Lottiamo e formiamo un vasto fronte unito per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti
Documento dell'Ufficio politico del PMLI

L'istruzione ha una natura di classe. O è proletaria o è borghese. Essa fa gli interessi dell'una o dell'altra, a seconda della classe che è al potere e del sistema economico vigente.
Ciascuna delle due classi utilizza l'istruzione per inculcare alle nuove generazioni la propria ideologia, concezione del mondo, visione dell'econoima, dello Stato, del diritto, della storia, della morale, della scienza, della letteratura, dell'arte e così via, e al contempo per sfornare gli operai, i lavoratori, i quadri, gli scienziati, i professionisti, i tecnici che le necessitano nell'economia, nella finanza, nelle istituzioni e in tutte le altre sovrastrutture.
Se nella società schiavista e feudale, l'istruzione era riservata a una ristretta casta di rampolli della nobiltà, dell'aristocrazia e del clero, e veniva impartita da precettori in forma privata, a domicilio o in convento, per lo più in forma poco specialistica e dogmatica, è solo con il lungo processo di ascesa della borghesia al potere, parallelo allo sviluppo del sistema capitalistico, fondato sul conflitto tra lavoro salariato e capitale, che nasceva l'esigenza di scuole ed università radicate sul territorio, e in buona parte sganciate dal controllo ecclesiastico. La borghesia, più di qualsiasi altra classe che l'abbia preceduta, aveva bisogno di larghe schiere non solo di notabili e giuristi per far funzionare gli organi della giustizia e della burocrazia statale ma anche di scienziati, di quadri, tecnici, ingegneri, medici ben preparati, specialisti, per sviluppare e migliorare la produzione capitalistica su larga scala nelle fabbriche e nei campi, ancorché nei vari sottosettori dell'industria e dell'agricoltura, più avanti anche nel terziario e nei servizi. Essa più di ogni altra classe aveva bisogno di stringere alleanze con le altre classi oppresse per scalzare dal potere la vecchia classe dominante, rivendicando istituzioni pubbliche per l'istruzione aperte alla popolazione.
Una volta che tutto il potere degli Stati nazionali passò saldamente nelle mani dell'infima minoranza della borghesia monopolistica, quando dinanzi ad essa si alzò minaccioso il proletariato in lotta per l'abbattimento dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, delle disuguaglianze sociali, della divisione in classi e del lavoro sfruttato, la realizzazione pratica dei principi, sanciti dalle varie carte costituzionali, come il diritto al lavoro, il diritto all'assistenza sanitaria, il diritto all'istruzione, la libertà di parola, di associazione e di stampa si sciolsero come neve al sole. Questo perché la borghesia comprende ben presto che le università sono centri ideologici, politici ed organizzativi di primaria importanza per plasmare la società a sua immagine e somiglianza ed ai governi borghesi è affidato il compito di fare di tutto per controllare che rimangano delle istituzioni di classe, reazionarie, nei metodi, nei contenuti, nelle finalità e negli ordinamenti, funzionali esclusivamente a perpetuare la sua concezione del mondo e modo di produzione, già mai a favorire le esigenze e i bisogni dei figli del popolo, men che mai dei figli degli schiavi salariati che sono in larghissima parte esclusi dai gradini più alti dell'istruzione.
Poiché in Italia vige attualmente il capitalismo e al potere vi è la classe borghese, l'istruzione è marcatamente di classe nei contenuti, nelle forme e nei metodi. Non è quindi possibile cambiarne la natura. Tuttavia possiamo condizionarla e ottenere delle conquiste sui piani democratico borghese e sociale, come dimostra tutta la storia della lotta di classe, in primo luogo quella studentesca del '68 e del '77, dal dopoguerra a oggi. In questa occasione ci occupiamo dell'Università.

IL TERREMOTO DEL '68 NELL'UNIVERSITA' E LA RESTAURAZIONE REAZIONARIA
La Grande Rivolta del '68 spazzò via alcuni dei cardini del sistema d'istruzione ideato da Gentile e Bottai durante il ventennio fascista e con essi la "riforma" dell'allora ministro Gui (DC) che prevedeva l'istituzione di tre livelli di titoli universitari, il numero chiuso alle iscrizioni e alla frequenza, la limitazione nell'accesso agli atenei per chi proveniva dalle scuole tecniche e professionali, e conquistò il diritto per tutti al libero accesso alle università.
Nel corso dei quasi 40 anni che ci separano dall'inizio di quella straordinaria stagione di lotte studentesche e operaie, il nemico principale del proletariato italiano, ossia la borghesia monopolistica, appoggiata dalle gerarchie vaticane, ha perseguito tenacemente l'obiettivo di restaurare, anche sul piano formale, la situazione antecedente, di tagliare cioè una consistente quota di figli degli operai e del popolo dai gradini più alti dell'istruzione.
Il primo obiettivo della classe dominante borghese consisteva nel soffocare quella rivolta dal forte contenuto antifascista, anticapitalista, antimperialista ed antirevisionista, che si ispirava alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria elaborata e guidata da Mao nella Cina socialista e che si andava organizzando stabilmente grazie ai principi della democrazia diretta, messi in pratica nelle assemblee generali delle studentesse e degli studenti.
Furono utilizzate tutte le armi: nella prima metà degli anni '70 soprattutto la repressione poliziesca e le leggi fasciste del codice Rocco, le stragi più efferate, i piani e le minacce golpiste, nella seconda metà dello stesso decennio vennero manovrati in grande stile il terrorismo nero e quello sedicente rosso con l'ausilio della nuova dirigenza del PSI e del MSI, mentre a quella revisionista del PCI venne affidato il compito di difendere le istituzioni nelle scuole e nelle università, un lavoro sporco, che i vari D'Alema, Veltroni e Berlinguer svolsero lodevolmente, spargendo a piene mani illusioni elettoralistiche e riformistiche circa i cosiddetti nuovi "organi collegiali" istituiti nel 1974. Tanti studenti d'avanguardia che non abboccarono all'amo dei revisionisti di destra finirono però nella rete delle elucubrazioni teoriche e delle pratiche avventuriste ed "ultrasinistre" dei vari Negri, Piperno, Pace, Sofri, Scalzone.
Passata la grande paura di quell'eroico assalto al cielo, con l'ultima fiammata costituita dal movimento del '77, la strategia dei restauratori del fascismo si concentrò maggiormente su di un articolato piano di infiltrazione e occupazione di tutte le leve del potere borghese soprattutto in campo economico, militare, governativo, parlamentare e partitico, ma anche in campo giornalistico, televisivo e accademico allo scopo di realizzare in ogni campo quelle controriforme, che gradualmente, avrebbero demolito la prima Repubblica democratico-borghese e parlamentare, e realizzato la seconda neofascista, presidenzialista e federalista.
Nel "piano di rinascita democratica" della P2 di Licio Gelli infatti al primo punto tra i provvedimenti strategici di carattere "economico-sociale" figura "l'abolizione della validità legale dei titoli di studio per sfollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola basata sulla selezione meritocratica e dell'università sul modello delle accademie di eccellenza francesi".
Il testimone della "Grande Riforma" venne affidato per tutti gli anni '80 principalmente nelle mani del neoduce Craxi il quale, per rendere competitiva l'Italia nel mondo, e ispirandosi alla religione del "mercato" di Reagan e della Thatcher, porta avanti una politica di privatizzazioni e di micidiali stangate finanziarie per affossare il cosiddetto "Stato sociale" e si adopera per trasformare le università in caserme restringendo gli spazi di democrazia, e i diritti di assemblea e di sciopero. Gli studenti di allora ricordano le battaglie contro i ministri della pubblica istruzione Falcucci e Iervolino.
Un nuovo impulso e un'accelerazione nella realizzazione del piano piduista coincide con i primi effetti, anche nel nostro Paese, della "terza rivoluzione industriale" e sul piano internazionale con il crollo del socialimperialismo sovietico e l'emergere della superpotenza imperialista europea quale diretto concorrente a livello mondiale degli Usa e del Giappone: la scuola, l'università e la ricerca diventano, per le classi dominanti borghesi dei paesi della Ue, degli strumenti indispensabili, da un lato per plasmare una forza-lavoro indottrinata a dovere per "produrre di più, meglio ed a costi minori", dall'altro per formare i quadri e i tecnici adatti a sostenere le sfide della selvaggia competitività tra monopoli della "globalizzazione" imperialista nei settori considerati strategici.
Nei primi anni '90 sono i governi Amato, Ciampi e Prodi, nonché lo stesso I governo Berlusconi, a far pagare alle masse popolari il debito pubblico accumulato dai ladroni della prima Repubblica, per rientrare nei parametri di Maastricht e "fare entrare il paese nella Ue", nonché ad assecondare quella parte della classe dominante borghese che, oltre alla forma di governo, vuole cambiare anche la forma stessa dello Stato, da unitario a federale, per permettere alle borghesie imprenditoriali delle regioni più ricche di "competere" senza la "zavorra" di quelle più povere ed arretrate.
Mentre tutte le forze politiche vanno sposando, e poi realizzando, le tesi dei fascio-leghisti, non si contano le direttive e i richiami della Ue agli Stati membri affinché liberalizzino il proprio sistema statale di istruzione e ricerca. L'ultima in ordine di tempo arriva quando già il popolo italiano è sotto il tallone del governo, ultraliberista e affamatore del neoduce Berlusconi e prende il nome dei cofirmatari "Bolkestein-Prodi": prevede la demolizione dello "Stato sociale" e dei diritti dei lavoratori, la liberalizzazione completa dei servizi, compresi quelli di tipo sociale, assistenziale ed educativo.

