Documento dell'Ufficio politico del PMLI
Uniamoci nella lotta contro la camorra e le mafie
Per il lavoro, lo sviluppo e l'industrializzazione del Mezzogiorno

Per sconfiggere la piovra mafiosa che domina nel Mezzogiorno, bisogna capire dov'è la testa su cui indirizzare i nostri colpi principali. La testa si trova nell'alta finanza, nei circoli dell'industria, dell'agricoltura, del terziario e nelle istituzioni. Cioè dentro la classe dominante borghese, lo Stato borghese e l'economia capitalistica.
I fiumi di miliardi elargiti dallo Stato per lo sviluppo del Mezzogiorno e quelli comunitari per le "aree depresse" sono andati a finire per lo più nelle tasche della mafia siciliana, della 'ndrangheta calabrese, della camorra napoletana e della Sacra corona unita pugliese, che in queste regioni controllano interi territori, e in quelle di tutti o quasi i partiti del regime e dei pescecani capitalisti locali e del Nord che continuano a fare lauti guadagni al Sud.
Preesistenti radici economiche e continui inaffiamenti politici in vista soprattutto delle elezioni, in un Mezzogiorno condannato alla deindustrializzazione e al sottosviluppo, hanno trasformato le organizzazioni criminali italiane in grandi ed onnipotenti trust: all'antica figura del "presidente dei prezzi" del mercato ortofrutticolo si sono sostituite le holding che investono nelle borse di mezzo mondo.
La lotta contro la camorra e le mafie rientra quindi nella lotta di classe tra il proletariato e la borghesia, tra il socialismo e il capitalismo, tra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il riformismo, il revisionismo e il neorevisionismo.
Il PMLI la vive e la pratica in quest'ottica. Altri, i democratici borghesi anticamorristi e antimafiosi, la vivono e la praticano sul piano della legalità borghese, considerando la criminalità camorrista e mafiosa come un bubbone, un corpo estraneo allo Stato e al sistema economico borghesi. La differenza è sostanziale e grande, ciononostante è bene e necessario che tutti gli anticamorristi e gli antimafiosi si uniscano in un vasto fronte unito per combattere assieme i comuni nemici.

Le mafie
In Italia esistono diverse mafie regionali. La camorra in Campania, la 'ndrangheta in Calabria, la Sacra corona unita in Puglia, Cosa nostra in Sicilia. Recenti indagini della magistratura hanno, inoltre, messo in evidenza un progressivo diffondersi di una criminalità organizzata sempre più violenta e pervasiva anche in regioni, come la Basilicata e il Molise, che non avevano conosciuto ancora tale fenomeno, almeno a questo livello.
La presenza capillare della camorra sul territorio campano è oggi sotto gli occhi di tutti. Un settore altamente redditizio per la camorra, ma anche delle altre mafie, è attualmente quello dello smaltimento dei rifiuti industriali del Nord, tanto che ci ha messo le mani con ruoli direttivi il "venerabile" Licio Gelli, colui che, in accordo con la struttura paramilitare clandestina Gladio, la loggia P2, i servizi segreti, parte delle gerarchie ecclesiastiche finanziò le mafie occidentali per poter disporre della loro manovalanza armata in funzione anticomunista.
Come si può dimenticare infatti che per tutti gli anni '70 e successivi la mafia, la camorra, la banda della Magliana di Roma, e finanche le bande di gangster milanesi, sono state utilizzate per una lunghissima serie di tentativi di golpe, stragi e assassini politici tendenti a fascistizzare il Paese, eliminare scientificamente tutti coloro, in qualsiasi settore, fossero d'ostacolo a questo progetto? E che tale progetto non si sia per niente esaurito lo dimostra il fatto che gli strateghi della instaurazione del regime neofascista, presidenzialista e federalista sono arrivati, con tutto il peso delle loro alleanze "clandestine", alle massime cariche dello Stato attraverso Silvio Berlusconi e Salvatore Cuffaro.
I quasi 100 morti ammazzati dall'inizio dell'anno e l'escalation di barbarie per il controllo del territorio delle ultime settimane hanno riportato di colpo all'attenzione dei mass-media la presenza capillare della camorra sul territorio napoletano. Per oltre un decennio la martellante propaganda bassoliniana sul "rinascimento di Napoli e della Campania" e l'omertoso silenzio di tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese avevano contribuito alla favola del ridimensionamento della criminalità organizzata. Con l'avvento del 2° governo del neoduce Berlusconi nel 2001, che ha completato l'instaurazione del regime, si arrivò a sostenere che "con la mafia bisogna convivere" (dichiarazione del ministro dei trasporti ed infrastrutture Pietro Lunardi) e le commissioni parlamentari derubricarono la camorra dalle organizzazioni criminali più pericolose del Paese. Questo mentre centinaia di clan continuavano pressoché indisturbati ad avere in pugno parti importanti del potere economico, finanziario e politico, in molti comuni della provincia di Napoli, Caserta, Avellino, Salerno e Benevento e negli stessi capoluoghi, tutti amministrati dal "centro-sinistra". L'Asl Na4 e 70 comuni della provincia di Napoli sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa. Ciò significa che camorra, Cosa nostra, 'ndrangheta e Sacra corona unita non solo non erano affatto scomparse, ma si erano riorganizzate velocemente e ad un livello più alto.
