Dopo due settimane di dure lotte e respingendo le aggressioni violente della reazione governativa e dei suoi agenti
Il popolo egiziano rimane in piazza per le dimissioni di Mubarak
Musulmani e cristiani copti uniti in piazza contro il presidente dell'Egitto. Il vicepresidente tratta con l'opposizione ma i Fratelli Musulmani non sono soddisfatti

Il vicepresidente egiziano Omar Suleiman, dopo una riunione col presidente Hosni Mubarak, ha affermato l'8 febbraio che "è stato messo in atto un chiaro programma con un'agenda di scadenze per realizzare un passaggio di poteri pacifico ed organizzato" che ha come traguardo le elezioni presidenziali del prossimo settembre alle quali Mubarak ha annunciato di non ripresentarsi. Un piano che non piace al popolo egiziano, determinato a rimanere in piazza per le dimissioni del presidente. Secondo le opposizioni nella centrale piazza Tahrir, al Cairo, si sono radunate l'8 febbraio più di un milione di dimostranti e altrettanti sono attesi per la manifestazione programmata per l'11 febbraio.
In ogni caso i manifestanti non lasceranno piazza Tahrir fino alla cacciata di Mubarak, hanno riempito la piazza ogni giorno e hanno difeso in massa il presidio della piazza assaltato da sostenitori del presidente il 2 febbraio.
Il vicepresidente Suleiman aveva annunciato che né Mubarak, né il figlio Gamal, l'erede designato, né lui stesso si candideranno alle presidenziali anticipate probabilmente a agosto e aveva chiesto ai manisfestanti "di lasciare piazza Tahrir perché le loro domande sono state accolte", tranne quella delle dimissioni del presidente definita una "incitazione al caos". "Continueremo l'Intifada popolare fino alla partenza di Mubarak", gli rispondeva il neoeletto segretario del Comitato politico dell'opposizione unita, Abu Al Izz Al Hariri, mentre i manifestanti respingevano in una vera e propria battaglia a colpi di sassi l'assalto dei sostenitori di Mubarak in piazza Tahrir; l'esercito stava a guardare. Secondo il bilancio fornito dal ministero della Sanità ci sarebbero stati tre morti e oltre 1.500 feriti.
Le bande governative si scagliavano anche contro i giornalisti e gli operatori delle televisioni che documentavano l'aggressione, tanto da sollevare una protesta ufficiale dell'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani che il 4 febbraio chiedeva alle autorità egiziane la liberazione "immediata e senza condizioni" di tutti i giornalisti e difensori dei diritti umani arrestati per aver esercitato la propria professione, denunciando le violenze, gli atti intimidatori e le misure di detenzione contro "dozzine" di giornalisti, in un "tentativo manifesto di soffocare le notizie su quanto sta accadendo in Egitto". In risposta, il giorno successivo, i servizi di sicurezza egiziani arrestavano il direttore della sede di Al Jazira al Cairo e un giornalista dell'emittente.
Il 4 febbraio piazza Tahrir è di nuovo piena, secondo fonti giornalistiche ci sono di nuovo due milioni di dimostranti, e un altro milione a Alessandria, a manifestare contro il governo e per le dimissioni di Mubarak, una protesta che vede uniti musulmani e cristiani copti; soprattutto i giovani e le donne, lavoratori e professionisti. Rappresentati dal Comitato che raccoglie i movimenti di opposizione e che ha rifiutato le aperture al dialogo del governo e ha rimandato qualsiasi negoziato al dopo-Mubarak; il percorso rivendicato dalle opposizioni, dopo la partenza di Mubarak e lo scioglimento del Parlamento, prevede la formazione di un governo di unità nazionale, il voto per il parlamento, la riforma della Costituzione e nuove elezioni presidenziali.
Il premier Ahmed Shafiq ha giudicato "inaccettabile" la richiesta di dimissioni del presidente ma le opposizioni sono state chiare a partire dalla principale forza, quella dei Fratelli musulmani.
"Siamo per il dialogo con chiunque voglia condurre riforme nel paese, dopo la partenza di questo ingiusto, corrotto tiranno", dichiarava la guida dell'organizzazione islamica, Mohamed Badie, riferendosi al capo dello Stato.
E sottolineava che la priorità deve essere l'organizzazione di nuove elezioni legislative, rimandando a una data successiva i negoziati sulla successione del presidente. Anche la coalizione nazionale per il Cambiamento di Mohamed El Baradei confermava di non voler intraprendere alcun dialogo con il governo fino a quando Mubarak rimarrà alla guida del Paese, "solo quando lascerà, siamo pronti a dialogare con il vicepresidente Suleiman" sosteneva il portavoce Mohammed Aboul Ghar.
Un forte sostegno alla rivolta del popolo egiziano era ribadito il 4 febbraio dalla Guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, che da Teheran si rivolgeva direttamente al popolo egiziano esortandolo a rovesciare Mubarak che ha "lavorato con gli Usa e è stato il più grande protettore del regime sionista". "Non fatevi ingannare - affermava - dalle manovre politiche degli Usa, che oggi, dopo aver sostenuto Mubarak per 30 anni parlano di diritti del popolo e cercano di rimpiazzarlo con un altro dei loro agenti. Non accettate niente di meno di un regime indipendente che creda nell'Islam". Khamenei sosteneva inoltre che il movimento in atto nel Nordafrica e in Medio Oriente è un vero "terremoto" che provocherà "un danno irreparabile agli Stati Uniti" e "cambierà gli equilibri della regione".
Il presidente Mubarak "non lascerà il Paese", come ha dovuto fare il dittatore tunisino Ben Ali, ribadiva il vicepresidente Suleiman, che il 4 febbraio aveva avuto un colloquio col segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e col vicepresidente Joe Biden, preoccupati di velocizzare la "transizione ordinata" auspicata da Obama. "Lo status quo semplicemente non è sostenibile", ha sottolineato il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, il 5 febbraio alla conferenza internazionale sulla sicurezza a Monaco di Baviera. L'imperialismo americano ha fretta di trovare una soluzione per non perdere il controllo dell'Egitto, il pilastro che gli garantisce il mantenimento dello status quo nella regione costruito a partire dalla pace con Israele. Teme che non funzioni neanche il progetto che prevede che il vicepresidente Suleiman possa, in base alla costituzione, assumere i poteri presidenziali e lasciare solo la carica formale a Mubarak fino alla scadenza del mandato. Il fatto è che la "transizione ordinata" è quella desiderata dai paesi imperialisti preoccupati di non perdere il controllo dell'Egitto ma cozza contro la realtà delle piazze in rivolta.

9 febbraio 2011