I PRIMI TASSELLI DELLA CONTRORIFORMA UNIVERSITARIA
Il primo tassello della controriforma universitaria viene realizzato nel 1989 dal ministro del governo Craxi-Andreotti-Forlani, Antonio Ruberti (PSI).
Si tratta dell'aziendalizzazione, con il Consiglio di amministrazione di Ateneo composto fino al 50% da non appartenenti al personale universitario e una prima netta differenza nel valore dei titoli di studio universitari, soprattutto tra la "laurea breve'' (diploma universitario), il "dottorato di ricerca'' e la normale laurea, senza contare gli elitari progetti di studio tipo "Erasmus'' e "Comett'', riservati a un pugno di privilegiati che serviranno dal punto di vista economico, politico, ideologico e istituzionale la superpotenza europea.
Ma il vero grimaldello per scardinare l'assetto degli studi e avviare la privatizzazione dell'università è rappresentato dalla cosiddetta "autonomia", ossia dalla completa libertà degli atenei in campo finanziario, didattico, gestionale, patrimoniale, tecnico e amministrativo.
Autonomia finanziaria significa che gli studenti devono versare "tasse di iscrizione e contributi per biblioteche ed altre strutture scientifiche" nelle casse dei propri atenei e che questi ultimi devono aprire le porte ai finanziamenti dei privati.
Nel rapporto sull'università presentato nel settembre 2006 dall'allora presidente della Crui (Conferenza dei Rettori), Piero Tosi nel capitolo dal titolo "l'università che sa autofinanziarsi" fa il bilancio dell'attuazione dell'autonomia finanziaria e ci tiene a rimarcare con orgoglio che "il contributo dello Stato e degli Enti locali all'università è una percentuale delle entrate inferiori al 65% in ben trenta università... Il resto sono contribuzioni private, mentre quella studentesca ha superato il 10% nella maggioranza dei casi".
Autonomia didattica significa invece che ogni università può disciplinare liberamente l'ordinamento dei propri corsi di studio (titoli rilasciati, piani di studio, organizzazione degli esami, tutorato, ecc).
Autonomia gestionale, patrimoniale tecnica e amministrativa infine significa che gli atenei possono, con decreto rettoriale, emanare propri statuti e regolamenti, che l'amministrazione delle finanze e della contabilità può essere organizzata in deroga all'ordinamento statale, che possono essere accesi mutui e convenzioni con banche e privati, che può essere alienato il patrimonio immobiliare, che possono essere esternalizzati i servizi, che persino gli adeguamenti degli stipendi di docenti e personale tecnico-amministrativo sono lasciati a carico dei bilanci degli atenei.
L'autonomia quasi nelle stesse forme descritte sopra investe i centri di ricerca pubblici, le scuole e la sanità. È la deregulation, alimentata prima dalle leggi Bassanini (DS) sul decentramento amministrativo e poi dalla modifica del titolo V della Costituzione.
Una recente dichiarazione di Tosi dà il quadro delle dimensioni e della gravità della controriforma universitaria: "il primo punto del Patto per il rilancio dell'Università delle autonomie - dice il barone del nuovo millennio - firmato da me e dal Ministro Moratti il 22 giugno 2004 recita: il sistema universitario è un servizio pubblico... che sviluppa forme di integrazione, secondo il principio di sussidiarietà, con le autonome iniziative di imprese e privati".

L'APPORTO DEL "CENTRO-SINISTRA" ALLA CONTRORIFORMA UNIVERSITARIA
Gli anni '90 passano come un carroarmato sulle conquiste democratiche e progressiste ottenute dagli studenti con le grandi stagioni di lotta degli anni Sessanta e Settanta che cancellarono l'università selettiva e meritocratica e favorirono l'accesso all'università ai figli delle masse proletarie e popolari.
I dirigenti falsi comunisti e revisionisti del PCI, che avevano già sposato le tesi della DC e del PSI secondo cui è necessario sfoltire il numero di universitari per rendere il sistema di selezione "autenticamente meritocratico" e trasformare il "diritto allo studio" in un privilegio riservato solo a quei pochi giovani di estrazione popolare "capaci e meritevoli", passano armi e bagagli nel campo del neoliberismo. Una volta raggiunta la "stanza dei bottoni", ne acquisiscono in fretta la caratteristica più tipica: trasformare in "impresa e prodotto" e in "mercato e concorrenza" tutto ciò che toccano.
Durante i governi di "centro-sinistra" vengono varate norme sulla parità universitaria, le università private sono autorizzate a rilasciare titoli di studio di valore legale e possono accedere liberamente ai finanziamenti statali. Cosicché oggi si contano ben 13 università private e 3 scuole di eccellenza quasi tutte collocate nel Centro-Nord. Violando l'art. 97 della Costituzione secondo cui "agli impieghi pubblici si accede tramite concorso" vengono privatizzati i rapporti di lavoro nel pubblico impiego (Bassanini), che adesso sono regolati contrattualmente secondo le leggi d'impresa (diritto privato), tutti i dipendenti delle università sono obbligati ai "doveri di produttività aziendale".
Tra il 1997 e il 1999 sotto l'impulso dei ministri baroni Luigi Berlinguer (DS) prima e Ortensio Zecchino (ex PPI) poi, anche dal punto di vista didattico, gli atenei del nostro Paese conoscono un profondo sconvolgimento che, spacciato per "rinnovamento'', in realtà costituisce un adeguamento dell'università alle nuove esigenze del capitalismo e dell'imperialismo italiano ed europeo. Un nero disegno completato, sul finire dell'anno Duemila, dall'approvazione della cosiddetta riforma del "3+2'' dei corsi di laurea, di fatto un'autentica restaurazione dell'università d'élite imperante prima della Grande Rivolta del Sessantotto.

Il tre più due
Il 4 agosto del 2000, ancora ad atenei chiusi per le ferie estive, il ministro Zecchino del governo dell'ex-craxiano Giuliano Amato firma il decreto attuativo del regolamento sull'autonomia didattica che istituisce 42 nuove classi di laurea, 104 classi di laurea specialistica e 140 settori scientifico-disciplinari e soprattutto il doppio livello, il cosiddetto 3+2.
3 perché dopo tre anni, con 180 crediti, si ottiene la laurea di base (o laurea breve); 2 perché dopo altri due anni di specializzazione, con 300 crediti, si ottiene la laurea specialistica. Il terzo livello è costituito da ulteriori due anni di alta specializzazione, i master, anche detti superlauree, rigorosamente a numero chiuso e a pagamento, e i dottorati di ricerca per accedere ai quali è necessaria la laurea specialistica.
Viene restaurato l'obbligo di frequenza dal momento che gli studenti devono dimostrare di avere seguito lezioni per un monte minimo di 1.800 ore annue e la "conoscenza" viene quantificata in "crediti e debiti formativi", un linguaggio mutuato dagli usurai del capitale finanziario, che serve in prospettiva da certificazione del lavoro di intermediazione di manodopera svolto dall'istituzione per conto delle imprese. Per passare dalla laurea breve a quella specialistica è necessario addentrarsi nella giungla dei debiti formativi da colmare (anche stage), stabiliti arbitrariamente dai consigli di facoltà.
Si prevede che la "riforma" debba andare a regime entro 18 mesi ossia dall'anno accademico 2001-2002 nonostante non siano previsti stanziamenti straordinari da parte dello Stato: è una prassi consolidata di tutti i governi controriformatori della seconda repubblica per aumentare sempre più le differenze tra le università, nonché il potere dei baroni chiamati a gestire la nuova situazione a partire da quei test di accesso "rigidi e selettivi" che sono previsti sia per chi ha ottenuto il diploma di scuola superiore (nonostante la restaurazione del forcaiolo esame di Stato), sia per chi dopo avere ottenuto la laurea breve vorrà cimentarsi con i due anni successivi.
Nelle intenzioni del governo lo scopo di questa "riforma", materialmente scritta dal sottosegretario Luciano Guerzoni (DS) e che affonda le sue radici nel progetto dell'ex-ministro diessino Luigi Berlinguer e nella tristemente famosa "Bozza Martinotti" è: 1) tagliare e selezionare le iscrizioni ancor prima che avvengano, tramite il cosiddetto "orientamento" da svolgersi nell'ultimo anno della scuola superiore; 2) creare un doppio sbarramento per diminuire l'accesso in entrata e selezionare in base al "merito" gli studenti; 3) mettere in condizioni le aziende di scegliere personale giovanissimo e debitamente ammaestrato per metterlo nella produzione secondo criteri di massima disponibilità e flessibilità (laurea breve); 4) mettere in condizione le aziende e gli ordini professionali di pescare nel bacino di chi frequenterà i corsi di specializzazione, di dottorato e i master per le qualifiche superiori.
Queste oggettive discriminazioni al libero accesso all'università si saldano a quelle del cosiddetto "riordino dei cicli scolastici", che cancella la scuola media unitaria, ideato dallo stesso ministro Berlinguer, di recente imposto dal ministro clerico-fascista Moratti e sostanzialmente confermato dall'attuale governo Prodi.