Il fatto è che già dai tempi dei Giuliano la camorra è parte integrante del capitalismo, essendo diventata un insieme di multinazionali armate che alternano metodi antichi e moderni per sbaragliare la concorrenza capitalistica. Una multinazionale che in Calabria e Sicilia sembra avere una cupola.cda unica a livello regionale, talmente potente che diviene difficile riassumere tutti i settori dove è presente.
Al rafforzamento della camorra e delle altre mafie hanno contribuito in modo consistente le leggi varate dal governo Berlusconi nel corso della passata legislatura: ossia la controriforma dell'ordinamento giudiziario, le leggi-vergogna sulla depenalizzazione del falso in bilancio, lo scudo fiscale, i condoni, l'ulteriore precarizzazione del lavoro con la legge 30, la Bossi-Fini sull'immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze. E non poteva essere diversamente se si considera che Berlusconi è stato inquisito e il suo braccio destro, Marcello Dell'Utri, condannato per fatti di mafia, mentre in parlamento siedono un numero considerevole di "onorevoli" indagati e/o condannati per reati vari.
Tra le mafie più potenti vi è la 'ndrangheta calabrese. È proprio a partire dalla sua analisi che il procuratore nazionale antimafia Grasso ha lanciato un allarme sul salto di qualità delle mafie a livello politico. I grandi business della mafia calabrese sono il traffico internazionale di droga, l'estorsione, gli appalti pubblici e la gestione della sanità.
Anche la Puglia dagli anni ottanta deve subire la capillare presenza della criminalità organizzata sul suo territorio. È per primo il camorrista Raffaele Cutolo ad allungare le grinfie sulla Puglia, ma poco più tardi arriva lo sganciamento dalla camorra.
In Sicilia Cosa nostra ha una grande longevità, capacità di trasformazione e di infiltrazione nelle istituzioni e nelle amministrazioni pubbliche. In questa fase storica la mafia siciliana incentra i suoi interessi economici nello sfruttamento degli immigrati, nell'appropriazione dei fondi comunitari, nel settore delle infrastrutture, e, infine, nella sanità.
La Flai-Cgil regionale ha denunciato, di recente, la presenza di migliaia di schiavi immigrati nelle campagne siciliane, sintomo inconfutabile della presenza di un racket dell'immigrazione clandestina gestito da Cosa nostra. Un'altra inchiesta della magistratura agrigentina ha messo in evidenza un traffico di bambini e minori arrivati clandestinamente in Sicilia, prelevati e fatti sparire dai Centri di Permanenza Temporanea, con la complicità di operatori legati alla mafia ed interni ai CPT, e, probabilmente, destinati al giro della pedofilia, allo sfruttamento schiavistico, se non a peggio.
Nel campo della gestione e dell'assegnazione dei fondi comunitari, secondo recenti indagini della magistratura, si è sviluppata una illegalità organizzata scientificamente, attraverso cui la criminalità riesce a far scomparire una buona fetta dei fondi destinati alla Sicilia, tramite imprese esistenti solo sulla carta, create a proposito per succhiare i fondi e poi chiuse. La mafia siciliana allunga le mani pure sui piani per le infrastrutture regionali. In questo settore Cosa nostra, da un lato, riesce ad appropriarsi di fondi pubblici, dall'altro, ha la possibilità di reinvestire capitali sporchi. All'inizio del 2005 una indagine evidenziò il tentativo dell'organizzazione criminale di inserirsi negli appalti per la costruzione del ponte di Messina, nel cui progetto le cosche internazionali con base in Sicilia avevano intenzione di investire denaro proveniente dallo spaccio di droga.
Ma il settore che interessa maggiormente oggi la mafia siciliana è la sanità. Buona parte dei processi nei quali devono rispondere il presidente della regione, l'UDC Cuffaro, imprenditori, deputati ed ex-esponenti delle "forze dell'ordine", ruotano intorno al caso dei favori di alcuni politicanti siciliani alla clinica Santa Teresa di Bagheria, di proprietà dell'imprenditore Aiello, prestanome di Provenzano.
La sanità oggi è il centro dello scambio clientelare che tiene in piedi le istituzioni. Da un lato i politicanti al parlamento o al governo siciliani fanno pesare la loro influenza per truccare i concorsi e assegnare a questa o a quella cosca un incarico di primario, incarichi dirigenziali nella sanità pubblica, o anche fondi alle cliniche private, in cambio i boss forniscono ai politici alleati i pacchetti di voti. In questo circolo vizioso la mafia siciliana gestisce all'interno della sanità i posti di potere, spesso attraverso soggetti del tutto incompetenti, i quali, in un concorso pubblico non truccato non riuscirebbero a superare neanche le prime fasi. Clamoroso il caso di Immordino, destinato dalle istituzioni siciliane a diventare il manager dell'ospedale Cervello di Palermo. Vince grazie ad un curriculum truccato, del quale non poteva non sapere il suo principale sponsor, l'ex-presidente del Parlamento siciliano, il fascista di AN Lo Porto.
