apprendere che cosa è veramente accaduto nel '77, quali erano i problemi e le aspirazioni di allora e quali erano le forze in campo che si disputavano la partita politica e di classe.
Impareranno tante cose che sono ancora utili oggi, e forse lo saranno di più domani, quando scoppieranno i conflitti di classe che raggiungeranno o supereranno le ondate rivoluzionarie del '68 e del '77.
Particolarmente utile risulterà la conoscenza dell'atteggiamento del PCI revisionista diretto da Berlinguer da una parte e quello degli "ultrasinistri" dall'altra. In quanto il revisionismo di destra e di "sinistra" si presentano sempre per sabotare i movimenti di massa, specie quelli rivoluzionari anticapitalistici e per il socialismo.
Tutto il gruppo dirigente revisionista del PCI si è battuto in prima fila per stroncare il movimento del '77. Non solo Berlinguer, anche se questi ha sostenuto il peso maggiore. "I fatti gravissimi di Bologna - disse D'Alema al Comitato centrale del partito - pongono come primo punto la necessità di un'azione straordinaria, unitaria e democratica, in difesa della democrazia, delle istituzioni, della convivenza civile. Ci troviamo di fronte a una fase nuova e più acuta della strategia della tensione e della provocazione. Si vuole far leva sulla rabbia e sulla rivolta di strati giovanili per creare un clima di violenza e di paura, per gettare il Paese in una crisi drammatica". A sua volta Giorgio Napolitano disse: "La nostra Repubblica va difesa contro chiunque l'attacca e la insidia, e in questa difesa non ci devono essere esitazioni, anche quando la minaccia viene da movimenti e da gruppi che si autodefiniscono proletari, rivoluzionari, di ultrasinistra".
In effetti il PCI revisionista, che in quell'anno faceva già parte della maggioranza governativa egemonizzata dalla DC - che aveva presidente del consiglio Giulio Andreotti -, fece blocco con lo Stato borghese e diede via libera ai carri armati per stroncare la rivolta giovanile, come confessa velenosamente Cossiga, allora ministro degli interni, nell'intervista al "Corriere della Sera" che pubblichiamo nella rubrica documenti in un'altra pagina di questo giornale.
Stretto in questa tenaglia costituita dalla destra e dalla "sinistra" borghese non era facile per il movimento del '77 proseguire nella sua battaglia. Ma non sarebbe stato impossibile se alla sua testa vi fossero stati i marxisti-leninisti. Invece vi erano gli "ultrasinistri", in particolare "Autonomia operaia", che lo spinsero in un vicolo cieco.
Ciononostante il '77 ha segnato profondamente il Novecento italiano e ha fornito degli importanti insegnamenti a tutti i fautori del socialismo, che vanno messi a frutto nell'odierna lotta di classe. Il documento del CC ne ha citati quattro. Non li ripetiamo, li potete leggere nel testo. Di viva attualità sono gli ultimi due. Quello sul terrorismo che "frantuma il movimento di massa e lo spinge al suicidio", e quello sul Partito rivoluzionario senza il quale "non si può dare respiro strategico e una continuità nella lotta di massa e non c'è rivoluzione".
Questo Partito c'è ed è il PMLI. Ma non è ancora sufficientemente grande, forte e radicato per dare le ali ai movimenti di massa e alla lotta di classe. Il nostro auspicio è che i fautori del socialismo che già lo conoscono si stringano ad esso, come militanti o simpatizzanti, al più presto. E che siano tutti presenti alla manifestazione che terremo in piazza a Firenze il 15 aprile per festeggiare il suo trentesimo compleanno.
C'è un estremo bisogno di dare questo forte segnale alla classe dominante borghese, alle sue istituzioni, al suo governo del dittatore democristiano Prodi e ai suoi servi falsi comunisti. Per dire il '77 è vivo! La lotta per il socialismo in Italia andrà fino in fondo e il PMLI è la garanzia della vittoria finale!
Non c'è che da prendere esempio dal giovanissimo compagno della provincia di Vicenza che, come scrive nella sua lettera pubblicata su questo giornale, una volta scoperto il PMLI tramite il sito si è subito unito al PMLI come militante.

7 marzo 2007



Sono trascorsi dieci anni da quel memorabile 1977. Eppure, come è destino di tutti i movimenti di massa rivoluzionari che fanno epoca, esso continua a suscitare forti e contrapposte passioni, riflessioni e valutazioni politiche, demarcando in modo netto i due campi avversi, quello della conservazione e della reazione e quello del progresso e della rivoluzione.
La sua ondata è stata meno lunga di quella del '68 e il suo respiro ideale più corto, ma il segno che ha lasciato nella storia non è meno importante e profondo e si proietta ai nostri giorni influenzando il dibattito e l'iniziativa delle diverse forze politiche e sociali circa le condizioni attuali e l'avvenire delle nuove generazioni e dell'intero popolo italiano, e l'evolversi di quelle contraddizioni reali, oggettive, all'origine di tale rivolta giovanile e studentesca, che il trascorrere degli anni non ha certo cancellato ma reso più acute e insanabili.
Il PMLI ricorda con spirito militante il decennale del '77, osando andare controcorrente e sfidare l'assalto di oltraggiatori, di critici inveleniti, di "ultra-rivoluzionari" pentiti e dissociati della prima e dell'ultima ora, di intellettuali borghesi e piccolo-borghesi tanto prodighi nel circuire la ribellione giovanile ieri, quanto incarogniti nel pugnalarla oggi, di sciacalli politici allora costretti a stare alla larga dal movimento giovanile e studentesco ed ora pronti a gettarsi sulla sua anima rivoluzionaria e mostrarla quale trofeo per la scalata al potere personale, di partito, parlamentare e governativo.
Al '77 è legato l'atto stesso della fondazione del PMLI, avvenuta proprio il 9 aprile di quell'anno, che certo fu accelerato e incoraggiato dalla nuova ondata di lotta giovanile, anche se la nostra flebile voce e le nostre deboli forze non riuscirono allora a raggiungere la stragrande maggioranza dei giovani rivoluzionari, e molti di essi non seppero neppure che ci accingevamo a fondare il Partito della rivoluzione socialista italiana. Ci animava, ieri come oggi, la consapevolezza che la maturità del tempo di fondazione del Partito non è data tanto dal numero di rivoluzionari che sono disposti a fondarlo, quanto dalla presenza o meno di tutte le condizioni oggettive e soggettive perché si realizzi quest'avvenimento; basta che ci sia un pugno di persone che hanno la coscienza del Partito e una linea politica, programmatica, strategica e tattica autenticamente marxista-leninista, lavorano con abilità in mezzo alle masse e non hanno paura di affrontare in mare aperto la lotta di classe e il revisionismo moderno, che gradualmente tutto quello che manca verrà acquisito, e da un Partito piccolo si passerà ad un Partito grande e potente.
Non è però il rapporto diretto, politico e storico del PMLI col '77 che vogliamo approfondire in questa occasione, quanto ristabilire la verità dei fatti, sollecitare una riflessione da sinistra, di classe e marxista-leninista su quegli avvenimenti, capire cosa c'è da imparare, quali sono gli insegnamenti, positivi e negativi, del '77 che appartengono, non possono che appartenere al bagaglio di esperienze non solo del movimento giovanile ma anche di quello operaio italiano.

Il carattere del movimento del '77
Non possiamo permettere che il processo di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione delle masse operato dal vertice del PCI rimuova tale esperienza dalla memoria storica del movimento operaio e giovanile, o comunque ne imponga una visione falsa e ripugnante. Insieme al '60 e al '68, il '77 costituisce un punto di riferimento, un passaggio, un salto di qualità della lotta di classe in Italia e della maturazione delle coscienze e dell'attività rivoluzionaria delle masse. Non solo appartiene alla storia dei movimenti anticapitalistici nazionali e internazionali ma rappresenta una pietra miliare della storia del movimento operaio e giovanile italiano contemporaneo.
Anche se non fu un movimento proletario, a composizione e direzione proletaria, il movimento del '77 non può che appartenere a questa storia perché il suo attacco politico e frontale fu rivolto contro il governo, le istituzioni, le forze armate borghesi e l'intero sistema capitalistico e non solo contro i baroni universitari.
Viviamo in una società divisa in classi e ogni movimento di massa, al di là della sua composizione sociale, assume sempre, che ne abbia o no la consapevolezza soggettiva, la precisa impronta di una delle due classi generali, il proletariato e la borghesia. E per valutare tale impronta di classe, non dobbiamo guardare tanto a chi guida il movimento e alle deviazioni politiche presenti al suo interno ma la direzione di marcia, il bersaglio principale di tale movimento. Per questo, nel Rapporto politico presentato il 9/4/77 al Congresso di fondazione del PMLI, il compagno Giovanni Scuderi afferma: "La lotta dei giovani che attualmente arde in tutto il Paese non è per niente assimilabile - come cercano di far intendere i rinnegati revisionisti per confondere le idee alle masse - alle azioni avventuristiche e provocatorie dei cosiddetti 'collettivi autonomi', e meno che mai alle azioni terroristiche della corrente golpista della borghesia con le quali essa tenta di impedire o ritardare l'ingresso del partito revisionista al governo e di instaurare immediatamente una aperta dittatura fascista. È vero che le masse studentesche rivoluzionarie combattono la banda controrivoluzionaria di Berlinguer e di Lama ma non perché sono contro il movimento operaio e sindacale e contro il comunismo, quanto perché il revisionismo moderno costituisce il puntello sociale principale di questo infame e ingiusto sistema, che difende a spada tratta aggiungendo le proprie truppe a quelle degli aguzzini e dei boia dello Stato capitalistico.
Berlinguer e la sua banda di traditori e di rinnegati assimila assurdamente, sapendo di mentire, la ribellione giovanile e le azioni di massa degli studenti allo squadrismo fascista del '19 con il quale non hanno nulla da spartire non solo perché le squadracce di Mussolini colpivano il movimento operaio, contadino e popolare per soffocarne lo slancio rivoluzionario e si ponevano a difesa dello Stato e del sistema capitalistici che venivano proprio attaccati dalle lotte delle masse lavoratrici, ma anche e soprattutto perché la punta di lancia del movimento studentesco è diretta non certo contro la classe operaia e le sue organizzazioni ma verso i suoi sfruttatori e oppressori e quelle istituzioni che difendono con la forza delle armi il loro sanguinario potere".