Il numero chiuso
In base al principio dell'autonomia didattica, già nei primi anni '90 alcuni corsi universitari prevedono un numero limitato di posti (numero programmato). Tuttavia in mancanza di una disciplina nazionale queste prove si svolgevano nella totale illegalità. Ci penserà il governo D'Alema a porvi rimedio con un'altra legge "balneare" (2 agosto 1999) che prevede che siano a numero programmato e definito a livello nazionale "i corsi di laurea in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, in architettura, in scienza della formazione primaria; i corsi universitari di nuova istituzione o attivazione per un numero di anni corrispondente alla durata legale del corso; i corsi o le scuole di specializzazione individuate da specifici decreti; i corsi che non rispettano gli standard dei requisiti minimi, le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario; i corsi di formazione specialistica dei medici; le scuole di specializzazione per le professioni legali"; ancora, "tutti quei corsi di laurea per i quali l'ordinamento didattico preveda l'utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti-studio personalizzati"; e infine "i corsi di diploma universitario afferenti alle facoltà mediche o per i quali l'ordinamento didattico prevede l'obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, da svolgere presso strutture diverse dall'ateneo".
Gli effetti sono devastanti: decine di migliaia di studenti vengono sbattuti fuori dalle facoltà, altri vengono "ammessi sub-judice", se hanno conseguito una votazione inferiore a una quota minima prefissata, con l'obbligo di colmare il debito nel primo anno di corso. In breve tempo, a partire dal 2001, le gabbie dei "requisiti minimi" si vanno sempre più stringendo come un cappio intorno al collo. Nelle università pubbliche, soprattutto in quelle più povere e che non possono accedere a finanziamenti privati, prevalentemente del Sud e delle aree sottosviluppate, è un vero e proprio boom dei corsi a numero chiuso. In soli 5 anni i corsi di laurea a numero programmato (triennale, specialistica e corsi unici del vecchio ordinamento) sono cresciuti del 330%, passando dai 242 del 2001 ai 1.060 del 2005 di cui ben 578 riguardanti corsi di primo livello (+ 64% rispetto al 2004 quando erano 352). Una cifra già scandalosa che è cresciuta ancora in modo esponenziale all'apertura dell'anno accademico 2006-2007, quando su un totale di 5.324 corsi di laurea censiti, ben 1.740 (ossia il 32,6%, un terzo del totale) risultano essere ad accesso programmato, con oltre mille sbarramenti solo per accedere ai corsi di laurea triennnali. Ciò significa che se nel 2005 in più di 60 dei 77 atenei italiani c'era almeno un corso a numero programmato, questa cifra è salita a 68 nell'anno in corso.
Un solo dato basta a spiegare cosa significa il numero chiuso: il numero degli studenti che possono accedere ai corsi di laurea per tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro è attualmente in tutta Italia di 513, di cui appena 20 alla Federico II di Napoli e 15 all'Università di Palermo!
Oltre al costo del materiale didattico per superare le prove, che ha dato vita ad un fiorente mercato editoriale e di lezioni private, alle tasse ed alla girandola di marche da bollo, un'altra grave limitazione all'istruzione universitaria consiste nel fatto che le prove nazionali e quelle locali si svolgono pressocché negli stessi giorni, di modo che è molto difficile partecipare a più di un "concorso". In pratica se si viene esclusi dal concorso prescelto si è obbligati in fretta e furia a riparare su corsi ad accesso libero. Ma anche qui nepotismo e meritocrazia la fanno da padroni poiché dove non sono previsti quiz di ammissione le facoltà si sono sbizzarrite nell'inventare le più varie "prove di orientamento", "prove facoltative", ecc., che servirebbero a stabilire chi ha debiti formativi da colmare nel primo anno di studio (un bel trucchetto finanziario, della serie prima paghi le tasse e poi vediamo se puoi restare).
Ancora più difficile è la situazione per gli studenti che non fanno parte della Ue, con le scandalose "quote" previste dalla leggi xenofobe e razziste Turco-Napolitano e Bossi-Fini che li costringono a farraginose pratiche burocratiche presso le istituzioni consolari.
Per chi, tra mille difficoltà, è riuscito ad entrare nell'università la corsa ad ostacoli continua, con il cosiddetto "sbarramento amministrativo" che non consente l'iscrizione ad anni successivi di corso allo studente che non ha superato gli esami e/o conseguito i crediti relativi agli insegnamenti previsti, di volta in volta, dalle regole dello sbarramento di ciascuna struttura didattica. Senza parlare poi dello storico sadismo di certi baroni, un esempio per tutti quanto avvenuto lo scorso anno alla facoltà di economia di Bari, dove nell'ultimo appello del 14 giugno dell'esame di matematica solo 13 studenti su 291 hanno avuto il "privilegio" di vedersi attribuire la sufficienza.
Un capitolo a parte merita poi l'accesso alle lauree specialistiche che nel progetto di "riforma" si presenta come un vero e proprio numero chiuso, anche per la seconda parte del percorso del 3+2. In molte facoltà infatti esistono quiz di ammissione, in altri complicate procedure di recupero dei crediti e degli esami. A Scienze politiche dell'Iuo di Napoli è accaduto che molti studenti si sono iscritti a nuovi corsi di laurea triennali attivati dalla facoltà, e solo alla vigilia della laurea venivano informati che quell'indirizzo era stato soppresso, e che non potevano proseguire per la laurea specialistica, per la mancata attivazione dei corsi corrispondenti.
I dati Istat segnalano una percentuale pari al 52% degli studenti che lavorano part-time o full-time mentre sono iscritti all'università, ma le lauree specialistiche prevedono una frequenza obbligatoria a corsi, laboratori e stage formativi (spesso a pagamento!), cosicché la selezione tende a tagliare fuori quegli studenti che per condizione sociale non ce la fanno a sostenere i ritmi forsennati dei corsi di studio.
E pensare che a fronte di una selezione di classe così spietata per chi è di estrazione proletaria e popolare, c'è chi può saltare a pie' pari il titolo universitario, sfruttando il canale dei cosiddetti "crediti extra", un vero e proprio esamificio e laurificio parallelo, frutto della "santa alleanza" tra Atenei e ordini professionali, lobby e dirigenza del personale dei ministeri.

LA CONTRORIFORMA MORATTI DEL GOVERNO BERLUSCONI
A completare l'opera di demolizione dell'università pubblica e di costruzione, sulle sue ceneri, dell'università d'élite, ossia privatizzata, aziendalizzata e gerarchizzata in funzione classista, meritocratica e neofascista ci pensa il II governo del neoduce Berlusconi. Il suo ministro modello, la clerico-confidustrial-neofascista Letizia Moratti, sulla scia dei suoi predecessori, promuove nel 2004 un'ulteriore modifica degli ordinamenti didattici inventando il percorso ad y (1+2+2) che ridefinisce e spezzetta ulteriormente la formazione universitaria prevedendo, non più tre, ma un solo anno di istruzione comune a tutti, il primo.

Un doppio binario, come nella scuola
La "riforma", scritta materialmente dal Rettore dell'università privata Luiss, persegue lo stesso disegno neofascista e i medesimi obiettivi di classe della "riforma" scolastica, perché divide precocemente, nettamente e in pratica irreversibilmente, i corsi immediatamente "professionalizzanti" per gli studenti più poveri destinati a fare da manodopera a basso costo per i padroni, da quelli più "qualificati" per gli studenti che aspirano a diventare professionisti, quadri, ecc.
È il primo anno infatti quello che, nelle intenzioni del governo, deve "fare filtro" tra gli studenti, selezionandoli in base alla classe sociale di appartenenza. Dopo il primo anno i percorsi si biforcano in un indirizzo d'élite, riservato ai "capaci e meritevoli", che porta alla cosiddetta "laurea magistralis" di secondo livello (1+2+2) e dopo altri tre anni alla laurea doctoralis (1+2+2+3) e in un percorso di serie B, la cosiddetta laurea professionalizzante (1+2), dove incanalare forzatamente e precocemente quel 90% degli iscritti che attualmente non riesce a completare in tempo i crediti necessari al passaggio agli anni successivi. I due binari sono rigidamente separati poiché i crediti necessari per la laurea di serie B non equivalgono a quelli dell'omologo segmento 3+2 per la laurea magistralis. Gli Atenei entro diciotto mesi devono adeguare gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio alle disposizioni del nuovo regolamento e dei relativi decreti applicativi, il tutto ancora una volta a costo zero per lo Stato. E ancora una volta si sovrappone un ordinamento didattico ad un altro ancora in vigore, giocando al caos e allo sfascio sulla pelle degli studenti e dei lavoratori dell'università.
Alla solita autonomia finanziaria, organizzativa e didattica degli atenei è lasciato il compito di stabilire le modalità con le quali introdurre il "numero chiuso" e gli sbarramenti per ogni segmento del nuovo sistema formativo. Nel gennaio del 2002 una circolare sui requisiti minimi, il famoso "bollino blu", prescrive tassativamente che "tutti quei corsi con strutture e docenti insufficienti rispetto al numero degli iscritti", ossia la stragrande maggioranza, "devono essere smembrati o introdurre il numero programmato, pena la fine dei finanziamenti statali".
Se la "riforma" Zecchino prevedeva che il tempo impiegato in attività formative quali stage e tirocini formativi presso imprese, enti pubblici e privati non superi il 50% delle 25 ore necessarie per acquisire ogni credito, lo zelo morattiano cancella anche questo vincolo affinché non vi sia limite al lavoro gratuito degli studenti, riducendo drasticamente anche la quota dei piani di studio lasciati alla libera scelta dello studente.
Con il terribile mix di privatizzazione, deregulation, biforcazioni e devolution federalista (spezzettamento dell'Italia in 20 staterelli) l'istruzione superiore diviene un mercato nel quale sarà perfettamente "lecito" per i singoli investitori selezionare le iscrizioni anche in base alla residenza degli studenti, così come rischia di accadere per i malati a causa della disgregazione del Servizio sanitario nazionale.
Le conseguenze sono che le lauree di un ateneo "prestigioso" non verranno più considerate pari ad un'identica laurea conseguita in un ateneo di serie B o del Sud, proprio come nel progetto piduista di abolizione del valore legale dei titoli, si accentua la differenza tra gli atenei, le facoltà, i percorsi di studio e di conseguenza tra i titoli rilasciati: di serie A, B, C, D e Z a seconda della tipologia universitaria, della regione e della città in cui sono conseguiti.