Le vicende della sanità siciliana dimostrano la stretta contiguità tra mafia e istituzioni. Da vari indizi riusciamo anche a comprendere che Cosa nostra è cresciuta a tal punto da essere in grado di formulare un vero e proprio programma politico e di essere in grado di portarlo avanti grazie a politicanti presenti nelle istituzioni e organici alle cosche o con legami molto stretti con i boss mafiosi
Si è molto discusso dell'accusa a carico di Cuffaro. "Semplice" favoreggiamento aggravato alla mafia, reato per il quale è attualmente imputato, o "concorso esterno in associazione mafiosa", accusa, quest'ultima, archiviata due anni fa dal Gip, ma che torna all'ordine del giorno alla Procura di Palermo. La discussione dimostra che vi è un chiaro problema che impedisce di andare fino in fondo nella incriminazione del governatore siciliano. E questo è indubbiamente un blocco politico che ha origine nell'isolamento in cui è stata lasciata la Procura di Palermo da parte delle istituzioni. Finché prevarrà il silenzio del "centro-sinistra" regionale e nazionale intorno alla entità criminale di Cuffaro il nodo in cui si trova la Procura di Palermo non verrà, probabilmente, sciolto e il governatore se la caverà con una "semplice" accusa di favoreggiamento.
Le peculiarità delle diverse organizzazioni criminali regionali sono di gran lunga meno significative degli elementi che le accomunano.
Uno di questi elementi è il rapporto inversamente proporzionale tra potenza militare, economica e politica delle mafie e debolezza dei diritti dei lavoratori e delle masse popolari del Mezzogiorno. Più è potente la mafia più sono prive di diritti e ricattabili la forza-lavoro e le masse popolari in genere, più è diffusa la disoccupazione.
La Calabria, attualmente governata dal "centro-sinistra" con a capo Agazio Loiero, è una regione che ben dimostra questo nesso. La regione che negli ultimi anni ha avuto i più alti tassi nazionali della disoccupazione e della povertà e dove la mafia sembra essere più potente e infiltrata nelle istituzioni secondo le inchieste della magistratura. E in Puglia, anch'essa governata dal "centro-sinistra" con a capo Nichi Vendola, la Sacra corona unita ingrassa e si impone in maniera prepotente proprio grazie allo sfruttamento schiavistico del lavoro degli immigrati e dei "clandestini". Una recentissima denuncia giornalistica, della quale poi non si è più parlato, narrava della scomparsa di centinaia di lavoratori stranieri finiti nelle maglie dello schiavismo delle campagne pugliesi.
Un altro elemento comune che contraddistingue le mafie contemporanee è il forte impulso che esse ricevono dalla politica delle privatizzazioni nazionali e regionali. La Sicilia in testa, grazie all'opera devastante del governatore filomafioso Cuffaro. I settori più redditizi per le mafie risultano essere attualmente lo smaltimento dei rifiuti, l'appropriazione dei fondi europei, la privatizzazione del sistema sanitario e tutto ciò che comporta la circolazione di enormi somme di denaro pubblico.

Le mafie, la camorra e le istituzioni
Uno dei più preoccupanti elementi comuni a tutte le mafie italiane è certamente il consolidamento del rapporto tra criminalità organizzata e istituzioni. Addirittura dalle inchieste giudiziarie risulta che la diffusione a nuove regioni del Sud, che prima non conoscevano il fenomeno della criminalità organizzata abbia ricevuto impulso proprio dalle istituzioni. Così è stato per quelle decine di imprenditori e rappresentanti di "centro-destra" e "centro-sinistra" implicati in affari mafiosi in Basilicata. I reati vanno dall'associazione mafiosa, alla corruzione, all'abuso d'ufficio, all'usura, alla turbativa d'asta, all'estorsione, al riciclaggio.
L'omicidio Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, dimostra l'esistenza di un verminaio in quella regione, peraltro confermato dalla vicenda di Loiero, governatore della Calabria, indagato nell'inchiesta della Procura di Catanzaro per illeciti nella sanità.
Un recente rapporto dell'"Alto Commissariato per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione" denuncia l'altissima capacità di infiltrazione della criminalità organizzata nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione in genere.
Nel rapporto si legge che "la malavita organizzata ha aggiornato le tecniche d'intervento nel tessuto sociale, conquistando, attraverso una pressante e specialistica penetrazione nei meccanismi di produzione e amministrazione della ricchezza, importanti fasce di attività economiche e spazi di mercato più vasti, stabilendo accordi di "cartello" e basi logistiche a livello internazionale, attuando condizionamenti di rami della Pubblica Amministrazione e forme di collusione con esponenti politici, amministratori di enti locali, pubblici ufficiali ed incaricati di pubblici servizi".
Qualche mese fa, come detto, il procuratore nazionale antimafia Grasso aveva lanciato lo stesso allarme, e varie indagini confermano questo elemento di preoccupazione, basti citare le indagini per mafia che coinvolgono esponenti delle amministrazioni siciliane, tra cui l'ex-assessore del comune di Palermo, Domenico Miceli, pupillo di Cuffaro.