Le cause scatenanti il movimento del '77
La nuova ondata di lotta giovanile del '77 esplode nel momento in cui si faceva particolarmente acuta la disoccupazione giovanile, si avvertivano i primi sintomi della restaurazione scolastica dopo il '68 e cominciavano a cadere le illusioni sulla possibilità che la direzione del PCI possa e voglia realmente cambiare le cose.
I giovani progressisti e rivoluzionari si sentivano soffocati dall'ordinamento scolastico e sociale, non vedevano prospettive per il loro futuro, sentivano che questa non era la loro società e perciò misero rapidamente in azione un grande movimento di lotta che fece tremare la terra sotto i piedi al governo Andreotti, che si avvaleva dell'astensione del PCI, e mise alla berlina le autorità scolastiche e le istituzioni centrali e locali.
La molla che fece scattare la protesta fu la circolare del ministro della Pubblica Istruzione Malfatti (DC) contro l'elasticità dei piani di studio. Cui seguì il disegno di legge di riforma universitaria con il quale il governo puntava ad espellere dall'Università gli studenti provenienti dai ceti meno abbienti e ad accentuare il suo controllo su tale istituzione mediante l'aumento delle tasse di iscrizione e di immatricolazione, la penalizzazione economica progressiva degli studenti fuori corso, l'istituzione di tre livelli di titoli universitari - diploma, laurea, dottorato - su basi selettive e classiste, l'eliminazione della liberalizzazione dei piani di studio e degli appelli mensili, la negazione dei diritti dei docenti precari con un passo indietro rispetto agli stessi "provvedimenti urgenti" del '73, l'accentramento ulteriore del potere negli organi di gestione universitaria.
I primi a muoversi sono i docenti precari, quella parte della generazione del '68 rimasta nell'Università, prima blandita e poi penalizzata ed emarginata. Poi tutto il mondo studentesco si infiamma. Il 20 gennaio 1977 viene occupata a Palermo la facoltà di lettere e filosofia. Quindi è la volta di Napoli, Torino, Sassari, Roma, Milano, Pisa, Bologna, Trieste, Padova, Bari, Cagliari, Firenze. Dove non si arriva all'occupazione c'è comunque il blocco dell'attività didattica accompagnato da assemblee e manifestazioni.
La circolare Malfatti viene ritirata. La piattaforma del movimento si arricchisce di obiettivi riguardanti i contenuti, l'organizzazione, le strutture e la vita dell'istituzione scolastica per poi allargare l'orizzonte ai vari temi generali di politica interna e all'assetto dell'intera società. Si invocava democrazia nella scuola, lavoro, case, strutture sociali e aggregative, salario e soprattutto libertà di agire, muoversi, realizzare cose nuove, sognare.
I giovani non hanno un progetto di società ben definito da realizzare, ma sono coscienti che quella presente deve essere distrutta. I governanti e i dirigenti DC divengono il permanente bersaglio degli studenti, ma anche la direzione riformista e revisionista del PCI entra nel mirino degli studenti.
L'accanimento dei giovani contro i riformisti e i revisionisti è particolarmente forte e violento perché troppo cocente è il loro tradimento: nelle elezioni del '75 e in quelle del '76 molti giovani di sinistra e rivoluzionari avevano riposto le loro speranze nel PCI che ora venivano frustrate dall'appoggio che esso dava al governo democristiano. Con l'odiata DC non si doveva governare: questa era la parola d'ordine fondamentale dei giovani.
In un certo senso esplodeva un nuovo '68 di cui pochi mesi prima si era tentato di celebrare il funerale: "il sessantotto è morto e sepolto", "riavvolgete gli striscioni", scrivevano anche i giornali della sinistra parlamentare, mentre la fuga dalla lotta politica e il ripiegamento individuale ed esistenziale descritto nel supersponsorizzato libro "Porci con le ali" sembrava dover calzare quale modello per una intera generazione.
E invece, contrariamente a quanto era avvenuto in molti altri paesi, dove la contestazione giovanile del '68 era esplosa con inusitata violenza ma assai rapidamente riassorbita, la nuova ondata di lotta del '77 confermava che il movimento studentesco italiano è divenuto una componente stabile dei movimenti di massa. E ciò per due ragioni principali: la prima, oggettiva, è l'acutezza della crisi italiana che si traduce per le giovani generazioni nel generalizzato peggioramento delle condizioni di vita e di studio e nella disoccupazione di massa. La seconda, soggettiva, è l'aumento della presenza di studenti di estrazione popolare e provenienti da una piccola-borghesia in rovina che sposta il baricentro della composizione sociale del movimento studentesco verso il proletariato.
Se nel '68 la ribellione era cominciata come lotta all'autoritarismo, come protesta di intellettuali in cui erano preminenti l'elaborazione teorica sullo Stato e la futura destinazione sociale degli studenti e la critica ideologica della scuola e della società dominante, i principali protagonisti del '77 sono studenti-lavoratori o docenti precari che lavorano nell'Università con paghe di fame pur svolgendo la parte più pesante dell'attività accademica.
Se il '68 era nato al Nord, il '77 nasce nelle Università del Sud come espressione reale della emarginazione economica e si collega subito ai disoccupati, assumendo il lavoro quale problema principale, e dilaga nelle periferie urbane nelle grandi città, Milano in particolare.
Le Università divengono il punto di riferimento per tutti i settori sociali schiacciati ed emarginati dal capitalismo, insoddisfatti e disposti ad ingaggiare un duro braccio di ferro col governo e le istituzioni centrali e locali. Il movimento di lotta non è solo studentesco e solo universitario, ma coinvolge gli insegnanti precari, spezzoni del movimento operaio e, forse per la prima volta in senso assoluto, vede in azione oltre ai disoccupati, i giovani delle periferie urbane.
Se il febbraio fu caldo, il marzo divenne incandescente. 100mila giovani rivoluzionari provenienti da tutta Italia sfilano il 12 marzo per le vie di Roma assediata dalla polizia di Cossiga, all'indomani dell'assassinio poliziesco di Francesco Lorusso. Quasi ovunque nella penisola si diffondono centinaia e centinaia di occupazioni, manifestazioni ed esperienze di autogestione che hanno per protagonisti gli istituti medio superiori. L'ondata della ribellione investe in maggior misura rispetto al '68 le scuole medie superiori, e saranno proprio gli studenti medi a dare alimento e continuità alla mobilitazione di massa e a sostenere, in prima linea, l'urto contro il revisionismo e la politica scolastica reazionaria del governo di "solidarietà nazionale". Con ciò preannunciando quella modificazione del rapporto universitari-studenti medi che finirà per presentarsi esattamente rovesciato, rispetto alla situazione del '68, tra i ragazzi dell'85 dove sono stati i quattordici-diciottenni a dar gambe, cuore e cervello al movimento di lotta. Il ruolo delle ragazze come protagoniste nella scuola e nella società, che sembra oggi un dato acquisito e una pratica di massa, emerge in tutta la sua forza e in una misura mai vista prima proprio nel '77 che vede il coinvolgimento delle ragazze in una posizione di primo piano al pari dei ragazzi e lo sviluppo di una nuova concezione dei rapporti fra i sessi che indubbiamente deve ancora rafforzarsi sul piano ideologico e ottenere un riconoscimento ufficiale e pratico.
Il '77 rappresenta una continuità e uno sviluppo del '68. Esso apporta degli sviluppi qualitativi sia nell'estensione della denuncia e della lotta contro la scuola e l'Università e contro l'intera società capitalistica, sia nell'approfondimento della lotta contro il revisionismo moderno e il riformismo, portata soprattutto sul piano politico e concreto.

La risposta del governo e del PCI
Il '77 porta allo scoperto e aggrava il distacco dei giovani dalle istituzioni e dai partiti parlamentari che negano loro il lavoro, la casa, le strutture e i servizi sociali, il diritto allo studio, nonché l'avvenire. La risposta del governo di "solidarietà nazionale" al movimento di lotta, solo e unicamente repressiva, contribuisce a rendere insanabile tale frattura. Il monocolore DC guidato da Andreotti boccia la piattaforma rivendicativa degli studenti e dei giovani e non concede niente, anzi dà incarico al ministro di polizia Cossiga di risolvere coi manganelli, le pistole, i blindati e le leggi speciali la contraddizione che si era aperta coi giovani.
La polizia usa mezzi e metodi fascisti per stroncare la legittima e sacrosante lotta del movimento studentesco il quale risponde con l'uso della violenza rivoluzionaria al proditorio attacco armato del governo.
Ma non sono soltanto la ferocia e l'ingiustizia con le quali la borghesia esercita il suo potere ad innestare quel processo, tuttora vivo e operante, di distacco e di ripulsa di massa dei giovani dal Palazzo. La crisi di rigetto avviene perché l'ultimo partito parlamentare, il PCI, nel quale i giovani avevano riposto la loro fiducia, li aveva completamente abbandonati e traditi. Da questa scottante esperienza nasce la rivendicazione dell'autonomia, quale unico mezzo a disposizione del movimento di massa degli studenti per sfuggire alla presenza asfissiante dei partiti del palazzo e all'abbraccio mortale delle istituzioni. Autonomia in contrapposizione alla lottizzazione, autonomia intesa come indipendenza e non come apolicità, su cui però si incuneerà la strumentalizzazione della cosiddetta "Autonomia operaia", in realtà anch'essa un partito, che attraverso la teorizzazione che i partiti politici, tutti i partiti e non solo quelli del palazzo, devono stare fuori del movimento riuscì ad usurparne la direzione e a condurlo al suicidio politico.