Status giuridico, reclutamento dei docenti e cattedre d'azienda
Non è tutto, manca ancora un ultimo tassello, la controriforma della docenza.
Grazie all'imbelle e connivente opposizione di latta del "centro-sinistra", il governo Berlusconi conduce in porto anche questo obiettivo: imponendo definitivamente il 25 ottobre 2005 nell'aula del Senato il maxiemendamento, di un solo articolo, per "il riordino dello status giuridico dei docenti" per addomesticare e sottomettere i ricercatori e i docenti universitari, selezionarli in base alla meritocrazia del regime neofascista ed eliminare quelli non funzionali alle sue esigenze "formative", o meglio sarebbe dire mercantili e competitive.
È l'ultima delle mostruosità giuridiche del ministro Moratti: l'istituzione per decreto dell'"idoneità nazionale" con la quale al governo si garantisce mano libera nel decidere quanti meritano lo "status giuridico di docente", a seconda delle risorse finanziarie disponibili in sede locale. Questo "status" non sarà acquisito una volta e per tutte, ma precario, perché rivisto ogni 6 anni.
Sul piano del reclutamento effettivo in ruolo spetterà alla giungla dei Regolamenti di Ateneo stabilire le procedure di chiamata (o di non chiamata), poiché "le regole selettive per i giudizi comparativi degli idonei rientrano nella sfera di autonomia delle singole università". Al pari di quanto è previsto per il reclutamento nelle scuole-aziende, scompaiono quindi i concorsi e le procedure di assunzione uniformi su base nazionale. Si assumerà per "chiamata diretta" con contratto individuale, regalando con ciò agli atenei autonomi il potere di selezionare e tenere sotto costante e stretto ricatto il proprio corpo docente, perennemente sotto la doppia spada di Damocle dei "giudizi idoneativi" nazionali e delle supercorrotte "commissioni di facoltà".
In sostanza, reclutamento e progressioni di carriera, passano dalle mani del baronato corrotto, corporativo ed azzeccagarbugli, com'era avvenuto fin qui, a quelle dei rettori, dei presidi manager e di una cricca di ordinari-manager sempre più privilegiati e sempre più fantocci del governo, della Confindustria, del Vaticano e delle borghesie locali: la docenza ideale del regime, il cordone ombelicale dei padroni.
Non solo i "nuovi" baroni continueranno a svolgere il "doppio lavoro" scaricando sui loro sottoposti il lavoro di didattica e di ricerca e riservando a sé la gestione di budget, contratti precari di lavoro, clientele e prebende varie nello stile mafioso e nepotistico radicatosi nella prima Repubblica, particolarmente scandaloso nei policlinici universitari dove il numero chiuso ha rafforzato la casta nepotistica degli speculatori in camice bianco, ma avranno altre lucrose possibilità. Mediante apposite convenzioni pluriennali, infatti, le università possono riservare posti a professori ordinari e a non meglio precisati "soggetti in possesso di elevata qualificazione scientifica e professionale" a carico totale o parziale di imprese, fondazioni ed altri soggetti privati, i quali possono anche attivare programmi di ricerca e posti di "professore straordinario" della durata massima di tre anni, rinnovabili. Si tratta delle odiose "cattedre d'azienda" che si sposano a meraviglia con la recente proposta di "riforma della governance" presentata dall'attuale ministro Fabio Mussi (DS) e dell'Ulivo per cambiare la composizione dei consigli di amministrazione e dei senati accademici azzerando il numero dei membri eleggibili ed aumentando i rappresentanti delle "componenti esterne".
Un accentramento aziendalista e autoritario del governo delle università e degli enti pubblici di ricerca che ha il suo corrispettivo a livello nazionale con la liquidazione del CUN (Consiglio universitario nazionale) che perderà potere concreto quale "Organo nazionale di rappresentanza e di autogoverno dei docenti", a favore della Crui, composta dai rettori degli atenei pubblici e privati parificati.

Cancellata la figura del ricercatore, un esercito di precari
Il ricercatore universitario non solo non viene riconosciuto nella terza fascia della docenza, non solo non viene equiparato in un ruolo unico a quella di associati e ordinari, ma scompare definitivamente a partire dal 2013. Il termine tecnico ideato dal governo Berlusconi per dargli il ben servito è "ruolo ad esaurimento". In attesa di quella fatidica data nell'arena c'è il classico piatto di lenticchie: "ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati possono essere affidati corsi e moduli curriculari, tutorato e didattica integrativa", e ad essi, bontà loro, "è attribuito il titolo di professore aggregato", ma solo "per il periodo di durata degli stessi moduli".
Per i futuri dottorandi, dottorati, specializzandi, ossia già oggi la forza-lavoro più sfruttata, precaria e ricattabile delle università, ci sono le delizie delle leggi Treu e Biagi, ossia "contratti di diritto privato a tempo determinato (lavoro parasubordinato), della durata massima di tre anni e rinnovabili una sola volta, con trattamento economico nei limiti delle compatibilità di bilancio". Chi ha stipulato questo tipo di contratto, non potrà cumularli con gli assegni di ricerca, non avrà copertura previdenziale, non sarà garantito dallo Statuto dei lavoratori, non potrà accedere alla rappresentanza negli organi accademici e collegiali di governo dell'università.
La precarizzazione del ruolo e della funzione di dottorandi e ricercatori, già ampiamente sperimentata negli anni '80 e '90 dai governi democristiani e craxiani e da quelli del "centro-sinistra" con la costituzione di un esercito di precari senza eguali in Europa per quantità (oltre 50.000) e per durata media per l'inserimento in ruolo (10-15 anni), con le norme della Moratti si estende in parte agli stessi ordinari e associati che avranno contratti a termine di durata quinquennale rinnovabili una sola volta prima della eventuale assunzione in pianta stabile: della serie, il capitale, quando comincia a fare sul serio, non guarda in faccia a nessuno!
D'altra parte un massimo del 10% di posti di ordinario e associato potrà essere assegnato dalle università "per chiamata diretta di studiosi stranieri o italiani impegnati all'estero o di chiara fama", con nulla osta di stretta competenza ministeriale, e a cui "è garantito il livello retributivo più alto spettante ai professori ordinari". Forte è a tal proposito il sospetto che, con la scusa di far fronte alla "fuga dei cervelli", non si voglia imporre al vertice dei dipartimenti universitari più strategici un nucleo di fedeli lacché del governo, delle multinazionali, delle borghesie locali o del Vaticano.
Come più volte denunciato dalla Rnrp (Rete nazionale ricercatori precari) e dall'Andu (Associazione nazionale docenti universitari) a dettare le politiche dei governi e la legislazione parlamentare è una "potente lobby accademica trasversale" ai due poli del regime neofascista, sullo stile dell'associazione lobbistica Trelll, già presieduta da Umberto Agnelli e che ha tra i suoi iscritti i principali ispiratori, sostenitori ed artefici delle controriforme universitarie quali Luigi Abete, Adriano De Maio, Tullio De Mauro, Ezio Mauro, Luciano Modica, Andrea Ranieri, Marcello Sorgi, Piero Tosi, Domenico Fisichella, Franco Frattini, Umberto Veronesi, Giuliano Ferrara.