Ormai è comune opinione degli antimafiosi informati e dei magistrati inquirenti che la compenetrazione a livello locale tra mafie e istituzioni è un fenomeno consolidato in tutto il Mezzogiorno. Non condividiamo però le tesi dell'Alto Commissariato sulle responsabilità dei livelli politici più alti: "A tale proposito - afferma il rapporto - non è necessario un accordo al massimo livello nazionale, essendo sufficiente, laddove non preferibile, un coinvolgimento ad un grado inferiore come quello di un professionista o di un amministratore locale, in qualità di responsabile, ad esempio, delle lottizzazioni, dei piani regolatori, delle installazioni di centri commerciali... Pertanto si può affermare che il cosiddetto 'pactum sceleris', nel quale si concretizza il fenomeno di corruttela è stipulato prevalentemente a livello locale, ente per ente, regione per regione".
Il cosiddetto pactum sceleris (patto del crimine) tra mafie e istituzioni ha sì bisogno di un livello amministrativo, che si esplica attraverso una serie di presenze filomafiose o mafiose nelle istituzioni locali in grado di influenzare lo spostamento di fondi pubblici a favore di questa o quella cosca. Tuttavia non si può negare o nascondere l'altra condizione necessaria del "patto del crimine" tra mafie e istituzioni borghesi, ovvero quell'elemento puramente politico che si esplica ai massimi livelli nella gerarchia dello Stato borghese.
Le scelte politiche filomafiose o antimafiose le fanno i governi nazionali e regionali. Sono scelte che a volte non sembrano avere una diretta influenza sullo sviluppo della mafia e invece la hanno. Le leggi che colpiscono i diritti dei lavoratori e delle masse popolari e che, per conseguenza, rafforzano le mafie le fanno i governi nazionali e regionali. C'è da chiedersi quanto abbia influito, ad esempio, nello sviluppo della mafia pugliese, che si fa forte del traffico di "clandestini", l'approvazione di leggi sull'immigrazione come la Turco-Napolitano o la Bossi-Fini. Citiamo questo esempio come potremmo citarne decine di altri.
Il livello politico dello scambio tra mafie e istituzioni è, del resto, evidentissimo anche dai vari processi che si sono svolti, con esiti diversi, negli ultimi anni e nei quali sono stati o sono indagati presidenti di regione ed ex-presidenti del governo nazionale, deputati regionali e nazionali tuttora presenti in parlamento.
Ricordiamo poi il ruolo delle mafie nello spostamento di pacchetti di voti a favore di questo o di quel candidato al parlamento nazionale e ai consigli regionali. A questo proposito le indagini sono decine.
I più alti livelli politici nazionali e regionali, del resto, si contraddistinguono per una totale mancanza di un progetto strategico di lotta alla criminalità organizzata e alle infiltrazioni mafiose nelle istituzioni nazionali, regionali e locali, il tutto mentre la criminalità organizzata invece ha un vero e proprio progetto strategico di compenetrazione sempre più capillare con le istituzioni.
È un fenomeno che il PMLI denuncia da anni e, ormai, è evidente che nelle istituzioni vi è una totale mancanza di volontà di lottare e sconfiggere la criminalità organizzata, laddove non vi sia una contiguità conclamata con le mafie. I recenti interventi del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, a Napoli e quelli svolti a Palermo dal viceministro dell'Interno Minniti (DS) sono puramente propagandistici e non fanno altro che confondere in un unico calderone criminalità organizzata, criminalità comune e cosiddetto "bullismo", allontanando l'attenzione da uno dei problemi sostanziali, cioè la lotta alla presenza delle mafie nelle istituzioni borghesi.
Stando così le cose, nella lotta contro le mafie non possiamo fare alcun affidamento sulle istituzioni, a cominciare dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Francesco Forgione (PRC) in cui sono presenti i pregiudicati Paolo Cirino Pomicino (nuova DC) e Alfredo Vito (Forza Italia) e gli indagati di Forza Italia Carlo Vizzini e Franco Malvano.
La stessa finanziaria 2007 dimostra che nemmeno il governo Prodi della "sinistra" borghese è orientato a dare una svolta alla politica governativa e dello Stato contro le mafie e per lo sviluppo del Mezzogiorno.

Gli affari della camorra
Quando la camorra ha stretto più saldi rapporti politici con le istituzioni e partiti di governo, locali e nazionali, con boss dei servizi segreti e della massoneria, con politici del calibro di Di Lauro, Gava, Mensorio, Pomicino, De Lorenzo, Conte, Di Donato, Craxi, è stato allora che si è trasformata da organizzazione dei traffici illegali e taglieggiatrice del commercio in impresa capitalistica parassitaria dedita alla speculazione fondiaria, che rapidamente riesce a monopolizzare il comparto edilizio. Un'impresa che controlla le cave che sventrano le montagne, monopolizza il trasporto del calcestruzzo che viene spesso mischiato ai rifiuti da occultare, si appropria delle imprese del "movimento terra" che cementificano il territorio fino a far scomparire intere forme di vita animale e vegetale, provvede alla "sicurezza" dei cantieri dove la vita degli operai vale nulla, si assicura la proprietà delle discariche per inerti, dove finisce ogni rifiuto del grande mercato capitalistico. Dalla Nco di Raffaele Cutolo, alla "Nuova Famiglia" di Alfieri e Bardellino, al clan dei Casalesi fino all'Alleanza di Secondigliano non c'è appalto di rilievo che non abbia ingrassato e permesso il riciclaggio dei capitali dei clan. Dalla ricostruzione post-terremoto, al bradisismo a Pozzuoli, fino all'alluvione di Sarno e Quindici, dal villaggio Coppola, al centro direzionale, a tangenziale, metropolitana, autostrade fino alla Tav. Le tecniche e i metodi si sono lentamente "evoluti" dal racket e dalla violenza terrorista si è passati ai prestiti usurai in stile bancario per impossessarsi delle imprese e dei negozi in difficoltà, dalle tangenti per politici e funzionari pubblici si è passati all'imposizione di camorristi nelle poltrone chiave degli assessorati ai lavori pubblici.
