Nelle considerazioni finali del rapporto annuale
Draghi sprona il governo a proseguire nella politica economica di lacrime e sangue
Il governatore di Bankitalia chiede di elevare l'età pensionabile, di revisionare i coefficienti e di spostare contributi dalla previdenza pubblica a quella privata
Nessuna meraviglia da parte nostra sulle considerazioni finali del governatore, Mario Draghi, tenute all'assemblea annuale di Bankitalia il 31 maggio davanti al Gotha dell'imprenditoria e della finanza, ai rappresentanti del governo Prodi, al leader dei due schieramenti politici borghesi e dei sindacati confederali. Delle considerazioni di carattere economico e monetario, ma anche politico finalizzate a spronare il governo Prodi a proseguire nella politica liberista di lacrime e sangue, a sollecitare il grande capitale ad attrezzarsi per competere in campo internazionale. Delle considerazioni che non solo ignora completamente i problemi e le esigenze dei lavoratori, dei pensionati e delle masse popolari in genere ma addirittura chiede loro ulteriori pesanti sacrifici e rinunce in nome della "patria" capitalista. All'insegna del "siamo tutti nella stessa barca" afferma che "ognuno deve agire nel rispetto del proprio ruolo", e all'insegna del ce la faremo "se tutti noi ciascuno nel suo ruolo... sapremo ritrovare quel sentire il bene comune".
Nessuna meraviglia, dicevamo, perché lo avevamo già sentito nel primo anno di incarico profferire un rapporto che chiedeva tagli drastici alla spesa pubblica, il ridimensionamento del pubblico impiego, la "riforma" peggiorativa delle pensioni, le liberalizzazioni e privatizzazioni a piene mani, alleggerimento del peso fiscale alle imprese per permettere loro di aumentare gli investimenti e competitività. La ricetta spiattellata da Draghi nelle sue 21 pagine lette in assemblea ricalca interamente questa linea: tagliare la spesa pubblica, diminuire la pressione fiscale, incentivare gli investimenti. Il governatore in premessa sottolinea un miglioramento dei dati macroeconomici: aumento del Pil (prodotto interno lordo), aumento degli investimenti, aumento delle esportazioni, aumento delle entrate fiscali, riduzione del debito statale. Ma a suo dire, essendo inferiore ad altri paesi europei come la Germania, la Francia, l'Inghilterra, questa crescita non basta. Bisogna proseguire, fa capire, nelle "riforme" dell'assetto del capitalismo e di politica economica. In questo ambito dà conto della ristrutturazione attuata in Bankitalia, con chiusura di uffici e tagli di posti di lavoro, che ha suscitato forti proteste sindacali. Elogia le fusioni messe in essere tra le grandi banche Unicredito-Capitalia e Intesa-San Paolo che "erano al settimo e al diciottesimo posto nella graduatoria europea" e sono passate rispettivamente "al terzo e al quindicesimo posto". Incita a superare il capitalismo "familiare", ad aumentare le dimensioni delle aziende ma soprattutto a liberalizzare e privatizzare tutto il possibile energia, servizi e altro ancora.
Non è citato per nome e cognome, ma c'è un invito pressante al governo Prodi ad abbattere con continuità il debito pubblico perché "abbiamo smesso di accumulare debito - ha detto Draghi - ma non abbiamo iniziato a ridurlo". Occorre abbattere la spesa corrente e il debito primario, ripete a martello. Come? Guarda caso, riducendo le prestazioni pensionistiche. Come? Elevando l'età pensionabile, riducendo i coefficienti di calcolo della pensione, e in aggiunta trasferendo una parte dei contributi dalla previdenza pubblica a quella privata. A Draghi non basta lo scippo del Tfr dei lavoratori a favore dei fondi pensione integrativi, vuole anche un passaggio di danaro dall'Inps alle società finanziarie per stimolare le pensioni private. Tutto questo, sostiene il governatore, può essere fatto applicando le disposizioni contenute nella "riforma" Dini del 1995. Poco importa se essa ha ridotto gli importi pensionistici di oltre il 30%, se la trasformazione del sistema retributivo in quello contributivo ha reso quasi impossibile la maturazione di una pensione dignitosa per le nuove generazioni. Nulla dice il governatore sul fatto che in Italia 7 milioni di pensionati non arrivano ai 500 euro mensili.
Ridurre la spesa pubblica, in primis quella previdenziale, ma non solo, per ridurre le tasse considerando che la pressione fiscale è "al livello più alto della media europea". Quella suggerita da Draghi e la stessa linea liberista messa in essere nel passato negli Usa di Bush e in altri paesi europei con risultati disastrosi per le masse popolari, favorendo i ricchi e che sono diventati più ricchi e penalizzando i poveri che sono diventati più poveri. No, i servizi pubblici, l'assistenza sociale non vanno né compressi né privatizzati. L'imposizione fiscale, certo, va alleggerita ma ai lavoratori e ai pensionati a reddito medio-basso non certo ai capitalisti che, in gran massa evadono e godono di regimi di favore, per esempio sulle rendite finanziarie e immobiliari. Basti dire che dal '93 ad oggi almeno cinque punti di reddito nazionale sono passati dal lavoro al capitale. Colpire la grande evasione e elusione fiscale e contributiva e insieme colpire il lavoro "nero": questa dovrebbe essere la strada da battere.
Logico che le considerazioni di Draghi siano piaciute a industriali e banchieri. Per il presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo è "Perfetta, sia nell'analisi, sia nei suggerimenti". Apprezzamenti dello stesso tenore sono stati espressi dal presidente del gruppo San Paolo-Intesa, Giovanni Bazoli, dal presidente di Mediobanca, Gabriele Galateri di Genola, dall'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, da Tronchetti Provera presidente della Pirelli e da Confalonieri presidente Mediaset. Entusiasta anche Prodi che nelle parole del governatore di Bankitalia trova una conferma della politica economica e sociale che sta portando avanti, anche in quei tavoli concertativi aperti di recente con le "parti sociali". Altro che discorso superpartes, discorso strettamente tecnico, come a dire indiscutibile!
Ambigue e assolutamente non all'altezza della situazione le dichiarazioni dei segretari di Cgil, Cisl e Uil Epifani, Bonanni e Angeletti i quali hanno apprezzato il discorso del governatore nel complesso obiettando, per la verità con poca convinzione, solo sul tema della previdenza. Di fronte all'offensiva sempre più pesante e pericolosa portata avanti dal governo e da Confindustria e ora da Bankitalia su pensioni e politica economica, invece di farfugliare dei distinguo dovrebbero proclamare lo sciopero generale, come chiedono sempre di più i lavoratori dalle fabbriche.

13 giugno 2007