La giungla dei corsi on-line
Dal 16 aprile del 2003 è operativo anche il decreto Stanca concernente "i criteri e le procedure di accreditamento dei corsi di studio a distanza. Le imprese interessate alla didattica on-line vengono legittimate ad entrare, tramite il ricatto dei finanziamenti economici e delle sponsorizzazioni sui progetti didattici, nelle università, a conquistare alla loro causa i docenti. Qualsiasi "consorzio privato'', qualsiasi "scuola di management aziendale'', qualsiasi colosso industriale, qualsiasi banca commerciale può essere accreditata per i corsi di didattica on-line, può stipulare contratti flessibili per reclutare docenti universitari e può rilasciare titoli universitari. Il che significa che i monopoli capitalisti hanno mano libera nel gestire e selezionare gli accessi ai corsi attivati, i crediti formativi, nonché i costi di programmi e servizi, i contenuti didattici dei corsi e non per ultimo la possibilità di sommergere studenti e docenti di sponsorizzazioni e vendite pubblicitarie. In questo quadro un altro passaggio di estrema gravità è l'obbligo che ha lo studente di stipulare un contratto di diritto privato con l'ente organizzatore del corso on-line. Come più volte ha denunciato "Il Bolscevico", organizzata su questi presupposti, la "didattica on-line'' favorisce la polverizzazione della formazione in una miriade di università e corsi virtuali privati o pubblico-privati al servizio delle esigenze di massimo profitto e di competizione delle imprese e delle multinazionali.
Se prendiamo l'esperienza pilota del consorzio Nettuno, che ha aperto la strada a 12 università on-line private, ci rendiamo conto che i colossi industriali, editoriali, bancari, ecc., come Eni, Confindustria, Telecom, Banca Intesa, Mondadori, le Camere di commercio emiliane, il ministero della Difesa e le imprese belliche ad esso legate, hanno investito i loro capitali nella formazione telematica universitaria non certo per fare beneficenza ma unicamente per formarsi, per mezzo di una rete selezionata ed asservita di docenti universitari, una propria manodopera nonché per pubblicizzare e vendere i propri prodotti tecnologici e farli penetrare nei mercati esteri. Un discorso di egemonia economico-culturale che riguarda in particolare l'avvio dei corsi e delle facoltà telematiche nel campus biomedico di Roma, una università privata supertecnologica e supersovvenzionata, fondata e gestite dai franchisti dell'Opus Dei, con tanto di qualificati docenti sottratti alle università pubblica.

LE FINANZIARIE DEI GOVERNI BERLUSCONI E PRODI
Con le micidiali stangate finanziarie degli ultimi decenni l'obiettivo piduista e neofascista di scardinare dalle fondamenta l'istruzione pubblica del nostro Paese, affossare e/o rendere appetibile sul mercato i "servizi pubblici di istruzione e ricerca", sembra raggiunto. Le università che non riusciranno a procacciarsi fondi dai privati e buona parte di quelle situate al Sud sono destinate al collasso, se non vogliono chiudere dovranno aumentare ancora le tasse, esternalizzare altri servizi, svendere ai privati altro patrimonio pubblico, mobile ed immobile.
Seguendo le "direttive d'ordine" della Ue e delle lobby nostrane sia il governo Berlusconi sia il governo Prodi hanno promosso: il blocco delle assunzioni e del turn over, il taglio drastico dei fondi di sostentamento alle università e agli enti di ricerca "pubblici", la privatizzazione dell'Enea (ente per l'energia e l'ambiente), del Cnr e degli altri enti di ricerca, il dirottamento dei soldi pubblici verso i cosiddetti "centri educativi e di ricerca d'eccellenza", controllati dai potentati economici e finanziari, dal governo, dal Vaticano e dall'Opus Dei.
All'ultima manovra finanziaria del governo Berlusconi la scuola, l'università e la ricerca scientifica pubblica hanno contribuito con ben un miliardo di euro, per la precisione sono stati tagliati 1,068 miliardi di euro. Il maxiemendamento, collegato alla finanziaria 2006, ridusse, rispetto all'anno precedente, di 400 milioni di euro le risorse destinate all'università: di 75,1 milioni di euro il fondo di finanziamento ordinario delle università statali (FFO), di 6 milioni di euro il fondo ordinario per gli enti di ricerca, del 15% i fondi per i progetti di ricerca di base, di 146,5 milioni di euro il fondo per gli investimenti nell'università e ricerca, di 34,6 milioni di euro il fondo per le "grandi infrastrutture e ricerca scientifica", del 60%, rispetto al 2003, la spesa per i contratti a tempo determinato (part-time, Co.co.co, a progetto). Infine, ha tagliato a zero quello per l'edilizia universitaria (meno 60 milioni).
Nello stesso tempo il governo della casa del fascio è riuscito a cacciare dal cilindro lauti finanziamenti per pochi e superselezionti istituti. Si tratta dell'"Istituto italiano di Tecnologia di Genova", una Fondazione voluta dal ministro sanguisuga Giulio Tremonti che riceverà ogni anno fino al 2014, fondi pubblici per 125 milioni di euro l'anno (si noti che per tutta la ricerca universitaria italiana gli stanziamenti non supereranno i 100 milioni!), mentre 3 milioni di euro all'anno andranno alle tre "Scuole di studi avanzati", i cosiddetti centri di eccellenza, tanto invocati dalla destra e dalla "sinistra" del regime neofascista, uno di Firenze, e gli altri due di Lucca, tra cui la Scuola di dottorato "Imt-Istituzioni, mercati, tecnologie" fortemente voluta dall'ex-presidente del Senato Marcello Pera, che ha già drenato la quasi totalità dei fondi destinati alla formazione superiore delle Fondazioni bancarie e degli enti locali.
La musica non è cambiata da quando al potere è tornata la "sinistra" borghese, visto che fino ad oggi non ha abrogato alcuna delle controriforme sopra citate, come aveva promesso. L'arciopportunista Mussi, di cui sono state già chieste a gran voce le dimissioni, incalzato sul tema, afferma che "riaprire queste questioni significherebbe impantanarci in una discussione senza fine che ci terrebbe occupati per i prossimi cinque anni", dimenticando persino quello che sosteneva fino a pochi mesi fa, insieme a tutta l'allora "opposizione": "la riforma ad y e il ddl Moratti sullo status giuridico della docenza sono disastrosi per l'Università".
Il governo Prodi, viceversa, sorretto dai suoi valletti della "sinistra radicale" si è avviato a testa bassa nella "persecuzione poliziesca" nel pubblico impiego con la crociata lanciata dai ministri Fioroni e Nicolais, "per la flessibilità e la produttività" dei lavoratori pubblici, culminata col famigerato accordo governo-sindacati confederali del 18 gennaio che prevede mobilità, meritocrazia, "esodi incentivati", telelavoro.
Il "tradimento" sta emergendo in tutta la sua crudezza anche tra i ricercatori, visto che molti Irccs (istituti di ricerca e cura a carattere scientifico), come ad esempio l'Istituto dei Tumori Pascale e l'Istituto per le malattie infettive "Spallanzani" di Roma, rischiano a breve di diventare Fondazioni di diritto privato che ne stravolgerebbero completamente la natura e le funzioni.
Per non parlare del triste capitolo dei finanziamenti. Nella lunga campagna elettorale e nel testo del Programma, l'Unione di Prodi aveva solennemente ribadito che le spese per università e ricerca, lungi dall'essere "spese inutili", erano da giudicare assolutamente "indispensabili per il futuro del Paese", per questo prometteva un sostanziale aumento dei fondi per le università e gli Enti Pubblici di Ricerca, lo sblocco immediato delle assunzioni negli Enti Pubblici di Ricerca, "un congruo numero di nuovi concorsi" nelle Università e negli Enti di Ricerca ed il pieno recupero del turn-over, il riconoscimento della terza fascia della docenza per i ricercatori e la diminuzione del precariato, processi trasparenti di riassetto degli enti, "per eliminare i disastrosi effetti dello spoil system effettuato dal governo delle destre", e "che garantiscano competenza e rappresentatività della comunità scientifica nella gestione degli Enti", l'esenzione degli Enti Pubblici di Ricerca da processi di soppressione e scorporo al solo fine del risparmio e una contemporanea verifica della effettiva validità dei cosiddetti "centri di eccellenza" istituiti negli ultimi cinque anni.
Nient'altro che chiacchiere elettorali, per imbonire e strappare il voto agli studenti e ai lavoratori del settore, che si sono sciolte come neve al sole, prima con il decreto Visco-Bersani, che prevede la decurtazione del 10% delle "spese intermedie" degli Atenei, e poi con la mega-stangata contenuta nella finanziaria di lacrime e sangue per il 2007 che, accanto ai devastanti tagli alla spesa sociale ed agli enti locali, allo scippo del Tfr (Trattamento di fine rapporto di lavoro), all'aumento dei ticket sanitari e delle spese militari, contiene una serie di misure contro l'università e la ricerca pubbliche. Il promesso aumento dei finanziamenti non c'è stato, restando fermi i finanziamenti statali al palo dell'1,1% del Pil, lasciando l'Italia agli ultimissimi posti in Europa. Ben 100 milioni di euro invece sono stati destinati ai pescecani delle università private e cattoliche. Nessuna soluzione è stata prospettata per l'esercito dei 60mila lavoratori precari dell'università, mentre le annunciate "nuove assunzioni" sono elargite con il contagocce e viene rilanciato il blocco delle assunzioni e del turn-over.
Inoltre, nonostante la richiesta delle Organizzazioni universitarie di non inserire tale questione nello strumento legislativo più blindato (la Finanziaria), il governo, anche qui con il pieno assenso di Mussi e della "sinistra radicale", ha previsto la costituzione dell'"Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)" nel Decreto legge che l'accompagna. Si tratterebbe di un organo "indipendente" di valutazione della qualità dei singoli Atenei ai fini della ridefinizione dei finanziamenti statali, ma visto l'andazzo non si fa peccato a definirla un'Agenzia sullo stato di avanzamento dei lavori di demolizione in corso.