Un ruolo chiave in questo settore lo continua a giocare il re del mattone e della carta stampata Gaetano Caltagirone, che di recente, insieme ai famigerati immobiliaristi romani ha tentato la scalata alle galassie bancarie del Nord e non vede l'ora che prenda il largo la megaspeculazione edilizia nelle ex-zone industriali di Bagnoli e Ponticelli.
Per quanto riguarda le altre regioni del Sud citiamo l'esempio dei grandi centri turistici della costa calabrese che, da Scalea a Sibari, sono da anni gestiti dalla 'ndrangheta, che dalle ultime inchieste sembra essersi assicurata tra i suoi affiliati persino alti magistrati delle Procure locali.
La mafia ha progressivamente esteso il controllo a tutte le diverse fasi del ciclo dei rifiuti: raccolta, trasporto, occultamento e distruzione, ricorrendo a complesse metodologie operative che prevedono la costituzione di una fitta rete di intermediari e di società in apparenza pulite. Ogni anno in Italia, su un volume complessivo di 108 milioni di tonnellate di rifiuti, 35 milioni vengono smaltite attraverso modalità non corrette o del tutto illecite dalle organizzazioni criminali, come Cosa nostra in Sicilia, la 'ndrangheta in Calabria, la Sacra corona unita in Puglia o la camorra napoletana, incaricate della raccolta, lo stoccaggio e il riciclaggio. 6,7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali che ogni anno spariscono nel nulla grazie al collaudato sistema del "giro di bolla", la contraffazione delle certificazioni di provenienza necessarie al trasporto.
Da ormai 15 anni, la Campania è il crocevia dello smaltimento dei rifiuti provenienti da ogni regione, affare che ha fruttato, e frutta, enormi guadagni alla camorra ma anche alle altre organizzazioni criminali e ai cosiddetti criminali dal colletto bianco: amministratori, chimici analisti, impiegati. Hanno escogitato un trucco molto semplice, chiamato in gergo "giro di bolla", che consiste nel falsificare il modulo di identificazione dei rifiuti, il Mud; formalmente sversano in discariche lecite, ma in realtà gettano i rifiuti in cave, fiumi e laghi. Solo nel casertano sono state sequestrate qualcosa come 1.000 discariche abusive. Ma c'è anche chi si è sbarazzato di autentiche bombe gettandole nelle discariche autorizzate per lo stoccaggio dei rifiuti solidi urbani oppure in mare.
Secondo il Rapporto Ecomafia di Legambiente, la gestione dei rifiuti pericolosi in Italia frutta 2 miliardi e mezzo di euro all'anno.
Fin dai primi anni novanta una vera e propria holding composta da imprenditori, clan criminali, soggetti affiliati a logge massoniche e politici corrotti, ha gestito il trasporto dal Centro-Nord verso il Mezzogiorno di rifiuti industriali e urbani. Da Lombardia, Piemonte ma anche Toscana verso la Campania ma con propaggini significative nel Lazio, in Calabria, Basilicata e Puglia, Tir carichi di rifiuti finivano il loro tragitto presso discariche non autorizzate a riceverli e, soprattutto, cave abusive, terreni scavati per l'occasione, riempiti di immondizia e ricoperti, aree dell'entroterra disabitate.
Una grossa fetta del traffico di rifiuti provenienti dal Nord è destinato anche alla provincia di Matera, che presenta un territorio particolarmente idoneo a questo tipo di attività in quanto scarsamente abitato e con numerose vie d'accesso. A Scanzano Jonico il generale piduista Carlo Jean, Commissario delegato per la messa in sicurezza dei materiali nucleari, nominato dal governo Berlusconi, voleva stoccare i rifiuti nucleari. In base al "Documento sui traffici illeciti e le ecomafie", approvato dalla Commissione parlamentare nell'ottobre del 2000, e ad alcune inchieste in corso presso le Procure di Asti e Roma, emerge che la maggior parte dei rifiuti tossici provenienti dall'Italia finirebbe in Somalia e Mozambico, vera e propria discarica mondiale.