Nauseati e allontanatisi dal PCI, di lì a due anni i giovani saranno l'epicentro del movimento tellurico astensionista che assesta colpi mortali alle istituzioni rappresentative borghesi. L'astensionismo (non votanti, schede nulle e bianche) diverrà la terza forza politica italiana, subito dopo la DC e il PCI e prima del PSI, trasformandosi da fatto isolato e fisiologico in fenomeno di massa di enorme significato politico, perché rompe ogni soggezione delle masse verso l'ordinamento sociale e istituzionale capitalistico e colpisce al cuore l'essenza stessa della democrazia borghese, cioè il parlamentarismo vuoto, inconcludente e ingannatorio. L'astensionismo di oggi dimostra che anche grazie al '77 è avvenuto un vero e proprio salto di qualità nella coscienza antistituzionale, antiparlamentare e anticapitalistica delle masse giovanili e popolari italiane.
Se storicamente il '68 rappresenta la prima grande ribellione di massa in Italia contro il revisionismo moderno, indipendentemente dai suoi limiti soggettivi e oggettivi, il '77 costituisce il secondo movimento di massa antirevisionista e antiriformista.
L'attacco che il movimento studentesco aveva portato nove anni prima al revisionismo moderno, anche grazie all'influenza e alle chiarificazioni che erano venute dalla Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina e dalla potente opera e dal luminoso pensiero di Mao, non è stato un fatto temporaneo e legato alla specifica situazione nazionale e internazionale del momento. Ebbene nel 1977 tale attacco ha avuto uno sviluppo ancora maggiore toccando punte aspre come mai in passato. Anche stavolta il PCI, come nel '68 quando teorizzò la "lotta su due fronti, quello di destra ma anche quello di sinistra", e decise solo in ritardo con l'appello demagogico e strumentale di Luigi Longo ai giovani di tentarne un recupero, tarda a valutare quello che stava realmente accadendo negli atenei e a porsi il problema di come inserirsi nel nuovo movimento. Berlinguer aveva teorizzato il PCI "partito di lotta e di governo" ma gli è impossibile - come invece gli era riuscito parzialmente nel '68 - cercare di cavalcare la tigre della protesta studentesca per mettergli il morso, perché ormai il PCI è dentro l'area governativa.
In un primo tempo la parola d'ordine del PCI è "sono pochi provocatori". Poi quando il vertice revisionista si rende conto dell'ampiezza e della profondità del movimento la trasforma in "capire ed entrare nelle lotte". Ma è troppo tardi. E deve pagare il conto di tre errori fondamentali. Primo: essersi posto ad argine e baluardo dello Stato borghese e della vecchia scuola e Università, invece di unirsi fin da subito ai giovani, aiutarli e mettersi alla loro testa. Secondo: aver sacrificato la spinta giovanile, le esigenze e le rivendicazioni delle nuove generazioni al fine di accedere al governo borghese e democristiano. Terzo: aver strumentalmente identificato il movimento di lotta con l'"Autonomia operaia" e il terrorismo per coprire il proprio passaggio di campo, il proprio tradimento.
La FGCI che dopo lo sfascio del '68 aveva conosciuto nel '75-'76 un recupero di prestigio e di iscrizioni, nei primi due mesi del '77 registra 8 mila tessere in meno rispetto all'anno precedente. Nelle Università è prima costretta all'isolamento, sconfitta ripetutamente e duramente contestata dalle assemblee e poi letteralmente cacciata dagli atenei occupati. Botteghe Oscure modifica una terza volta la sua parla d'ordine: "usare le maniere forti per riconquistare il diritto di ingresso nelle università sfondando i picchetti ai cancelli".
La prova generale è all'Università di Roma dove viene vergognosamente inviato Lama per far cessare l'occupazione dell'ateneo. Ma il segretario generale della Cgil, per quanto fosse protetto da un agguerrito servizio d'ordine del sindacato, viene cacciato dall'Università dagli studenti incolleriti dal suo atto di imperio e prevaricazione. Subito dopo l'attuale capo dello Stato, Cossiga, allora ministro degli Interni, con il consenso del PCI, fa sgomberare l'Università con la violenza della polizia.
È un classico comportamento dell'opportunismo di destra quello di mettersi alla coda, al rimorchio dei movimenti di lotta, di frenarli nel loro slancio rivoluzionario fino ad opporvisi, allorché rompono gli argini della democrazia borghese, e combatterli dalla stessa barricata della reazione e del fascismo.
Accolto dalla corrente integrazionista della borghesia nell'area di governo per ottenere la pace sociale, il PCI deve ora dimostrare concretamente la sua capacità di controllare, tenere a freno e ricondurre negli ambiti angusti del riformismo, del pacifismo, del legalitarismo e del parlamentarismo la spinta rivendicativa e contestativa dei giovani. Botteghe Oscure accetta di buon grado il nuovo ruolo che il partito ha assunto nella società italiana dopo essersi liberato di ogni residuo marxista. E per la prima volta, in modo aperto e violento, il gruppo dirigente revisionista si mostra come un cane da guardia delle istituzioni capitalistiche, attirandosi le giuste ire dei giovani senza lavoro, senza scuola, senza avvenire.
Berlinguer compie in quel periodo uno sforzo massimo per teorizzare questo nuovo ruolo del PCI. Nel suo discorso a Mosca del 2 novembre afferma che il PCI considera "la democrazia un valore storicamente universale", tesi che riprende nel discorso alla manifestazione del PCI sui giovani e la scuola svoltasi a Roma il 26 dello stesso mese laddove chiama la classe operaia, i partiti popolari, tutte le forze democratiche a scatenare "una battaglia perché intanto la scuola non crolli, perché funzioni il meglio possibile, perché chi deve insegnare insegni e chi deve studiare studi", "perché tutto non vada in rovina, perché alla crisi, all'inefficienza, non si aggiungano nuovi guasti; bisogna reggere, resistere, combattere; è questo un impegno durissimo".
"Ecco perché - aggiungeva Berlinguer - la classe operaia, (un eufemismo per dire Botteghe Oscure) classe rivoluzionaria, ha preso nelle sue mani e deve mantenerla saldamente, la causa della democrazia e dell'ordine democratico, la causa dell'efficienza e del rinnovamento dello Stato, la causa dello sviluppo e della salvezza delle risorse economiche del paese attraverso una politica di rigore e di austerità volta a realizzare la giustizia sociale".
La "solidarietà nazionale" rappresenta veramente una pagina molto brutta, nella storia del revisionismo italiano, perché per appagare le ambizioni governative di un pugno di borghesi e di carrieristi, i lavoratori, i giovani, le donne sono stati obbligati a sopportare immani sacrifici e a rinunciare a conquiste che avevano pagato col sangue. Quello che doveva rappresentare uno strumento di cambiamento sociale, sia pure graduale, si tradusse nei fatti in un insopportabile giogo per le masse tant'è che a un certo punto, ma erano già passati quasi 3 anni, i dirigenti del PCI furono costretti a uscire dalla maggioranza governativa per evitare di essere travolti dalla furia e dalla ribellione dei lavoratori coscienti e della stessa base comunista.
Il PCI pagherà anche sul piano elettorale la sua partecipazione ai governi di "solidarietà nazionale". Nelle elezioni anticipate del 1979 subisce una secca sconfitta, la prima sul piano elettorale, che si traduce nella perdita del 4 per cento dei voti. Il tonfo è particolarmente clamoroso e pesante ed innesterà un declino politico ed elettorale che a tutt'oggi non accenna ad attenuarsi.
Tale esperienza governativa del PCI conferma che nel capitalismo per quanto potere possano disporre i partiti di origine operaia e marxista, gli operai, i giovani, le donne, saranno sempre ai margini della vita economica, politica e sociale e per di più subalterni e prigionieri di un sistema congegnato in modo tale da negar loro ogni possibilità legale per conquistare un nuovo mondo.

Il ruolo di "Autonomia operaia" e della banda di Craxi
L'importanza del movimento del '77 non sta solo nel suo carattere anticapitalistico e antistituzionale, ossia nell'aver individuato nei suoi strati più avanzati e intermedi che il capitalismo, le sue istituzioni, i partiti governativi e parlamentari e in primo luogo la DC, sono i nemici dei giovani e delle masse operaie e popolari; non sta solo nel suo carattere antirevisionista e antiriformista, cioè nell'aver messo anche il vertice del PCI sul banco degli imputati sottoponendolo ad una critica e un attacco duri, pubblici e di massa con un salto di qualità rispetto al '68.
Il movimento del '77 fu anche un movimento rivoluzionario oggettivamente e soggettivamente, avendo maturato nella sua parte più avanzata e intermedia la coscienza, seppur a uno stato embrionale, ovvero spontaneo, dell'irriducibile antagonismo fra gli interessi delle masse lavoratrici e giovanili e tutto l'ordinamento politico, sociale, economico dominante in Italia e dimostrando nella pratica la volontà di voler vivere in una nuova società. Qui sta la forza di quel movimento che si è però scontrata, e qui sta la sua debolezza, con la mancanza di coscienza autenticamente proletaria e rivoluzionaria dei suoi capi.
Vogliamo dire che i giovani e gli studenti non potevano spontaneamente formarsi una coscienza rivoluzionaria socialista completa che poteva essere loro apportata soltanto dall'esterno, dal partito del proletariato; non potevano autonomamente elaborare e possedere la linea, i mezzi, i metodi, la strategia e la tattica per conquistare la nuova società che sognavano e per cui lottavano. Non essendo i giovani e gli studenti una classe, e tanto meno una classe generale, furono quindi incapaci di elaborare una propria ideologia e di svolgere una politica e un'azione indipendente da quella delle altre classi. Ed ancora: mancando un forte Partito rivoluzionario capace di capirli, di interpretarne i sentimenti e la volontà, di liberare e far maturare la loro carica innovativa e rivoluzionaria, di discriminare le idee giuste da quelle sbagliate, i maestri positivi da quelli negativi e dialetticamente convincerli che al di fuori del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della linea proletaria rivoluzionaria del Partito marxista-leninista non esistono prospettive di successo per i loro movimenti e le loro giuste rivendicazioni ed è impossibile aprirsi l'avvenire, era inevitabile - come poi è successo - che l'impazienza dei rivoluzionari piccolo-borghesi prendesse il sopravvento e bruciasse ogni possibilità di crescita del movimento del '77.