MAFIOPOLI E CATTEDROPOLI CONTINUA
Nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema universitario qualcosa resiste immutabile. È l'autoritarismo, ossia il modello unidirezionale d'insegnamento docente-discente, con lo strapotere di stampo feudale dei primi sui secondi, è il nozionismo, riflesso della divisione del lavoro, causa ed effetto della parcellizzazione del sapere e della duplicazione delle cattedre e dei rispettivi feudi.
Neanche in tema di lotta alla corruzione i due poli si distinguono. Con l'indulto promosso dal ministro della Giustizia Mastella si è inteso dare anche un colpo di spugna alla lunghissima lista di casi di parentopoli e mafiopoli universitaria. Dal "clamoroso" caso del Policlinico universitario di Messina eterodiretto dalla mafia, alle condanne del 2004 inflitte alla "cupola di cardiologia" al Policlinico di Bari fino alla recente inchiesta giudiziaria sull'eccellenza dell'eccellenza, i vertici di medicina interna e di gastroenterologia del Sant'Orsola di Bologna, dove tra i 70 indagati per "abuso in atto d'ufficio e falso ideologico" figurano "luminari" di livello internazionale che hanno partecipato alle ricerche dei vincitori dell'ultimo Nobel.
Partendo da una storiaccia di viaggi premio e di mazzette elargite da una casa farmaceutica, le Fiamme gialle si sono imbattute nelle manovre della "cupola professorale" che ha manipolato per anni tutti i concorsi italiani del settore: prima si decideva la composizione delle giurie, poi ai commissari veniva inviato il "santino", ossia il curriculum del predestinato.

I MAGGIORI PROBLEMI DELLE MASSE STUDENTESCHE
Stando così le cose e guardando l'università italiana della seconda repubblica dal punto di vista delle masse studentesche si scorge tutto il suo spietato assetto classista, meritocratico e mafioso. L'università sta diventando sempre di più un lusso per ricchi, per la borghesia.

Il diritto allo studio
Considerando la somma di chi non ha alcun titolo di studio e chi ha soltanto la licenza elementare si raggiunge, secondo uno studio dell'Unla, la cifra scandalosa di 20 milioni di italiani analfabeti, ossia il 36% della popolazione. Dai dati Ocse pubblicati del 2002, in Italia la percentuale di popolazione in possesso del titolo di studio universitario è pari al 7%, appena 4 milioni di persone, contro una media del 23% nei paesi Ocse, mentre la percentuale di popolazione in età tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo universitario è del 12% in Italia contro il 28% degli altri Paesi. A tutt'oggi solo uno studente ogni 3 matricole raggiunge la laurea, anche questa percentuale è tra le più basse rapportate ai Paesi industrializzati. Questo anche perché, come già detto, sono ridotte al lumicino le agevolazioni per gli studenti poveri: poche sono le borse di studio, poche le mense, pochissimi gli alloggi per i fuori sede, alti i fitti, indiscriminati gli aumenti della tasse da pagare, da quelle d'iscrizione a quelle regionali a quelle per ricevere un pasto dalle mense, per lo più privatizzate, assoluta la carenza di aule studio, con tanti studenti che continuano a seguire le lezioni nei cinema, altissimo il costo dei testi e dei trasporti, aperte per poche ore al giorno le biblioteche.
Se a questi si aggiungono i mille problemi e le macroscopiche differenze tra Nord e Sud dove le condizioni di vita e di studio dei giovani si avvicinano sempre più a quelle del Terzo mondo, più alto è il tasso di abbandono e di ripetenze, l'edilizia è a pezzi, gli studenti con handicap sono semplicemente abbandonati a se stessi, si capisce perché, per i figli degli operai, l'università è diventata una chimera. Secondo un'indagine di Eurostudent solo il 14% degli universitari italiani proviene dalla classe operaia, intesa in senso largo.

Alloggi per i fuori sede
Di fronte ai 150mila posti alloggio della Francia e ai 223mila della Germania, il numero di posti letto messi a disposizione dallo Stato italiano nel 2002 era di 29mila per una popolazione di fuori sede di oltre 500mila studenti, pari cioè ad una copertura di appena l'1,7% della popolazione studentesca. Si pensi solo che in Campania si registrano appena 92 posti letto gestiti dall'Edisu, in Abruzzo giusto 100. Senza contare che molto spesso le "case dello studente" si riducono a dormitori poco attrezzati e socializzanti. Quasi mai sono previsti spazi ricreativi, sale studio, laboratori multimediali. La stragrande maggioranza degli studenti universitari "fuori sede", soprattutto al Sud, è costretta a fare i salti mortali per trovare un alloggio in affitto, con oltre il 95% dei contratti a nero senza alcuna garanzia sul rispetto delle più elementari norme di igiene, sicurezza e abitabilità. Da un'inchiesta sull'anno accademico 2003-2004 si evince che il costo degli affitti in Italia è letteralmente esploso negli ultimi anni. Solo di affitto uno studente fuori sede in Italia spende da un minimo di 1.200 euro l'anno in camera doppia a Lecce fino ad un massimo di 6.000 euro per una singola a Roma o a Milano. L'Udu ha calcolato che unicamente per la casa, per il mangiare, per i trasporti, per i libri e per le tasse, il costo totale mensile medio per un fuorisede è di 474 euro. Come confermano i dati presentati dal CNVSU "la mobilità studentesca è diventata bassissima e l'81% degli studenti si iscrive nella regione di residenza".

Tasse e balzelli
A partire dall'introduzione dell'autonomia finanziaria la vessazione degli studenti, con tasse e balzelli regionali, si è andata inasprendo in maniera insopportabile. Generalmente lo studente paga un ammontare per le tasse che è differenziato in base alla facoltà di appartenenza, oppure a gruppi di facoltà (umanistiche e scientifiche). Altre differenziazioni possono riguardare gli studenti in corso e fuoricorso, part-time e full-time, oppure le lauree triennali e specialistiche. Dilagano persino le differenziazioni interne agli Atenei, tra facoltà e facoltà, tra corsi di laurea e corsi di laurea della stessa facoltà. Il "tetto massimo di tasse del 20%" dell'ammontare complessivo delle tasse universitarie in rapporto al fondo di finanziamento ordinario per l'università (FFO) è stato sforato in molti atenei, per cui le cifre nominali che si stanno raggiungendo sono delle insormontabili barriere d'accesso ad alcuni corsi di laurea per gli studenti di estrazione proletaria e popolare. Nel 2004/2005 sono state in media di 540 euro per la prima rata, fino a 2.660 euro per la seconda rata della facoltà di medicina e chirurgia.

Borse di studio
Il numero di studenti borsisti nel 2001/02 è stato di quasi 137.000, ovvero il 14% degli studenti iscritti regolari, meno del 5% degli iscritti totali. Anche i criteri d'accesso alle agevolazioni del "diritto allo studio" sono stati inaspriti da quando gli enti per il diritto allo studio sono stati esternalizzati, aziendalizzati e regionalizzati e sono entrati in vigore i cosiddetti Lea (livelli minimi essenziali) . Per quanto riguarda "il reddito" i meccanismi di calcolo sono differenti in tutte le regioni e in quasi tutti gli atenei. Basta dire che sono talmente antipopolari e odiosi che hanno determinato in genere un aumento notevole dei beneficiari di "agevolazioni e sconti sulle tasse" per gli studenti provenienti da famiglie il cui reddito deriva da lavoro autonomo, a scapito di famiglie il cui reddito proviene da lavoro dipendente, di famiglie con più figli iscritti all'università, con uno o più disoccupati. Per quanto riguarda "il merito", si è assistito ad un aumento indiscriminato del numero di Cfu (crediti formativi) richiesti per accedere e/o continuare ad usufruire dei "benefici del diritto allo studio", la limitazione dell'accesso agli stessi benefici solo per gli studenti "in corso", la diminuzione delle agevolazioni per gli invalidi, anche gravi. In sostanza buona parte delle facoltà ha instaurato un sistema di agevolazioni, peraltro misere, unicamente basato sul concetto borghese dei "capaci e meritevoli".
Secondo gli ultimi dati forniti dal Cnsu (Consiglio nazionale studenti universitari), ad oggi la percentuale di studenti idonei in rapporto al numero di studenti totali si attesta mediamente intorno al 10%, di questi però solo una parte si vede assegnata la borsa di studio (il 75% in media a livello nazionale), nel 2002 sono 65mila e nel 2003 45.600 gli studenti esclusi di fatto, illegalmente, dal cosiddetto "livello essenziale del diritto allo studio universitario". Il grado di copertura degli studenti idonei era del 79,2% nell'a.a. 1999/2000, mentre è sceso al 66% nel 2001/02, e il Sud, come ammette lo stesso Miur in un rapporto del 22 luglio 2003, è sempre più fanalino di coda, con un grado di copertura nell'anno 2001/2002 del 48,1% (era il 65,2 l'anno precedente), il che significa appena 37.436 borse di studio erogate. Le cifre dell'elemosina di Stato parlano da sole: uno studente "idoneo" (cioè che ha diritto secondo la normativa in vigore alla borsa) che studia nelle università della Basilicata, se riesce a venir fuori dai mille obblighi burocratici e meritocratici minuziosamente elencati nel bando dell'Ardsu, dovrebbe ricevere 4.101 euro l'anno se è fuori sede e nell'ultima fascia di reddito, 2.261 euro se è pendolare e nell'ultima fascia, 1.545 euro se risiede dov'è l'università ed è nell'ultima fascia del reddito.
Persino il rettore Trombetti, attuale presidente della Crui, nel discorso di inaugurazione dell'anno accademico in corso non ha potuto non constatare che le politiche per il diritto allo studio sono "una miseria indegna di un paese civile".