Le istituzioni fascistizzate hanno fatto la loro parte, come il commissariato straordinario ai rifiuti della Campania, guidato prima dal fascista di AN Rastrelli, poi dal diessino operaista pentito Bassolino e Catenacci, oggi da Bertolaso, che in quindici anni ha regalato 1 miliardo di euro alla multinazionale Fibe, consorzio capeggiato dall'Impregilo di Cesare Romiti, e alle aziende private che operano nel settore, in maggioranza in odore di camorra, che lucrano sull'emergenza, tanto che la Campania oggi è la discarica a cielo aperto più grande del mondo, con 300 mila balle di rifiuti indifferenziati da smaltire e due vaste aree della provincia nord di Napoli che gli epidemiologi hanno chiamato "triangoli della morte", per l'altissima incidenza di tumori.
C'è poi da considerare la politica neoliberista dell'Unione europea (Ue) che non ha certo migliorato la situazione del Mezzogiorno, in particolare ha penalizzato l'agricoltura, da tempo ridotta a poca cosa, pur avendo il Mezzogiorno il 46% della superficie agraria e forestale d'Italia. Dopo quella edilizia la spaventosa devastazione ambientale dell'infinita emergenza rifiuti sta facendo il resto, stroncando alla radice una delle zone più fertili della Campania, l'agro-aversano e l'agro-nocerino-sarnese. Si ammalano gli animali negli allevamenti, chiudono fabbriche di trasformazione di prodotti agricoli, interi territori vengono svenduti a quattro soldi alla camorra che ne fa discariche o ci costruisce sopra i centri commerciali.
Secondo quanto emerge dal libro-inchiesta "Gomorra": "I Di Lauro hanno costruito una impresa multilevel a Scampia, fatta di promotori, finanziatori, faccendieri addetti a trattare ed acquisire le partite di droga, confezionatori, ed addetti al controllo ed alla difesa legale dei magazzinieri e degli spacciatori, capipiazza, pali e spacciatori semplici, con profitti pari al 500% dell'investimento iniziale, profitti paragonabili ad una finanziaria, un'organizzazione militare di 300 persone a stipendio fisso, con parco macchine e moto e strutture d'emergenza per i killer, una rete di fabbri, di abbigliatori dei killer, che garantiva addirittura l'allenamento ai poligoni di tiro.
La famiglia mafiosa dei Nuvoletta, alleati dei corleonesi, ha inventato una sorta di azionariato diffuso della cocaina, gente comune poteva investire i propri risparmi sulle partite di coca, così hanno fatto dei barbieri e dei centri abbronzanti i nuovi dettaglianti della coca. I proventi vengono reinvestiti nell'acquisto di appartamenti, alberghi, quote di società di servizi, scuole private e persino gallerie d'arte, società edili che ricevevano appalti in mezza Italia, fino a Tenerife. La Valent dei Di Lauro operava oltre che nel tessile, nel commercio di immobili, dalle confezioni al commercio delle carni ed alla distribuzione delle acque minerali, forniva pasti a strutture pubbliche e private, e provvedeva alla macellazione delle carni di qualsiasi specie, attività alberghiere, catene di ristorazione, ristoranti e tempo libero, costruzione di fabbricati, centri commerciali e civili abitazioni. La licenza commerciale fu rilasciata dal comune di Napoli nel 1993, quando la società era amministrata da Cosimo Di Lauro".
La camorra lavora per conto di multinazionali nostrane ed estere. La Parmalat e i Casalesi si erano messi d'accordo affinché nelle province di Napoli e Caserta venissero venduti solo i loro prodotti alimentari. E così avviene per il pane e l'acqua minerale dei supermercati, la carne e il pesce dei ristoranti, una buona fetta dei prodotti che si vendono nelle grandi catene di supermercati e persino i prodotti High Tech. Si calcola che a Napoli il 50% dei negozi è eterodiretto della camorra.
Nel settore tessile "Il sistema" di Secondigliano, e il suo Direttorio, imprenditori e boss delle famiglie Licciardi, Contini, Maliardo, Lo Russo, Bocchetti, Stabile, Prestieri, Bosti, Sarno, Di Lauro, governa ormai tutta la filiera dei tessuti. I clan hanno creato interi indotti industriali di produzione tessile e di lavorazione di scarpe e pelletteria in grado di produrre vestiti, giacche scarpe e camicie identiche a quelle delle grandi case di moda italiane, le stesse maestranze che lavorano in nero per le griffe venivano usate dai clan, che avevano anche a disposizione i marchi delle grandi firme, creando una rete commerciale diffusa in tutto il mondo, in grado di acquistare intere filiere di negozi e centri commerciali in Italia, Germania, Spagna, Portogallo, Austria, Inghilterra, Irlanda, Olanda, Finlandia, Danimarca, Serbia, Canada, Stati Uniti (monopolio in Florida), fino all'Australia, al Brasile, Arabia Saudita, Maghreb, con i loro centri di smistamento di uomini e merci ed un esercito di agenti commerciali. Dominano il mercato dell'abbigliamento internazionale, in concorrenza continua con la mafia cinese, che in alcune aree del Meridione sta allargando i suoi monopoli.