Si vuole "tutto e subito". Subito anche la rivoluzione. Indicativa al proposito una scritta tracciata sui muri della facoltà di lettere dell'Università di Bologna: "Un giorno il '68. Oggi un '78. Domani forse un '88. Certamente un '98. (Bestemmia). Io nel '98 ho 38 anni. Facciamola prima 'sta rivoluzione'". Si pensa che per far valere i propri diritti e soddisfare i propri bisogni non ci sia altro mezzo che la lotta violenta, indipendentemente da ogni altra considerazione politica. Non si calcolano i rapporti di forza né le alleanze e le condizioni concrete, né si tiene conto delle diverse dimensioni delle rivendicazioni; la tattica viene cancellata. L'eroismo e il combattimento di strada sono tutto, ogni altra considerazione strategica e tattica è niente. Soprattutto non si capisce che senza la classe operaia e la sua direzione non è possibile rovesciare il vecchio ordine sociale. A ciò contribuisce anche il fatto che nel '77, al contrario del '68, non c'è contemporaneamente un risveglio spontaneo della classe operaia alla lotta di massa e di piazza e una forte spinta da parte degli studenti e dei giovani a coinvolgere il movimento operaio e sindacale nella lotta contro il sistema capitalistico. D'altra parte i lavoratori erano frenati dall'esperienza in corso della "solidarietà nazionale".
In questa situazione ha buon gioco la cosiddetta "Autonomia operaia" - un'accozzaglia di trotzkisti, anarchici, operaisti, intellettuali fanatici ed idealisti, avventurieri, elementi borghesi declassati e sottoproletari, agenti provocatori mascherati dei servizi segreti italiani, dell'Ovest, degli Usa, della banda di Craxi ma anche dell'Est e del socialimperialismo sovietico - che si inserisce pesantemente nel movimento del '77 spingendolo all'avventura, ad azioni provocatorie, quali l'"esproprio proletario", alla lotta di strada senza sbocco e all'uso della "P38". Cadono così sul selciato dei giovani generosi, si riempiono le galere ma il movimento rimane isolato e non riesce a scuotere e coinvolgere la classe operaia. Cosicché il movimento lentamente si spegne e rimane soffocato dal forte inquinamento degli "autonomi" e del terrorismo.
L'ultimo atto di rilievo nazionale del movimento del '77 è il convegno di Bologna svoltosi nei giorni 23, 24, 25 settembre e conclusosi con una grande manifestazione di 70 mila giovani. Nell'occasione il movimento esprime apertamente tutto il suo odio contro la DC, il governo Andreotti e il "compromesso storico", riuscendo per la prima volta dalla formazione del "governo delle astensioni" a sfondare l'isolamento in cui era stata confinata la gioventù anticapitalista, antiriformista e rivoluzionaria. Tale convegno è una straordinaria testimonianza e nel contempo l'occasione per aprire una riflessione che ha quale nodo centrale la ricerca di una via che risponda veramente e completamente alle esigenze e alle aspirazioni dei giovani. Una ricerca alla quale il Comitato centrale del PMLI fornisce un organico e strategico contributo, il 9 febbraio 1978, con l'"Appello ai giovani rivoluzionari", che vengono invitati "a verificare tutte le proposte politiche che circolano al loro interno sulla base di una visione marxista e rivoluzionaria della lotta di classe, e a centrare e coordinare meglio i loro colpi micidiali sul bersaglio comune del capitalismo affinché la classe dominante borghese non abbia via di scampo, venga isolata e spodestata dal potere politico"; "di dichiarare apertamente che il loro obiettivo è la conquista del socialismo - la meta tanto sospirata dal proletariato, la più nobile ed esaltante impresa dell'umanità - e di perseguirlo con tenacia e chiarezza politica senza nulla concedere al revisionismo di destra e di 'sinistra', a coloro cioè che con inganni ideologici, politici e pratici in un modo o in un altro tentano di sabotare il raggiungimento di questo grande traguardo storico che cambierà radicalmente il volto dell'Italia".
"Solo il socialismo - sottolinea inoltre l'Appello - può dare un avvenire all'Italia e una ragione, un ordine, una finalità e una direzione a tutti i movimenti spontanei di massa, comprese le eroiche lotte dei giovani contro le istituzioni, gli ordinamenti, i contenuti, i metodi scolastici e universitari, la morale, la famiglia e i costumi borghesi, le discriminazioni di sesso, l'emarginazione giovanile e la repressione reazionaria e fascista. Se i giovani non dicono chiaramente che vogliono il socialismo, che intendono battersi in maniera disciplinata ed organizzata per raggiungere il socialismo, e non si oppongono fermamente a coloro che cercano di spingerli ad azioni armate e di carattere avventuristico, la classe operaia non li capirà mai, e la borghesia e i revisionisti speculeranno sulla loro confusione ideologica e politica e sulle loro attività avventate e sconsiderate per isolarli, discreditarli e liquidarli come banditi e criminali comuni".
Ma ormai la coscienza dei giovani rivoluzionari era stata completamente soffocata dalla spontaneità. Il soffocamento della coscienza da parte della spontaneità era avvenuto anch'esso in modo spontaneo. Tale fenomeno infatti non si è compiuto attraverso la lotta dichiarata fra due concezioni diametralmente opposte - quella proletaria e quella borghese e piccolo-borghese - e la vittoria della seconda sulla prima, ma attraverso l'avulsione, impedendo, e col muro del silenzio dei mass-media e materialmente e fisicamente, al PMLI di imporsi all'attenzione dei giovani per la sua politica proletaria e rivoluzionaria.
Per di più si scatena un coro assordante di voci dall'interno e dall'esterno del movimento che proclama la fine del ruolo delle ideologie e la morte del marxismo, che era l'ora di finirla con l'esagerazione della funzione dell'elemento cosciente, che dava credito alla possibilità che il movimento giovanile fosse di per sé in grado di elaborare - e la stesse elaborando in realtà - una ideologia indipendente, e comunque quel che più contava era che i giovani strappassero il loro destino dalle mani del potere e si riappropriassero collettivamente e direttamente dei propri bisogni, cioè partecipassero alla spartizione della ricchezza socialmente prodotta secondo la cosiddetta "teoria dei bisogni" di Agnes Heller, allieva di Lukàcs e sostenitrice delle sue posizioni idealiste e revisioniste.
Dal momento però che non si può parlare di una ideologia indipendente elaborata dalle stesse masse giovanili nel corso stesso del loro movimento, la questione si può porre solo così: o ideologia borghese o ideologia proletaria. Non c'è una via di mezzo perché l'umanità non ha creato una terza ideologia, e d'altronde in una società capitalistica come quella italiana, dilaniata dagli antagonismi di classe, non potrebbe mai esistere una ideologia al di fuori e al di sopra delle classi, delle due classi generali.
Cosicché ogni menomazione, ogni allontanamento dalla ideologia proletaria comporta necessariamente un rafforzamento della ideologia borghese. Se si trasforma la spontaneità in un feticcio, lo sviluppo spontaneo del movimento giovanile, come d'altronde di quello operaio, condurrà a subordinarlo alla ideologia borghese. Perché diciamo questo? Perché il movimento spontaneo conduce in ultima analisi al predominio della ideologia borghese? Per un motivo molto semplice, la ideologia borghese in quanto ideologia dominante è molto più antica di quella proletaria, è meglio articolata ed elaborata in tutti i suoi aspetti e non per ultimo essa possiede una quantità di mezzi di diffusione e coercizione incomparabilmente maggiori.
Qualcuno ha scritto che nel '77, alla fine, ha vinto la destra, la cultura della destra, perché meglio ha saputo interpretare l'esplosione di "soggettività" dei giovani. Se da questa affermazione si vuol discendere che il '77 fu un movimento di destra, e comunque non di sinistra, si compie un infame vilipendio alla storia. E per di più si infanga la memoria di quanti, come Walter Rossi, sono rimasti vittime o hanno subito le ferite dell'assalto degli squadristi fascisti al movimento di lotta, parallelo e convergente con quello della polizia di Cossiga. Forse si dimentica che secondo una indagine Demoskopea fra gli studenti del '77 il 24% votava PCI, il 21,6% DP, l'8,3% PSI, il 6,5% PR e solo il 10% DC?
Né si scopre un bel nulla se si vuol dire che la cultura della sinistra parlamentare, cioè del PCI revisionista e dei suoi satelliti "Manifesto", PdUP, nonché quella di "Avanguardia operaia", non fu in grado di collegarsi e interpretare la spinta oggettiva e soggettiva dei giovani che anzi proprio in quella occasione mostrò quella piena identificazione col liberalismo nella sua variante socialdemocratica poi sancita al XVII Congresso del PCI del 1986. Ma non ci si venga a dire che il '77 mette in evidenza che la cultura marxista non è più in grado di fare i conti con l'irruzione della categoria dei giovani nella sfera politica. Perché certe manifestazioni di gruppi di giovani della piccola-borghesia rivoluzionaria, basate sullo spontaneismo, l'individualismo e l'avventurismo - che non appartengono alle categorie marxiste, ai tratti caratterizzanti il movimento operaio - possono rappresentare talvolta uno stadio della loro maturazione che può essere superato gradualmente man mano che il movimento operaio riconoscerà il PMLI come la sua guida e si imporrà alla loro attenzione.
È vero invece che la risposta dell'opportunismo di sinistra, della cosiddetta "Autonomia operaia" che non si può assolutamente identificare col movimento del '77 - anche se è un dato di fatto che ne ha preso ad un certo punto l'egemonia - anziché attingere al patrimonio marxista-leninista per trovarvi le risposte ai nuovi e vecchi problemi posti dall'irruente esplosione di lotta giovanile, ha attinto dal logoro armamentario della destra borghese, dell'idealismo, romanticismo, individualismo, edonismo e anticomunismo, da quello socialdemocratico e riformista, nonché dall'anarchismo e anarcosindacalismo.