LE LOTTE STUDENTESCHE CONTRO L'UNIVERSITA' DEL REGIME NEOFASCISTA
Abbiamo descritto i principali tasselli di quel puzzle ideato da Gelli, dalla P2 e dalla destra borghese e costruito dai vari Craxi, Amato, D'Alema, Ciampi, Dini, Berlusconi, Bossi, Fini e Prodi che ha realizzato il sogno della borghesia in camicia nera:
1. Sfollare le università.
2. Abolire il valore legale dei titoli di studio per creare un mercato concorrenziale tra le università.
3. Far emergere dalle macerie delle vecchie istituzioni un nucleo di università d'élite, borghesi da cima a fondo, per contenuti culturali, ordinamenti, finalità, indirizzi, metodi didattici e pedagogici e per come in concreto discriminano e selezionano i figli del popolo, inculcano loro l'ideologia e la morale dominanti e li educano nel rispetto della gerarchia sociale e del lavoro capitalistico.
4. Dalle elementari all'università istituire un sistema basato sulla meritocrazia, il nozionismo, l'autoritarismo, il clericalismo, la xenofobia e la totale subalternità degli studenti alle autorità scolastiche e accademiche, con libri sempre più pieni di omissioni e stravolgimento a sfondo politico reazionario e religioso.
Le masse studentesche non sono state indifferenti e inermi. Hanno fatto di tutto per ostacolare tale piano. Col ritorno al governo di Berlusconi, le università e le piazze sono diventate dei campi di battaglia, fin dalle giornate antimperialiste del luglio genovese. Il 20 dicembre 2001 decine di migliaia di studenti medi, assediano e circondano la megastruttura del palazzo dei congressi dell'Eur a Roma, protetta da un enorme schieramento di "forze dell'ordine'' in assetto antisommossa, dove si stava svolgendo la parata neofascista degli "stati generali'' della scuola voluti da Berlusconi e Moratti; il 25 ottobre 2005 ai giovanissimi studenti medi, che confermano una tendenza ad una grande e trascinante carica di lotta che già si era notata nei grandi movimenti studenteschi del '90 e del '94, si aggiungono gli universitari, i lavoratori dell'istruzione, persino i docenti e qualche rettore, in quello che sarà ricordato come il primo assedio di massa ai palazzi del regime neofascista. A protestare ci sono oltre 100mila manifestanti e il ministro dell'Interno, lo scelbiano in odore piduista Giuseppe Pisanu, ordina di caricarli selvaggiamente.
Sembra una fatalità che il tema dell'istruzione implica e presuppone nella storia italiana atti di imperio: come già era accaduto con la legge Casati che fu emanata da un governo, il La Marmora- Rattazzi, investito di pieni poteri, o con la "riforma" Gentile che fu introdotta da Mussolini, il quale, una volta conquistato il potere, eresse e consolidò la dittatura a colpi di baionetta e di manganello, non senza essersi attribuito il diritto "legale", in quanto sancito dalle legge del dicembre del '22, di legiferare per decreti, ancora con la "riforma" democristiana dell'esame di Stato che diede il via al '68.
Le illusioni create dal nuovo governo Prodi hanno raffreddato la lotta contro l'università del regime, ma dopo un primo periodo di attesa, ci sono dei segnali di ripresa. Anche i docenti e i ricercatori sono in fermento. Il drastico taglio del personale docente e soprattutto gli spietati tagli all'università e alla ricerca, avallati dal PRC, dal PdCI e dai Verdi hanno fatto infuriare rettori, docenti, ricercatori e studenti. "Il contenuto del maxiemendamento alla finanziaria - si legge in una nota della Conferenza dei rettori - dimostra la chiusura e la sordità del governo nei confronti delle esigenze di sola sopravvivenza delle università. Un milione e 800 mila studenti e migliaia di ricercatori - continua - rischiano di pagare sulla loro pelle il peso delle decisioni assunte". "Il maxiemendamento - rincara la dose l'Unione degli universitari - non accoglie nessuna delle richieste di correzione avanzate. Il prossimo anno potremmo ritrovarci con aumenti del 50% delle tasse universitarie". "È chiaro che un distacco così marcato dal programma non può giustificarsi né con la ristrettezza di risorse, né con la risicata maggioranza al Senato: per questo dovremo prendere in seria considerazione l'idea di un'astensione dalle lezioni per il prossimo anno accademico e magari anche degli esami e delle tesi di laurea. Spero non si arrivi a tanto, ma se queste sono le premesse, prepariamoci a dissotterrare l'ascia di guerra", ha affermato il 20 luglio scorso Marco Serafini del Coordinamento nazionale ricercatori universitari, auspicando dure lotte con l'appoggio dei precari delle altre categorie e delle larghe masse studentesche.
Di fronte alle critiche e alle proteste anche il governo Prodi sembra essere stato irreversibilmente infettato dal motto morattiano-berlusconiano, che fu già del boia Mussolini, "me ne frego della piazza" e non merita per questo alcuno sconto.