Mafie, devoluzione federalista e privatizzazioni vanno in perfetta sintonia. Con la svendita dei servizi pubblici le aziende mafiose possono impossessarsi direttamente di servizi essenziali per la popolazione, come quello idrico e sanitario, e la legge Lanzillotta, che obbliga i Comuni a cedere ai privati le ex-municipalizzate, è una manna dal cielo per i grandi monopoli privati e di natura mafiosa. La mafia si è infiltrata così anche nei servizi pubblici essenziali. Grazie ad Antonio Bassolino che, vaneggiando uno sviluppo della città di Napoli e della regione legato al turismo e al terziario, ha avviato un processo di privatizzazioni a tappeto, dall'aeroporto di Capodichino, ai cimiteri, ai servizi mortuari, ai trasporti metropolitani, fino all'Asia e l'intero ciclo dei rifiuti. Grazie ai governanti siciliani, che nel 1997 hanno deciso di privatizzare l'Ente siciliano di promozione industriale (Espi), l'Azienda asfalti siciliana (Azasi) e l'Ente minerario siciliano (Ems) e le 55 società da esse controllate. Grazie alle direttive imposte dall'Ue, che, in nome della libera concorrenza e del divieto di aiuti da parte dello Stato, hanno provocato la dismissione delle industrie pubbliche di servizi come il trasporto marittimo che cedono di giorno in giorno il passo al monopolio dei grandi armatori privati.
Per non parlare delle infiltrazioni nelle "forze dell'ordine": numerose sono le inchieste che hanno riguardato la collusione con la camorra dell'ex capo della mobile ed ex questore di Napoli Franco Malvano, candidato sindaco a Napoli per Forza Italia. Mentre è accertato che alla scorta dell'ex presidente Francesco Cossiga c'era Gaetano Conte, ex carabiniere in servizio a Roma, arrestato per narcotraffico ed affiliato ai Di Lauro. La camorra anche in questo settore ne ha fatta di strada, tanto che oggi l'"ordine pubblico" a Napoli e provincia è stato privatizzato ed è nelle mani dei clan: la International security service, che gestisce il 90% della movimentazione di denaro delle banche e il 30% della vigilanza armata in servizi, uffici, sedi istituzionali (compreso il consiglio regionale) e in private abitazioni è di proprietà della famiglia Buglione di Saviano, famiglia che è in società al 33% con l'attuale assessore alla sicurezza, traffico e rifiuti del comune di Napoli, Gennaro Mola (DS).

La piattaforma del PMLI contro la camorra e le mafie
Per i marxisti-leninisti italiani la lotta alla cosche camorristiche e mafiose è parte integrante della battaglia per il lavoro, lo sviluppo e l'industrializzazione dell'intero Mezzogiorno. Poiché solo così possiamo contrastare la camorra e le mafie e affrontare veramente l'ultracentenaria questione meridionale, mai risolta dai governanti sia della destra che della "sinistra" borghese che si sono succeduti dall'Unità d'Italia ad oggi. Essi hanno finto di risolverla con la militarizzazione del territorio, con l'oppressione delle masse e la fascistizzazione della società.
Del caso di Napoli si sta facendo un gran parlare, dal presidente della Repubblica, il rinnegato Giorgio Napolitano, fino all'arcivescovo Crescenzio Sepe, che cerca di approfittare del malessere sociale per ridare un ruolo politico centrale alla chiesa; e tuttavia niente di concreto si fa per ostacolare i grandi interessi e scovare i "santuari" economici delle forze camorristiche e mafiose.
Per colpire la testa della camorra e delle mafie non servono i "Piani per la sicurezza" di Amato o l'esercito in strada. Queste misure sono e rimangono provvedimenti liberticidi che si ritorcono contro le masse, mentre si fanno contenti i fascisti. In questo senso ci appare scandalosa la posizione del PRC e del PdCI che coprono a "sinistra" Prodi e vogliono ricondurre i movimenti anticamorra e antimafiosi nell'alveo delle istituzioni e della difesa della "legalità'' borghese.
Per il PMLI, ci vogliono veri e propri piani di intervento straordinari economici e sociali per il Mezzogiorno d'Italia, in modo da poter iniziare a risollevare questa parte del nostro Paese dalla povertà dilagante, dal degrado sociale, ambientale e urbanistico, e da potere prosciugare l'acqua in cui nuota la criminalità. Questi piani, tra l'altro, devono prevedere il risanamento e la riqualificazione delle periferie urbane, specie di Napoli e Palermo.
In questo quadro, il PMLI considera la lotta contro la precarietà una delle priorità. Appoggia perciò con forza il movimento che ha promosso la grande manifestazione nazionale tenutasi il 4 novembre scorso. Appoggia le rivendicazioni per l'abrogazione della legge 30 e del "pacchetto Treu", per una modifica complessiva della legislazione del lavoro che ponga al centro il posto a tempo indeterminato. Si impone inoltre un potenziamento e un aumento delle ispezioni nei luoghi di lavoro per verificarne le regolarità.
Occorre fermare la spaventosa ecatombe di posti di lavoro, la desertificazione industriale e la disoccupazione di massa che oramai ha raggiunto la vetta del 30%, creando così le condizioni favorevoli al reclutamento e all'espansione dell'esercito armato delle holding criminali, che in combutta con i governanti locali e nazionali si spartiscono il territorio per arricchirsi a discapito della stragrande maggioranza delle popolazioni meridionali.