Non ha niente a che vedere col marxismo la sfiducia dell'"Autonomia", che è comune a quella delle cosiddette "Brigate rosse", nella capacità rivoluzionaria della classe operaia e delle masse popolari, che spesso arriva al disprezzo per l'operaio di fabbrica considerato "integrato" e "garantito" in questo sistema capitalistico e impossibile a sottrarre al controllo del partito revisionista. Mentre l'"operaio sociale", secondo la definizione di Toni Negri, ideologo dell'"Autonomia" attualmente in esilio dorato in Francia sotto la protezione di Mitterrand e Craxi, sarebbe il nuovo soggetto rivoluzionario. Non più centralità operaia ma centralità dell'"area di sfruttamento presente sul territorio", dei cosiddetti "non garantiti", gli studenti, i disoccupati, i precari, gli addetti al lavoro nero, i baraccati, il sottoproletariato delle periferie urbane. Forze sociali che dovrebbero coagularsi intorno alla classe operaia, e solo intorno ad essa possono farlo, che hanno interesse e naturalmente sono sospinte all'alleanza con essa, sono invece strumentalmente adulate e accettate così come sono e si manifestano, poste in concorrenza se non in antagonismo alla classe operaia e spinte in una fuga in avanti che si infrange sulla consolidata e sperimentata macchina statale borghese. Un esito prevedibile dal momento che questa azione non è basata sul marxismo-leninismo e l'esperienza storica del movimento operaio.
L'avventurismo e il terrorismo, con l'idea e la pratica di sostituirsi alla classe operaia per fare la rivoluzione, di saltare quel necessario e indispensabile lavoro sistematico per organizzare e portare su posizioni rivoluzionarie la maggioranza della classe operaia e far così maturare le condizioni soggettive per la rivoluzione, hanno spinto il movimento o parte del movimento alla disperazione, ne hanno sperperato il grande potenziale e lo hanno consegnato in pasto allo Stato borghese, alla destra DC e craxiana e al riformismo che asserivano di voler "colpire al cuore".
Una nefasta opera quella degli "ultrasinistri" che è contigua a quella degli opportunisti di destra i quali benché fossero stati espulsi dal movimento del '77, e con ciò lasciando tutto lo spazio interno agli "Autonomi", continuavano a manovrare in modo multiforme dall'esterno. Basti pensare che la cosiddetta "teoria delle due società" - quella dei "garantiti", che include anche gli operai occupati accanto ai padroni, e quella dei "non garantiti" - viene avanzata nel '77 da Alberto Asor Rosa, comunista "pentito" dopo i fatti di Ungheria, teorico dell'operaismo negli anni '60, approdato al PCI alla fine degli anni '70 e attualmente membro del comitato centrale del PCI.
Senza contare che le teorizzazioni e la pratica della pseudo "guerriglia urbana" in luogo di una lotta di principio contro le posizioni socialfasciste e collaborazioniste dei revisionisti hanno offerto una via d'uscita seppur costosa e dolorosa al vertice del PCI che altrimenti sarebbe stato inchiodato di fronte al suo tradimento storico delle aspirazioni immediate e a lungo termine della classe operaia e delle larghe masse giovanili e popolari.
Non solo l'uso sconsiderato della "P38" e della molotov, la rivolta armata di piccolo gruppo non hanno indebolito per niente l'influenza della DC e del partito revisionista sulle masse, né hanno fatto retrocedere il processo di fascistizzazione e di economia di guerra ma hanno prestato il fianco all'infiltrazione della banda di Craxi. La quale, a dire il vero, aveva precedenti rapporti e legami diretti e personali con leader dell'"Autonomia" e del terrorismo che solo più tardi saranno scopertamente rivelati. Sta di fatto che Craxi, impossessatosi qualche mese prima col colpo di mano al Midas della segreteria PSI, si sente schiacciato nei governi di "solidarietà nazionale", cerca di ritagliarsi uno spazio tra DC e PCI, e coltiva il disegno della 2ª repubblica presidenziale, autoritaria e fascista. A tale scopo, come ha confessato recentemente Martelli, il PSI lancia un attacco concentrico al PCI, da destra e da "sinistra", per metterlo alle corde, indebolirne il prestigio e eroderne la base elettorale, ed anche allontanarlo dall'area di governo, eliminando così un pericoloso concorrente nella corsa alla stanza dei bottoni ed aprendo una partita a due con la DC per l'egemonia governativa e statale.
Non possiamo in questa occasione approfondire l'intreccio PSI di Craxi-corrente golpista della borghesia-terrorismo-seconda repubblica, perché ci porterebbe lontano e sul quale abbiamo già detto quello che c'era da dire nel Rapporto politico al 3° Congresso nazionale del PMLI. Vogliamo però sottolineare che Craxi ha trescato con leader dell'"Autonomia", che presentando il suo PSI con una veste "libertaria" ha cercato di spingere il movimento del '77 o parte di esso a concentrare solo ed unicamente i suoi colpi contro il PCI salvando la DC, il governo Andreotti, che anche il PSI sosteneva, le istituzioni borghesi e il sistema capitalistico nel suo complesso.
E che il disegno di trascinare nella pratica del terrorismo l'"Autonomia" e il movimento dei giovani rispondeva all'esigenza dei golpisti, dei fautori della 2ª repubblica, di avere un'organizzazione ristretta ed efficiente, come le "BR", in modo da condurre in porto azioni come il rapimento e l'uccisione di Moro, e del terrorismo "diffuso" per spostare a destra l'opinione pubblica italiana e creare le condizioni per un governo e uno Stato fascisti, se non per un golpe di tipo classico.
Comunque il "mito" che era stato creato in certe frange di giovani intorno all'"efficienza" delle "BR", sulla loro possibilità di mettere in ginocchio lo Stato, nonché il "mito" della "P38", ha avuto vita relativamente breve. Come l'ha avuta la simpatia verso il terrorismo dei giovani più impazienti di farla finita col capitalismo.
Resta ancora da portare più a fondo la riflessione e il dibattito con quanti hanno simpatizzato col terrorismo così come coi sinceri rivoluzionari caduti nelle spire dei gruppi armati, sui danni causati dal terrorismo alla lotta rivoluzionaria del proletariato, sull'impossibilità di abbattere il sistema capitalista attraverso la pseudo-guerriglia urbana e il terrorismo.
La deviazione terroristica comunque non scalfisce per niente la natura, il carattere e il valore storico del movimento del '77. Il quale conferma che i giovani sono la parte più rivoluzionaria del proletariato e della società e una dirompente forza innovativa dei costumi e dell'intera società.

Gli insegnamenti del '77
Il '77 è stato il messaggero di una gioventù libera dall'influenza e dal controllo culturale, politico ed organizzativo della borghesia, della reazione, del riformismo e del revisionismo, di una gioventù pienamente padrona di se stessa e dei propri movimenti di massa, libera di usare tutti i mezzi possibili, legali e illegali, pacifici e violenti al fine di soddisfare le proprie esigenze immediate e di aprirsi l'avvenire. Di una gioventù che vuol liberarsi dallo sfruttamento e dall'oppressione capitalistici, da ogni condizionamento istituzionale borghese, dal bisogno e dall'emarginazione sociale, dalla cultura borghese e dalla morale oscurantista e retrograda della classe dominante borghese.
Purtroppo c'è il rischio che questo messaggio vada disperso, che questa esperienza non sia pienamente assimilata e messa a frutto dalle nuove generazioni a causa dell'opera di devastazione ideologica, politica ed organizzativa compiuta dagli "ultrasinistri" che ha bruciato e disperso gli entusiasmi, gli interessi, le energie e l'impegno attivo e militante di gran parte dei protagonisti del '77 e dell'azione martellante della borghesia e dei revisionisti per denigrare e dipingere a fosche tinte quel memorabile movimento anche giocando sul fatto che col volgere di 6-8 anni è avvenuto un ricambio quasi completo della popolazione studentesca, nella secondaria superiore e nell'Università.
Non dobbiamo permettere che questo accada, non dobbiamo permettere alla borghesia e ai revisionisti di mettere una pietra sopra al '77, di recuperare la frattura che allora si è aperta col movimento giovanile, di reinserirsi al suo interno e di riprenderne il controllo e l'egemonia.
Sappiano che non avranno vita facile perché nel nostro paese, quasi ogni otto anni, con la conclusione delle scuole dell'obbligo, quando una nuova generazione prende coscienza della propria situazione, della scuola e della società in cui è immersa esplode puntualmente la protesta e la ribellione giovanile. Lo conferma il movimento partito nell'85 dal II Liceo Artistico di Milano che costituisce il primo grande movimento studentesco composto prevalentemente dagli studenti medi che oggettivamente e nei fatti muove una critica radicale alla politica scolastica, giovanile e sociale governativa. Siamo in presenza di una rilevante novità politica che indica chiaramente una più precoce maturazione politica dei giovani rispetto al passato, che una moltitudine di 14-18enni ha preso coscienza nella pratica che il governo e il sistema capitalistico non soddisfano i loro bisogni scolastici e sociali. Ed inoltre che i giovanissimi sono capaci di organizzarsi, mobilitarsi e battersi per la risoluzione dei loro problemi.
I governanti e tutti i partiti del palazzo hanno una grande paura che il movimento studentesco esca dalla legalità costituzionale e dalle istituzioni e che imbocchi la via della contestazione dura e violenta. E pertanto esso è oggetto da più parti, inclusi i revisionisti, di insidiose manovre per imbrigliarlo nelle istituzioni e farlo esaurire e subisce una forte influenza del pacifismo, del riformismo, del legalitarismo e del parlamentarismo che si traduce soggettivamente in un livello di coscienza non anticapitalistico della lotta studentesca.
Per far fare un salto di qualità al movimento studentesco nella lotta cosciente anticapitalista è necessario non solo tener vivo il messaggio del '77 ma anche risolvere i problemi che esso ha lasciati aperti, che sono gli stessi del '68, e che si ripresentano di nuovo irrisolti oggi. Bisogna chiudere questa partita, far un bilancio completo dell'esperienza per acquisire e mettere a frutto gli insegnamenti positivi e negativi, per evitare che ogni volta il movimento si esaurisca in una sola ondata, dopo aver ondeggiato dal riformismo e pacifismo all'avventurismo e terrorismo e viceversa, per evitare che l'onda di piena travolgente rifluisca più o meno rapidamente e sia riassorbita, e infine per evitare che ogni volta si infliggano delle ferite anche laceranti ma non si arrivi a disarcionare la borghesia dal suo posto di comando e ad aprire la via alla costruzione di una nuova società socialista.