LA PROPOSTA DEL PMLI
L'Università così com'è non è assolutamente accettabile da parte del proletariato, delle masse studentesche e popolari e di tutti i democratici e gli antifascisti. Bisogna arrestare il processo di privatizzazione e cambiarne i contenuti, i metodi, gli ordinamenti e la didattica. Mediante provvedimenti legislativi adeguati e coerenti, magari di iniziativa popolare, la cancellazione delle controriforme universitarie, ma soprattutto portando fino in fondo la lotta di massa, non solo studentesca, per l'Università pubblica e gratuita. Noi aggiungiamo "governata dalle studentesse e dagli studenti". Il che significa che, in alternativa agli "organi collegiali", devono essere istituiti nuovi organi di governo degli atenei in cui le studentesse e gli studenti siano la maggioranza e che dispongano di poteri vincolanti. Ne devono far parte anche i rappresentanti del personale docente e non docente, come minoranza. Tutti i membri devono essere eletti dalle rispettive Assemblee generali che potranno revocarli in qualsiasi momento. Le Assemblee generali devono ispirarsi ai principi della democrazia diretta.
Senza questo tipo di governo, nessuna legge potrà mai assicurare che l'Università sia un vero servizio sociale goduto dal popolo, in primo luogo da chi lo usufruisce direttamente.
I fatti dimostrano che per rendere le studentesse e gli studenti davvero padroni delle università non serve affatto entrare negli "organi di governo'' universitari, sia a livello di ateneo sia a livello nazionale, come dimostra il caso del fallimentare Cnsu, che non ha portato il benché minimo beneficio al movimento studentesco, anzi, ha contribuito a deviare e sabotare la lotta incanalandola in illusioni concertative con quelle stesse forze che si vorrebbero combattere. Per questo continuiamo a sostenere, e la stragrande maggioranza degli studenti dimostra di condividere, che un alto astensionismo (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) alle elezioni universitarie rappresenta un'inequivocabile delegittimazione di chi vorrebbe carpire un consenso di massa, una ratifica indiretta, ai disegni controriformatori.
Indubbiamente l'Università governata dalle studentesse e dagli studenti è un obiettivo a lungo termine, perché presuppone una coscienza politica che non è maturata ancora, che non va separato e non va messo in contraddizione con le lotte studentesche per i problemi immediati, come ad esempio abolire le tasse universitarie, i "crediti formativi'', il numero chiuso e programmato ed ogni altra limitazione per gli accessi e il proseguimento degli studi. I marxisti-leninisti italiani sono pronti ad unirsi alle studentesse e agli studenti, alle lavoratrici e ai lavoratori in battaglie concrete che vadano nella direzione di una università pubblica e gratuita.
A essi propongono la seguente piattaforma, con la piena disponibilità a discuterla e a redigerne una che sia comune a tutti coloro che si battono per l'Università pubblica e gratuita.
L'Assemblea generale delle studentesse e degli studenti di ogni facoltà e Ateneo, basata sulla democrazia diretta, dovrebbe essere il luogo per definire la piattaforma comune, i metodi e le iniziative di lotta e le questioni organizzative per poterla realizzare. Non sono sufficienti i collettivi studenteschi, occorre una Organizzazione comune e unitaria, qual è appunto l'Assemblea generale, che consenta di confrontarsi, ricercare l'intesa e le convergenze più larghe possibili.
I marxisti-leninisti sono favorevoli a creare un vasto fronte unito con tutte le forze studentesche e non che sono favorevoli all'università pubblica e gratuita. Pur tenendo fermo l'obiettivo strategico dell'università governata dalle studentesse e dagli studenti.
La politica di fronte unito diviene in questo senso essenziale per raggiungere degli obiettivi concreti che diano fiducia alle masse in lotta e allarghino la mobilitazione. Essa evidentemente varia di volta in volta a seconda del nemico politico principale da combattere, oggi a livello nazionale è il governo Prodi come ieri era il governo Berlusconi, e della scaletta rivendicativa stabilita democraticamente in assemblea generale. Il compito delicato che spetta alle studentesse e agli studenti militanti e simpatizzanti del PMLI consiste proprio nella capacità di sapere analizzare e risolvere di volta in volta dialetticamente le contraddizioni che via via si presentano per compattare sugli obiettivi il fronte unito, unendo la sinistra del movimento studentesco, conquistando il centro, isolando la destra e mettendo in condizioni di non nuocere gli "ultrasinistri". Tenendo sempre presente che occorre innalzare la coscienza politica media delle masse in lotta, senza sopravanzarla troppo, che occorre attenersi ad analisi concrete delle situazioni concrete che variano di periodo in periodo, di luogo in luogo, di territorio in territorio, di ateneo in ateneo. Senza attendismo né fughe in avanti. Oggi ad esempio contro la politica di tagli e stangate universitarie perseguita dal governo Prodi non dovrebbe essere molto difficile costituire un fonte unito molto largo, alleandosi con i lavoratori Ata, i ricercatori, buona parte dei docenti e persino i rettori meno asserviti. Su altri punti, come ad esempio la lotta contro la base Usa Dal Molin e il rifinanziamento della missione di guerra in Afghanistan il fronte unito potrebbe essere ancora più largo e uscire più facilmente dall'Università.
Ecco la nostra piattaforma per l'Università:
1) Università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti;
2) Istituire nuovi organi di governo degli atenei in cui le studentesse e gli studenti siano in maggioranza;
3) Abolire gli attuali "organi collegiali" di facoltà e ateneo, nonché il Cnsu (Consiglio nazionale studentesco universitario);
4) Abrogazione delle controriforme Berlinguer, Zecchino, Moratti e di tutta la legislazione sull'autonomia universitaria (finanziaria, organizzativa, didattica);
5) Approvazione di una legge nazionale organica per l'Università pubblica e gratuita;
6) Ripristino del valore legale del titolo di laurea;
7) Abrogazione delle scuole di specializzazione post-laurea per l'insegnamento, per architettura e per le discipline giuridiche;
8) Abolizione dei master privati. Obbligo per le Università di organizzare master pubblici e gratuiti;
9) Abolire i finanziamenti statali e altre agevolazioni alle Università private sotto qualsiasi forma;
10) Vietare i finanziamenti privati alle Università pubbliche;
11) Abolizione di ogni forma di privatizzazione dei servizi pubblici interni all'Università;
12) Abrogazione del 3+2 e ripristino di un unico livello di laurea;
13) Abolire il numero chiuso e ogni altra limitazione per l'accesso e il proseguimento degli studi;
14) Abolire i "crediti formativi" che aggravano i criteri meritocratici;
15) Abrogazione dell'obbligo di frequenza;
16) Garantire un lavoro stabile dopo la laurea;
17) Istituzione di corsi serali per studenti lavoratori;
18) Abolizione delle tasse universitarie e dei contributi di laboratorio;
19) Abolizione delle tasse regionali "sul diritto allo studio";
20) Possibilità per gli studenti di sostenere gli esami su testi alternativi a quelli proposti dal docente;
21) Divieto per i docenti di imporre nei corsi universitari testi di cui sono essi stessi gli autori;
22) Obbligo da parte dei docenti di concedere la tesi a tutti gli studenti che la richiedono e su qualsiasi tema inerente la materia insegnata dal docente;
23) Gratuità per gli studenti del materiale didattico, informatico e di laboratorio e dei mezzi di trasporto pubblici;
24) Consentire per legge la possibilità di fotocopiare liberamente e gratuitamente i testi per gli esami universitari;
25) Aumentare gli appelli degli esami universitari in base alle esigenze degli studenti; definizione e programmazione annuale del calendario degli appelli; possibilità di ripetere l'esame nella stessa sessione; semestralizzazione degli esami e possibilità per gli studenti di sostenere l'esame fin da febbraio senza essere obbligati ad aspettare maggio;
26) Abolire la prassi baronale del controllo preventino del libretto universitario;
27) Varare Commissioni didattiche o di lavoro, a maggioranza studentesca con la partecipazione del personale docente e Ata, che abbiano poteri vincolanti per le Università o le singole Facoltà;
28) Varare Commissioni di controllo sugli esami composte interamente da studenti per le cattedre "calde", e cioè quelle in cui i docenti-baroni esercitano in modo selettivo, discriminatorio e vessatorio il loro potere nei confronti degli studenti;
29) Diritto per gli studenti di organizzarsi politicamente attraverso riunioni che possono essere indette in tutto l'arco della giornata; le facoltà devono garantire lo svolgimento delle Assemblee generali almeno una volta al mese senza vincoli o restrizioni;
30) Massicci investimenti pubblici per potenziare, migliorare e ammodernare gli atenei statali;
31) Divieto di alienazione del patrimonio immobiliare degli Atenei italiani;
32) Abbattimento delle barriere architettoniche nelle facoltà e negli Atenei, organizzazione di servizi pubblici e gratuiti per gli studenti diversamente abili;
33) Gratuità di vitto e alloggio per tutti i fuori sede; l'Università deve provvedere ad allestire nuovi studentati in numero sufficiente e adeguato alle effettive necessità;
34) Potenziare le mense universitarie, gratuite per gli studenti, con cibo di buona qualità;
35) Apertura delle biblioteche e dei servizi universitari agli studenti anche in orario serale;
36) Ingresso gratuito ai musei per gli studenti. Sconti del 50% nell'ingresso ai cinema, stadi, piscine e alle manifestazioni musicali, teatrali e culturali.
37) Libertà da parte degli studenti di manifestare in difesa dei propri diritti e di indire conferenze o dibattiti pubblici su qualsiasi tema a loro scelta;
38) Abrogare tutte le norme discriminatorie che impediscono la propaganda di partito dentro le Facoltà e nelle cittadelle universitarie;
39) Divieto di concessione da parte dei Consigli di Facoltà, o degli atenei di spazi a partiti fascisti o neofascisti, comunque denominati. Divieto di accogliere nei locali universitari conferenze o seminari di esponenti di partito o intellettuali fascisti o neofascisti;
40) Aumentare gli spazi e le aule a disposizione degli studenti per organizzarsi, fare politica, svolgere assemblee e altre attività;
41) Installare computer nelle università e utilizzo diretto e con accesso rapido per gli studenti; il numero di computer deve essere proporzionato al numero degli studenti iscritti alle Facoltà e prevedere il collegamento ad internet;
42) Istituire corsi pubblici e gratuiti per studenti e non, finalizzati al conseguimento di attestati di formazione professionale, di lingue, di computer ecc;
43) Divieto di sfruttamento degli studenti, tramite contratti part-time e a tempo determinato, per coprire le carenze di personale ausiliario, tecnico e amministrativo (Ata);
44) Abrogare l'art. 16 della legge 390/91 sul diritto allo studio che instaura i "prestiti d'onore";
45) Docenti e assistenti devono rispettare gli orari di ricevimento;
46) Divieto per i docenti di esercitare attività professionali continuative private esterne all'università;
47) Verifica negli Atenei di tutti i rapporti di lavoro "autonomo", "atipico", a tempo determinato, a part-time per procedere alla loro trasformazione in assunzioni stabili a salario intero e di conseguenza aumentare gli organici del personale Ata a copertura del turn-over;
48) Forti aumenti degli stipendi per i ricercatori e il personale Ata.
Mentre i marxisti-leninisti lottano affinché le scuole e le Università siano veramente dei servizi sociali governati dal popolo e al servizio del popolo, mantengono ferma la loro missione nei confronti delle nuove generazioni.
"Noi vogliamo una gioventù libera dallo sfruttamento e dall'oppressione capitalistici, libera da ogni condizionamento istituzionale borghese, libera dal bisogno e dall'emarginazione sociale, libera dalla cultura borghese e dalla morale oscurantistica e retrograda della classe dominante borghese. Vogliamo una gioventù pienamente padrona di se stessa e dei propri movimenti di massa, libera di usare tutti i mezzi possibili, legali ed illegali, pacifici e violenti al fine di soddisfare le proprie esigenze immediate e di aprirsi l'avvenire a fianco e sotto la direzione della classe operaia. È per questo che lottiamo per strappare i giovani all'influenza e al controllo culturale, politico e organizzativo della borghesia, della reazione e dei revisionisti di destra e di "sinistra", per unire la gioventù di sinistra, per dare una direzione proletaria ai movimenti di massa giovanili e per trasmettere alle nuove generazioni gli ideali socialisti".1
Lottiamo e formiamo un vasto fronte unito per l'Università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!

L'Ufficio politico del PMLI

Firenze, 21 gennaio 2007
 

1 - Rapporto di Giovanni Scuderi al 3° Congresso nazionale del PMLI, Firenze, 26-28/12/1985