In questo contesto avversiamo ogni federalismo, sostenuto sia dal "centro-destra" sia dal "centro-sinistra", la privatizzazione della sanità, delle pensioni, dei trasporti, delle risorse idriche, dello smaltimento dei rifiuti, l'attacco al diritto allo studio, la svendita scellerata dei beni pubblici, i condoni edilizi, le leggi che favoriscono i capitali "sporchi" e chi si è macchiato di crimini come le ruberie e le tangenti attuate dai politici delle cosche partitiche della destra e della "sinistra" borghesi, le controriforme costituzionali che spezzettano l'Italia e accentuano il divario economico e sociale tra Nord e Sud, sono tutti elementi che favoriscono la criminalità organizzata.
Il Mezzogiorno ha assoluto e urgente bisogno di una struttura economica simile a quella che possiedono il Centro e il Nord, e di lavoro stabile, a salario pieno e tutelato sindacalmente, secondo le condizioni sancite nei contratti di lavoro e senza alcuna deroga, per tutti i disoccupati, anche ridurre sensibilmente l'accesso di disperati negli eserciti della camorra e delle mafie.
Reprimere la manovalanza camorrista e mafiosa è assolutamente necessario. Ma se non si smantellano i "santuari" camorristi e mafiosi saremo sempre punto e accapo, inevitabilmente si ricreeranno gli eserciti criminali armati. Perciò nella piattaforma del PMLI riguardante specificamente la camorra e le mafie mettiamo al primo posto la caccia ai camorristi e ai mafiosi che si annidano nelle istituzioni e nei vertici delle organizzazioni economiche, finanziarie e imprenditoriali. E subito dopo mettiamo la requisizione dei loro beni dandone la gestione ad organismi eletti dalle masse locali. Ciò comporta, tra l'altro, rivendicare il rafforzamento della legislazione antimafia, abrogando peraltro le norme varate dall'ex governo Berlusconi e dall'attuale governo Prodi che in più parti l'hanno indebolita, a partire dalle norme sulla giustizia.
Inoltre occorre: stroncare i traffici internazionali di armi, droghe e rifiuti; rivedere il reato di voto di scambio e la normativa sui comuni sciolti per mafia; estendere ai reati di corruzione la legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati; riformare la normativa in materia di appalti, sub-appalti ed opere pubbliche, abolendo la legge obiettivo e rafforzando il controllo sull'aggiudicazione dei lavori ai cantieri; riportare sotto la gestione pubblica il servizio di raccolta dei rifiuti e l'intero ciclo dei rifiuti, punire con la galera i proprietari e i direttivi delle aziende che smaltiscono illegalmente i rifiuti; estirpare il lavoro nero, il capolarato, la tratta di esseri umani e la prostituzione; legalizzare la produzione, la distribuzione e il consumo dei derivati di canapa indiana.
Occorre che i sindacati si impegnino a combattere con fermezza e con coerenza il lavoro nero, rivendicando adeguati strumenti legislativi e il potenziamento dei controlli ispettivi.
Occorre infine sostenere i magistrati impegnati in prima fila nella lotta alla camorra e alle mafie, affinché non siano condizionati e contrastati dagli amministratori pubblici e dai governanti conniventi con la camorra e le mafie, e occorre sostenere le richieste delle Procure distrettuali antimafia per disporre di fondi e mezzi adeguati per svolgere la loro attività investigativa e repressiva della criminalità organizzata.

Il fronte unito contro la camorra e le mafie
Sulla base dell'analisi e del quadro sopra esposti i marxisti-leninisti italiani invitano tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali, religiose democratiche che realmente hanno l'intenzione di liberare il Mezzogiorno dalla camorra e dalle mafie a formare assieme al PMLI un vasto fronte unito contro la camorra e le mafie.
Noi faremo del nostro meglio perché esso si realizzi, lasciando fuori ogni divergenza di carattere ideologico, strategico, religioso o filosofico. L'unità si deve realizzare sulla base di una piattaforma politica comune, su un piano di uguaglianza nei diritti e nei doveri, nel pieno rispetto delle rispettive convinzioni ideologiche e dottrinarie.
Il fronte unito anticamorra e antimafioso, che può essere articolato nelle regioni e nelle città, deve avere un carattere di massa e nazionale, perché se è vero che la camorra e le mafie agiscono nel Mezzogiorno, è altrettanto vero che i loro tentacoli avvinghiano l'intera Penisola.
Così uniti e assieme possiamo riportare delle importanti vittorie sulla camorra e le mafie, anche se non potremo estirparle del tutto. Il che potrà avvenire solo cambiando economia e classe dominante, cioè abolendo il capitalismo, il suo Stato e il potere borghese e instaurando il socialismo, il suo Stato e il potere del proletariato. Ma ciò fa parte di un altro discorso, che può non interessare, e senz'altro non interessa, tutti i potenziali componenti di tale fronte unito. Vale comunque il nostro appello: Uniamoci nella lotta contro la camorra e le mafie, per il lavoro, lo sviluppo e l'industrializzazione del Mezzogiorno.

L'Ufficio politico del PMLI

Firenze, 1° dicembre 2006