Per dare un contributo in questo senso, e portare a sintesi il ragionamento che abbiamo sin qui svolto, vogliamo indicare almeno quattro insegnamenti fondamentali del '77 che a nostro avviso sono anche quattro problemi aperti che il movimento giovanile e studentesco di oggi dovrebbe risolvere definitivamente traendo la lezione da quel memorabile movimento.

1. Solo la lotta di massa anticapitalista incide nella realtà sociale e muove in avanti la ruota della storia
Il '77 ha dimostrato che senza lotta non c'è vita, non c'è progresso sociale e nemmeno possono trovare soddisfazione i bisogni dei giovani e degli studenti. Che i giovani possono divenire dei protagonisti politici e sociali solo se osano prendere vigorosamente in mano il proprio destino, si uniscono, organizzano e fanno affidamento sulla lotta di massa anticapitalistica.
Solo ingaggiando una dura, articolata e prolungata lotta contro il governo e le istituzioni centrali e locali potranno strappare loro ciò di cui hanno bisogno. Ma per far questo occorre porsi decisamente fuori e contro il palazzo, preservare gelosamente la propria indipendenza dalle istituzioni, e usare la democrazia diretta in tutte le sue espressioni, in primo luogo l'assemblea generale, come strumento per organizzare il movimento in contrapposizione alla democrazia borghese, agli organi rappresentativi scolastici e universitari, insomma a tutte quelle trappole istituzionali e corporative disseminate dai partiti del palazzo e dalle loro organizzazioni giovanili.
E proprio da questa contrapposizione risulterà la supremazia della democrazia diretta, il suo carattere veramente democratico per le masse studentesche mentre la democrazia borghese sarà riconosciuta per quello che è: un metodo ideato a misura della classe dominante capitalista, buono per la lottizzazione e la corruzione presente nel Palazzo e incapace di esprimere e garantire la vittoria delle esigenze delle masse popolari e giovanili.
Nel '77 come nel '68 i giovani sono saliti sulla ribalta politica attirandosi la simpatia e l'appoggio dell'opinione pubblica democratica e progressista solo quando hanno fatto delle piazze e delle aule magne dell'Università le loro sedi organizzative e politiche.
Ogni volta che è sceso in campo il movimento studentesco ne ha tratto giovamento la causa della democrazia e del progresso, mentre il governo e i partiti del palazzo hanno tremato, sono dovuti indietreggiare dai loro disegni antistudenteschi e antipopolari e sono stati costretti ad interessarsi dei giovani e dei loro problemi.
Ed è nella lotta di massa anticapitalistica, condotta usando i metodi degli scioperi, delle occupazioni, delle manifestazioni di piazza, delle autogestioni, che gli studenti si sono guadagnati il riconoscimento politico e storico, hanno potuto strappare quanto era possibile alla scuola di oggi e immaginare la scuola del futuro.
Quando invece i giovani si sono cullati nell'ozio, nel disimpegno e si sono fatti sopraffare dal pessimismo e dalla rassegnazione, oppure quando hanno riposto le loro speranze nelle autorità scolastiche e accademiche, nei governanti e nei partiti del palazzo, infine quando si è raffreddata la loro voglia di cambiare e si sono limitati a lotte parziali e di piccolo gruppo senza aggredire le cause di fondo della loro insopportabile condizione di vita e di studio, che risiedono nell'esistenza stessa del regime capitalistico, allora la loro immagine, il loro ruolo e peso politico e sociale si sono indeboliti, i loro problemi aggravati e i loro diritti maggiormente calpestati, la borghesia ha ripreso fiato ed è tornata all'attacco per rimangiarsi le promesse fatte e riconquistarsi il terreno perduto.
Guardate cosa sta succedendo oggi nella scuola e nella Università! Grazie alla irresistibile pressione e alle lotte giovanili e popolari, le dimensioni e i tassi di scolarizzazione sono molto cresciuti, anche se i giovani dei ceti meno abbienti continuano ad essere discriminati ed esclusi massicciamente dall'istruzione pubblica sin dai suoi primi gradini. La borghesia si è suo malgrado adeguata, anche se non bisogna scordare che la cosiddetta "scuola di massa" ha continuato a svolgere la sua funzione classica nella società borghese, che è quella di inculcare lentamente, inesorabilmente, generalmente l'ideologia, la morale, la politica dominanti tra i giovani, così da renderli, una volta divenuti adulti e ciascuno ai diversi gradi della gerarchia sociale, dei perpetuatori e continuatori e non già dei contestatori del regime borghese.
Ma la "scuola di massa", benché frequentata da tanti futuri disoccupati non è certo un "parcheggio" della disoccupazione, non è insomma una valvola di sfogo sociale perché se ne potesse fare a meno la borghesia sarebbe felice di sopprimerla, almeno così com'è, perché essa le sottrae risorse finanziarie che ben volentieri impiegherebbe in investimenti produttivi.
Ed ecco che il governo Craxi, confidando nella pace sociale e nella collaborazione anche del PCI, sta puntando sulla privatizzazione, sul trasferimento del comparto dell'istruzione pubblica direttamente nelle mani del grande capitale, della Chiesa cattolica e di grandi organizzazioni politico-culturali lautamente finanziate dai potentati economici. Con ciò ricollegandosi ai progetti Gui e Malfatti che la classe dominante aveva dovuta riporre nel cassetto a causa dell'immediata ed imponente contestazione studentesca del '68 e del '77. Craxi oggi riprende quella linea in una forma più organica, compiuta e pericolosa perché la inserisce nel disegno della 2ª repubblica, e persegue quegli stessi obiettivi di espellere gli studenti di origine operaia e popolare dai gradi più alti dell'istruzione e di soffocare e irreggimentare il movimento studentesco.
Bisogna bloccare Craxi prima che sia troppo tardi, bisogna farlo indietreggiare dal progetto della privatizzazione e della scuola della 2ª repubblica, dal perseguire la criminale prospettiva di mettere la camicia nera e il fez ad una intera generazione di giovani per di più disoccupati e ignoranti, emarginati dal lavoro e dalla cultura, per nutrire l'insaziabile sete di profitti di un pugno di sanguisughe capitaliste e supportare le velleità espansioniste e neocolonialiste della borghesia monopolistica italiana nel Mediterraneo, in Medio Oriente e in Africa.
Ma come riuscirci quando Craxi ha zittito il parlamento, calpestato la magistratura, la stampa, stracciata nella pratica la stessa costituzione borghese e non ha più ritegno nel proclamare apertamente l'obiettivo della repubblica presidenziale e pretende dagli elettori di essere incoronato quale nuovo duce d'Italia?
Solo la piazza può fermarlo, solo facendo affidamento sulla lotta di massa anticapitalistica si può farlo cadere da sinistra, impedire un arretramento complessivo della società, un imbarbarimento politico, sociale ed economico e l'instaurazione della 2ª repubblica. E nel contempo spingere in avanti la ruota della storia e del progresso sociale, e non certo verso un semplice cambio di direzione del governo da un partito borghese ad un altro partito borghese e la sostituzione di Craxi con un DC o anche con un leader del PCI, ma verso la sostituzione dell'intero sistema capitalistico.

2. Il riformismo e il pacifismo frenano e sabotano lo slancio rivoluzionario delle masse
Il '77 costituisce una clamorosa testimonianza della natura e del ruolo borghesi, antigiovanili, antipopolari, antidemocratici e controrivoluzionari del riformismo e del revisionismo. Nella pratica abbiamo visto che il PCI, seguendo la stessa parabola del PSI, è approdato laddove la borghesia voleva che approdasse cioè all'assunzione diretta e totale della libertà e della democrazia borghesi e quindi al riconoscimento del regime statale ed istituzionale che la borghesia ha creato. E quando i giovani si sono messi in movimento contro tale regime perché negava loro il diritto al lavoro, allo studio, ad una vita degna di essere vissuta senza più sfruttamento e oppressione, hanno trovato a sbarrargli la strada i vertici del PCI e PSI e delle rispettive organizzazioni giovanili. I riformisti e i revisionisti prima hanno tentato con ogni mezzo di frenare e sabotare lo slancio rivoluzionario delle masse e poi non hanno esitato ad unire le proprie truppe a quelle della DC, dei "laici", del MSI, della polizia di Cossiga e dei capitalisti per soffocare la ribellione giovanile che minacciava di mandare a gambe all'aria l'Università, la scuola e le istituzioni borghesi e di inchiodarli di fronte alle loro responsabilità per il sostegno dato al governo Andreotti e al loro tradimento degli interessi e delle aspirazioni dei lavoratori, dei disoccupati, degli studenti, delle donne, dell'intero popolo.
Non è la prima volta che ciò accadeva. Nel luglio 1960 i giovani dalle magliette a strisce che furono in prima fila nelle grandiose lotte popolari contro il governo clerico-fascista Tambroni dovettero affrontare anche un'altra battaglia: quella contro la direzione del PCI che tentava di frenare la lotta. Anche nel '68 il movimento agì da solo e contro la volontà del vertice del PCI e di tutte le organizzazioni giovanili e studentesche di stampo riformista, parlamentarista, legalitarista e pacifista allora esistenti compresa la FGCI che furono travolte e distrutte dal movimento di massa. Dovettero passare diversi anni prima di rivedere la FGCI sulla scena ma di nuovo fu il '77 da cui esce con le ossa rotte e frantumata organizzativamente e politicamente.
Dieci anni dopo, e siamo ai nostri giorni, i riformisti e i revisionisti tornano alla carica, cercano di rimuovere dalla memoria storica del movimento giovanile il loro infamante passato e di superare una crisi nel rapporto con i giovani che non è solo organizzativa ma soprattutto ideale e politica. Ma nel frattempo PSI e PCI invece di spostarsi a sinistra, e in questo raccogliendo la spinta del '77, sono andati ulteriormente a destra.
La linea riformista ha portato alla 2ª repubblica e alla proposta, al centro del prossimo congresso socialista, dell'elezione diretta del presidente della repubblica che è stata applaudita dal fucilatore di partigiani Giorgio Almirante e che era già stata avanzata dal piduista Licio Gelli nel cosiddetto "piano di rinascita democratica". Per quanto riguarda il PCI, col 17° Congresso ha completato la sua trasformazione in un partito borghese, liberale, riformista e socialdemocratico. Pur di accedere al governo è disposto a tutto, anche a reggere il sacco a Craxi e alla 2ª repubblica, anche ad allearsi coi liberali come ha effettivamente fatto inaugurando il cosiddetto "governo di programma" che cancella ogni pregiudiziale ideologica e di classe compresa quella verso la DC, con la quale Natta non voleva andare a prendere "nemmeno un caffé" e che invece viene riabilitata e corteggiata fino al punto di concorrere in maniera determinante all'elezione di Cossiga e Fanfani rispettivamente alla presidenza della Repubblica e del Senato mentre si moltiplicano le giunte locali di "compromesso storico".
Che alla fine cuocia nella padella socialista o nella brace democristiana, comunque sul vertice del PCI non c'è davvero da fare alcun affidamento né sul piano della lotta contro la società capitalistica né sul piano della lotta contro la scuola e l'Università borghesi.
Di questa sciagurata realtà occorre prendere urgentemente coscienza per contrastare la grossa e pericolosa operazione in atto da parte dei revisionisti di inglobare le nuove generazioni nel capitalismo, di cancellare i caratteri classici della gioventù di sinistra e di spegnere ogni interesse e aspirazione dei giovani verso il socialismo. I dirigenti del PCI, tramite la FGCI rifondata col congresso dell'85, puntano a riconquistare l'egemonia giovanile, far accettare ai giovani l'"alternativa democratica", colmare il fossato che separa i giovani coscienti dalle istituzioni e dai partiti parlamentari e cancellare nella gioventù ogni traccia e ogni memoria proletaria. I revisionisti vogliono integrare i giovani nel capitalismo illudendoli di lottare per una nuova società socialista.
In effetti regna oggi nella testa dei giovani una grande confusione riguardo al marxismo e al socialismo, e il riformismo e il pacifismo per colpa dei revisionisti sono entrati all'interno della gioventù di sinistra. Pesa indubbiamente sulle nuove generazioni la restaurazione del capitalismo in Urss e in Cina, anche se i giovani non ne hanno coscienza in questi termini, pesano l'aperto rinnegamento del marxismo da parte della banda di Deng e l'esaltazione del liberalismo e della democrazia borghesi da parte di quella di Gorbaciov; lo scontro armato fra paesi un tempo socialisti, vedi l'aggressione del Vietnam al Kampuchea; la confusione ad arte tra "socialismo realizzato" e vero socialismo e la relativa propaganda menzognera e velenosa della borghesia e dei revisionisti italiani; l'antica ed oggi intensificata campagna della reazione italiana e mondiale contro i grandi maestri del proletariato, in particolare contro Stalin e Mao, e contro le più importanti esperienze socialiste finora realizzate, quella della Russia di Lenin e Stalin e quella della Cina di Mao ma anche i soli quattro anni dell'esperienza socialista in Kampuchea.
I dirigenti di PCI e FGCI speculano su certe tendenze spontanee dei giovani innalzandoli a grandi miti e grandi "opzioni ideali" ed esaltano l'individualismo e i bisogni personali, le lotte parziali e senza sbocco, il parlamentarismo, il legalitarismo e la non violenza per sovrapporli e sostituirli alla lotta di massa anticapitalistica, agli ideali del socialismo, alla trasformazione radicale della società. E a tale scopo ricorrono a teorizzazioni false, sottili e ingannevoli come quella che "una nuova generazione è scesa in campo" con caratteristiche "completamente nuove" rispetto alle generazioni precedenti, quando invece intatti sono i caratteri permanenti che accomunano l'attuale gioventù a quella della Resistenza, del '68 e del '77, anche se ad essi si sono aggiunti nuovi elementi.
Ricorrono anche a parole d'ordine come una "Nuova politica giovane", lanciata da Folena alla recente Conferenza d'organizzazione della FGCI, come se la politica avesse un'età e si distinguesse tra "nuova" e "vecchia" e non su una base di classe. È quindi evidente che tale parola d'ordine ha un carattere marcatamente interclassista, solidaristico e riformistico. Non essendo basata sulla difesa intransigente degli interessi della classe operaia finisce col riempirsi dei vecchi contenuti e dei vecchi obiettivi borghesi, conservatori e controrivoluzionari.
Natta, Occhetto e Folena propongono come prospettiva il "nuovo socialismo", ma barano sapendo di barare poiché esso è ispirato ai "valori universali" borghesi e non alla teoria marxista e all'esperienza storica della dittatura del proletariato.
In pratica il PCI e la FGCI ripropongono oggi le stesse tesi, la stessa politica, gli stessi obiettivi bocciati dal movimento di massa giovanile nel '68 e nel '77 ed elettoralmente nel '79.
I tentativi della FGCI e della Fgs di infilare la camicia di forza istituzionale e del legalitarismo borghese al movimento studentesco non devono essere coronati da successo. Se ciò accadesse, in particolare se si affermassero le proposte del "Sindacato" e del "Senato" degli studenti, le lotte studentesche segnerebbero il passo e finirebbero coll'esaurirsi e rientrare nel Palazzo sotto la cappella e l'egemonia delle associazioni giovanili di PSI e PCI.

3. L'ultrasinistrismo, l'avventurismo e il terrorismo frantumano il movimento di massa e lo spingono al suicidio
Abbiamo visto che il movimento giovanile e studentesco è attualmente esposto al grave rischio di essere risucchiato nel Palazzo, di essere coinvolto dal generale spostamento a destra dell'imperialismo, del socialimperialismo, del capitalismo, della socialdemocrazia, del riformismo e del revisionismo. Contrastando e vincendo questa forza inerziale bisogna stare attenti a non cadere nell'ultrasinistrismo piccolo-borghese; nell'avventurismo e nel terrorismo che come ha dimostrato il '77 frantumano il movimento di massa e lo spingono al suicidio.
Bisogna capire che all'interno della gioventù si riflettono le classi e la lotta di classe e il movimento giovanile nel suo complesso riceve una doppia spinta, verso sinistra e il progresso da parte del proletariato e verso destra e la conservazione da parte della borghesia. Talvolta può accadere, come nel '77, che la spinta del proletariato non sia sufficientemente forte per conquistare stabilmente il movimento studentesco e giovanile allo schieramento di lotta per il socialismo. Ciò perché il proletariato non si è ancora scrollato di dosso il fardello del revisionismo e del riformismo che lo opprime e lo soffoca e gli impedisce di svolgere appieno il suo ruolo naturale di classe guida ed egemone di tutto il popolo rivoluzionario e quindi di attirare a sé ed educare il grande potenziale rivoluzionario dei giovani. In questa situazione può prendere il sopravvento la componente piccolo borghese rivoluzionaria del movimento con la sua impazienza anarcoide ed individualista che si esprime nell'"ultrasinistrismo", e finisce per dare nuovamente fiato alla borghesia che può passare alla controffensiva. In questo senso si può dire che una tendenza ne copre un'altra e che il revisionismo di destra e di "sinistra" sono due facce della stessa medaglia.
L'influenza delle diverse classi produce una divisione politica all'interno della gioventù che in grandi linee possiamo rappresentare in una sinistra, un centro e una destra. Attualmente la gioventù di sinistra è a sua volta divisa e dispersa tra i vari partiti che si richiamano alla classe operaia e al socialismo, una parte di quella cattolica si trova persino nella base della DC. Estendendo questo metodo dialettico di analisi, possiamo dire che la gioventù di sinistra si articola in una destra, che potremmo indicare in quella parte oggi maggioritaria influenzata dalla FGCI, un centro più ristretto e alleato alla destra influenzato da DP, e una sinistra, ancora debole e dispersa e solo in minima parte influenzata direttamente dal PMLI e nella quale cercano di inserirsi per egemonizzarla gli "ultrasinistri".
Gli "ultrasinistri" invece di appoggiare risolutamente le rivendicazioni del movimento studentesco adoperandosi intelligentemente per far maturare la coscienza anticapitalistica acuendo le contraddizioni tra le masse studentesche e le istituzioni e il governo; invece di allearsi con la sinistra studentesca nel suo complesso per coinvolgere nella lotta l'intero movimento studentesco e spingerlo sempre più avanti nella lotta di classe e nella lotta per la trasformazione della scuola come servizio sociale goduto dal popolo e governato dagli studenti; invece di condurre in questo quadro la polemica e lo smascheramento della destra liberale, riformista e socialdemocratica per contenderle l'egemonia all'interno del movimento e per unire la gioventù di sinistra su posizioni di classe, di fronte alla complessità di questi compiti fremono, pensano di saltarli, non capiscono che queste sono attualmente le vere azioni rivoluzionarie. In questo dimostrando di non aver tratto la lezione del '77, che la rivoluzione è opera delle masse e non di un pugno di uomini, che non si può sostituirsi alle masse e convincerle con la forza e con azioni avventuriste isolate a fare ciò che non vogliono. Che non esistono scorciatoie alla rivoluzione la quale ha i suoi tempi di maturazione e preparazione ed è impossibile saltarli e tagliarli.
Le masse si conquistano alla rivoluzione e al socialismo non con gli strilli rivoluzionari e con le azioni avventate, ma interessandosi dei loro problemi, difendendole dagli attacchi dei loro nemici, vivendo la loro stessa vita, avendo rispetto dei loro sentimenti ed elevando gradualmente la loro coscienza politica.
Le masse proletarie, giovanili, femminili e popolari per esperienza diretta, per le circostanze che si determineranno e per l'azione politica dei marxisti-leninisti, arriveranno senza dubbio a comprendere la necessità di fare la rivoluzione. Ma finché non avranno preso questa coscienza, specialmente quando la situazione non è rivoluzionaria e le masse sono ancora egemonizzate dai riformisti e dai revisionisti, la dialettica degli argomenti, cioè la lotta politica - accanto a quella economica, sindacale, teorica - è più forte e fulminante della dialettica delle armi ed occupa tutto il campo d'azione delle classi antagonistiche anche se talvolta queste ricorrono all'uso della violenza per difendere i rispettivi interessi.
Forse è più facile urlare che si vuole la rivoluzione che prepararla concretamente e direttamente, forse è più facile scontrarsi col servizio d'ordine della FGCI che contendere ad essa l'egemonia e batterla nelle assemblee e con l'azione politica quotidiana, forse è più facile spaccare una vetrina o la testa di un poliziotto che ridurre in poltiglia le idee borghesi e riformiste indurite dall'esercizio secolare del potere e liberare il movimento che abolisca lo stato di cose presenti.
Non importa il tempo che ci vorrà per accumulare le forze rivoluzionarie necessarie, quello che conta è non essere impazienti, non gettarsi in avventure, non stancarsi mai nel perseguire questo obiettivo, anche se dovessimo impiegarci una vita perché senza e contro le masse non è possibile fare e vincere la rivoluzione socialista.
Oltre la FGCI e DP anche gli "ultrasinistri" creano dei gravi danni al movimento studentesco, tuttavia è sbagliato concorrere ad emarginarli da esso. Le contraddizioni con gli "ultrasinistri" comunque devono essere risolte attraverso una battaglia ideologica e politica anche dura all'interno del movimento studentesco senza l'intervento e l'ingerenza delle "forze dell'ordine", delle istituzioni scolastiche e del governo.
Mentre azioni terroristiche, come quella di via Prati dei Papi a Roma vanno stigmatizzate duramente perché sono manovrate dai golpisti per avere il pretesto di fascistizzare e militarizzare lo Stato, restringere le libertà democratiche e lo spazio per la lotta legale delle masse ed instaurare la 2ª repubblica presidenziale, autoritaria e fascista.

4. Senza un partito rivoluzionario, senza una teoria rivoluzionaria e senza l'egemonia dei rivoluzionari non si può dare respiro strategico e una continuità alla lotta di massa e non c'è rivoluzione
Il '77 ci insegna che i movimenti di massa non durano a lungo, non avanzano e non riescono a raggiungere i loro obiettivi se non sono guidati da un'avanguardia decisa, preparata e coerente. Che i giovani e gli studenti da soli e per effetto della reciproca azione degli elementi materiali e dell'ambiente naturale tutt'al più possono arrivare a combattere la scuola e l'Università borghesi, il governo, le istituzioni e l'intero sistema capitalistici ed anche il riformismo e il revisionismo ma non sono in grado di elaborare un progetto complessivo che ispiri la loro azione per le rivendicazioni immediate, dia respiro e uno sbocco strategico alla lotta di massa.
Cosicché è inevitabile che il movimento sia soggetto a sbandare ora a destra ora a "sinistra" alfine esaurire la sua spinta in una sola ondata. Non è un caso quindi, se di fronte all'esplosione della collera antigovernativa, antistituzionale e anticapitalistica dei giovani del '77, e approfittando dello sbandamento causato dalla capitolazione del PCI e del suo passaggio in campo avverso, la borghesia si è affrettata a decretare nuovamente la morte del marxismo, in ciò aiutati dagli stessi revisionisti che fatalmente si sono uniti al coro dei loro padroni. E pur di espugnare la teoria rivoluzionaria si è messa a corteggiare e foraggiare strumentalmente il trotzkismo, l'anarchismo che non hanno mai prodotto niente che non fosse il "fochismo" e il terrorismo.
La borghesia sa bene, perché ha letto attentamente i libri marxisti, che la coscienza rivoluzionaria, la coscienza della necessità del socialismo non è il risultato diretto della lotta di classe proletaria. Al pari di quest'ultima, il socialismo, come obiettivo, affonda le sue radici nei rapporti economici contemporanei, e deriva dalla lotta contro lo sfruttamento e l'oppressione delle masse generati dal capitalismo.
Ma il socialismo e la lotta di classe sorgono uno accanto all'altra e non uno dall'altra. La coscienza socialista sorge da una premessa diversa, cioè sulla base di una profonda coscienza scientifica della propria condizione di sfruttato e oppresso. Oggi però è la borghesia, sono gli intellettuali borghesi che detengono la scienza mentre il proletariato ne è escluso. Per questo anche il socialismo scientifico è nato nel cervello di Marx ed Engels, che erano degli intellettuali provenienti dalla borghesia, ed è stato da essi trasmesso ai proletari che avevano un maggior sviluppo intellettuale i quali a loro volta lo hanno introdotto nella lotta di classe del proletariato laddove ciò è stato permesso dalle condizioni concrete. E nel corso di questa introduzione e applicazione alla lotta di classe del proletariato, il socialismo scientifico si è notevolmente sviluppato pur rimanendo sempre fedele a se stesso.
Dove questa teoria rivoluzionaria è riuscita a fondersi col movimento operaio, come in Russia dal '17 al '56, come in Cina dal '49 al '78, il socialismo è divenuto un sistema economico, sociale e politico operante. Lenin, Stalin e Mao hanno portato a sintesi questa esperienza e l'insieme delle esperienze del movimento operaio del loro tempo. Cosicché per definire il marxismo arricchito da questi nuovi apporti bisogna parlare di marxismo-leninismo-pensiero di Mao, il quale costituisce la cultura del proletariato, la teoria rivoluzionaria capace di far luce su ogni aspetto dell'ordinamento economico, istituzionale, giuridico, culturale e sociale del capitalismo e di illuminare il cammino dell'umanità verso l'emancipazione.
Il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è una cultura moderna, in continuo sviluppo e all'avanguardia poiché tende a distruggere ciò che è vecchio, sorpassato e retrogrado e far suo ciò che è nuovo e progredito. La cultura borghese è invece vecchia, retrograda e superata in quanto riflette gli interessi conservatori degli sfruttatori e degli oppressori e agisce da freno a ogni tendenza emancipatrice, allo sviluppo reale e sostanziale della democrazia e della libertà.
Senza ricorrere alla teoria rivoluzionaria marxista-leninista è impossibile conoscere e rovesciare il vecchio mondo e costruirne uno nuovo. Anche se non potremmo trovarvi tutte le risposte belle e confezionate, vi troveremo però il metodo e l'indirizzo per ricercarle e definirle. In ogni caso bisogna tenere presente che il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non è solo un metodo di analisi, ma anche una filosofia, una concezione integrale del mondo, una dottrina politica. Una guida per l'azione che non pone vincoli dogmatici ma nemmeno dà licenza di considerare gli insegnamenti dei grandi maestri del proletariato internazionale come un semplice punto di riferimento tra i tanti, un'opinione autorevole ma non vincolante nella sua essenza.
Se la coscienza rivoluzionaria e socialista è un elemento importato nella lotta di classe dall'esterno e non qualcosa che sorge spontaneamente, chi e come può assolvere una tale decisiva funzione? Ecco il ruolo del Partito, la necessità del Partito marxista-leninista che diventa più stridente quando, come nel '77, più grande è la spinta spontanea delle masse. La sottovalutazione della necessità del Partito rivoluzionario, del ruolo decisivo della teoria rivoluzionaria, ha impedito ai giovani rivoluzionari del '77 di definire esattamente la propria identità politica, dare un giusto indirizzo di classe alla loro lotta e legarsi indissolubilmente alla classe operaia e alle masse popolari. Sbagliando s'impara, quello che non si è fatto ieri lo si può fare oggi.
Per quanto ci riguarda la lezione abbiamo cercato di applicarla fondando il PMLI, solo che esso è ancora troppo piccolo per poter far dilagare gli ideali del socialismo in tutta Italia e riunire intorno alla grande bandiera del socialismo tutti gli sfruttati e gli oppressi delle varie regioni del Paese. Questa è una vera e propria iattura perché attualmente, per colpa dei riformisti antichi e moderni, la lotta di classe in Italia segna il passo e solo a tratti, per spinte spontanee, com'è il caso del movimento dei ragazzi dell'85, tende ad uscire dall'ambito della democrazia borghese, quando invece le contraddizioni crescenti fra il proletariato e la borghesia, le condizioni disperate del Mezzogiorno e di una generazione di giovani che rischia di essere tagliata fuori per tutta la vita dal lavoro, e il processo strisciante dell'instaurazione di una 2ª repubblica, richiederebbero una lotta dura contro il governo del neoduce Craxi e il sistema capitalistico.
È urgente sbloccare questa situazione e creare tutte le condizioni affinché la lotta di classe assuma un carattere rivoluzionario e anticapitalista e finalmente divampi la lotta cosciente per il socialismo. Ma questo salto di qualità della lotta di classe in Italia sarà impossibile compierlo se il PMLI non sarà esteso in tutta Italia e non avrà la fiducia delle masse. E ne patiranno anche i singoli movimenti di lotta che mancando di un progetto storico e di una direzione politica complessiva saranno destinati ad infrangersi ed esaurirsi sulle secche del regime capitalistico.
La militanza politica marxista-leninista è la risposta più completa e matura alla ricerca di quel "nuovo modo di far politica" diverso e contrapposto ai partiti del palazzo che è stato lanciato proprio dai giovani del '77: non è vero che la necessaria disciplina di Partito, il centralismo democratico, la struttura organizzativa di tipo bolscevico schiacciano la personalità dei singoli militanti. Ciò che ne risulta schiacciato sono l'individualismo, l'arrivismo, l'egoismo, lo scissionismo, il burocratismo e l'autoritarismo, a vantaggio del lavoro collettivo, dell'altruismo proletario, dello spirito di servizio verso il proletariato e le masse popolari, del rispetto e dell'aiuto reciproco, dell'unità basata sulla lotta ideologica attiva e sulla continua trasformazione rivoluzionaria individuale e collettiva.
Rendendo merito ai giovani del '77 di aver posto una pietra miliare nella storia del movimento operaio e giovanile italiano, chiamiamo i giovani coscienti dell'87 a compiere la più alta scelta, a partecipare da protagonisti alla più grande e straordinaria impresa della storia del nostro Paese, ad essere i pionieri, i primi ad aprire concretamente la via dell'Ottobre in Italia.

Il Comitato centrale del PMLI

Firenze, 17 febbraio 1987