Con Ciampi eletto dal ``centro sinistra'' e dal Polo

L'ALTA FINANZA E LA MASSONERIA CONQUISTANO IL QUIRINALE

Sotto la garanzia dell'ex avanguardista, azionista e ufficiale dell'esercito mussoliniano ripartirà la controriforma costituzionale sulla base di un accordo tra D'Alema e Berlusconi
Carlo Azeglio Ciampi è stato eletto alla presidenza della Repubblica giovedì 13 maggio dalle Camere riunite alla prima votazione. Il 10· capo dello Stato è stato eletto con 707 voti su 990 presenti, 33 in più rispetto al quorum dei due terzi richiesto per le prime tre votazioni, ma molti meno degli 892 voti potenziali di cui disponeva sulla carta. Hanno votato a favore, in base a un accordo preventivo tra "centro sinistra" e Polo, tutti i grandi elettori della maggioranza e dell'opposizione, tranne la Lega, che ha votato Gasperini, e Rifondazione che ha votato Ingrao.
La candidatura di Ciampi, fin dall'inizio uno dei favoriti alla corsa per il Quirinale, ha preso definitivamente quota il giorno prima dell'inizio delle votazioni, dopo un accordo risolutore tra il "mediatore" incaricato dalla maggioranza, D'Alema, e il leader del Polo, Berlusconi; accordo che ha messo nell'angolo il leader del PPI Marini e stroncato la sua ambizione di imporre un popolare come unico candidato del "centro sinistra". Invano Marini, che accusa D'Alema di averlo "tradito" e giura di fargliela pagare, ha tentato di tenere duro prima sulla candidatura di Rosa Russo Jervolino, e all'ultimo tuffo lanciando la candidatura del presidente del Senato Mancino (da lui stesso peraltro rifiutata). Contro il segretario del PPI hanno pesato in maniera schiacciante la decisa opposizione di Fini alla Jervolino, da una parte, e il sostegno inflessibile alla candidatura Ciampi da parte di Veltroni e degli altri leader della maggioranza, nonché dei Democratici di Prodi e Di Pietro. Senza contare che perfino la Lega e Rifondazione non nascondevano di essere pronte a votare Ciampi, sia pure non ai primi tre turni. Alla fine a Marini non è rimasto che capitolare e allinearsi sia pure a malincuore alla maggioranza plebiscitaria che poi ha eletto l'ex ministro del Tesoro come successore di Scalfaro.
Ad eccezione del PPI, uscito malconcio da questa vicenda, l'intero arco parlamentare ha salutato perciò l'elezione di Ciampi e il modo fulminante e plebiscitario in cui è avvenuta come una "grande vittoria" per il Paese e per la politica italiana, considerando anche che siamo un paese in guerra, anche se non dichiarata, e che si voleva dare un segnale rassicurante agli alleati della Nato e della Ue. A mettere per primo il cappello sulla nuova poltrona di Ciampi è stato naturalmente il rinnegato D'Alema, il principale artefice della sua elezione, per il quale essa non ha visto "né vincitori né vinti": "Abbiamo vinto tutti, abbiamo avuto la forza di convergere su una personalità che è apparsa a tutti degna, persino a quelli che non l'hanno votata", ha detto il presidente del Consiglio con chiaro riferimento a Bossi, ma soprattutto a Bertinotti, che difatti non solo si è levato in piedi ad applaudire come tutti all'annuncio dell'elezione di Ciampi, ma ha anche dichiarato in diverse occasioni di giudicare Ciampi una "degna persona", pur non approvando il quadro politico della sua elezione, rammaricandosi anzi di essere stato costretto per questo a non votarlo al primo turno. Niente di strano, dal momento che Bertinotti era stato il primo in assoluto a proporre la candidatura di Ciampi per il Quirinale quando i giochi tra le cosche parlamentari erano ancora ai preliminari.
Tra i più entusiasti per la sua elezione Veltroni, Manconi, Prodi e il neofascista e aspirante presidente eletto dal "popolo", Di Pietro, per il quale Ciampi è un uomo "al di fuori dei partiti" e "un garante delle riforme". Anche nel Polo neofascista si è brindato all'elezione di un "rappresentante di tutti gli italiani", un "bipolarista convinto che ha espresso apprezzamento per il maggioritario e non si è mai detto contro il presidenzialismo" (Fini), mentre Berlusconi si è dichiarato "soddisfattissimo, come dopo un en plein", perché all'elezione di Ciampi si è aggiunta anche la nomina al Tesoro di Amato, ex consigliere di Craxi e uomo assai gradito al Polo.


UN "CURRICULUM IMPECCABILE"


Entusiastiche anche le dichiarazioni e i commenti provenienti dall'interno e dall'estero: uno dei primi a congratularsi per l'elezione di Ciampi alla massima carica dello Stato italiano è stato il capofila dell'imperialismo occidentale, Clinton, in una telefonata a D'Alema. Calorose felicitazioni sono state espresse dal Fondo monetario internazionale, nel quale Ciampi aveva assunto dall'ottobre scorso la carica di presidente dell'Interim committee, organismo riservato ai soli ministri economici in carica dei governi aderenti.
Grandi elogi per il suo "curriculum impeccabile" gli sono stati rivolti dal Sir (bollettino della Conferenza episcopale italiana), da l'<ft2cor>Avvenire, portavoce dei vescovi italiani (parlare di lui come "cattolico o laico è uno spartiacque anacronistico"), dalla Radio vaticana, che ha messo in risalto "la sua educazione cattolica e la sua formazione umanistica", dal cardinale Ruini a nome della Cei, e dallo stesso Wojtyla, che gli ha inviato un messaggio personale di auguri. Entusiaste la massoneria e la Confindustria. Il capofila dei capitalisti italiani, Agnelli, si è detto orgoglioso di averlo votato e lo ha definito "l'uomo migliore, scelto nel modo migliore per essere eletto nel modo più giusto". Il suo caloroso plauso si è esteso anche a D'Alema e Berlusconi, artefici dell'accordo che ha permesso l'elezione di Ciampi al primo tentativo: essi, ha dichiarato l'"avvocato"in un'intervista a la Repubblica, "sono stati formidabili. Scherzando, ma non troppo, una persona mi diceva poco fa: quei due ce li terremo per i prossimi dieci anni".
Dunque con l'elezione di Ciampi si può ben dire che l'alta finanza e la massoneria hanno conquistato il Quirinale. Con Ciampi la borghesia monopolistica italiana, l'imperialismo occidentale, la massoneria e i presidenzialisti si sono assicurati un loro perfetto campione al massimo vertice delle istituzioni, e che non dispiace neanche alle gerarchie vaticane. Egli infatti è l'uomo che ha realizzato l'integrazione dei sindacati collaborazionisti nel regime capitalista e neofascista della seconda repubblica, che ha pilotato l'ingresso dell'Italia nell'economia dell'Euro e nell'Unione europea imperialista e che ora farà da "garante" tra la destra e la "sinistra" del regime neofascista per il completamento della controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione.
La sua stessa biografia contiene in fondo tutti gli elementi del ruolo politico che è stato chiamato a ricoprire. Nato a Livorno nel 1920 da una famiglia della buona borghesia, cattolico osservante, scolaro modello alle scuole dei gesuiti, è stato giovane balilla e avanguardista. Nel '36-37, affascinato dalla vita militare tentò di passare l'esame di ammissione all'accademia navale per intraprendere la carriera di ammiraglio, ma fu respinto per un'affezione agli occhi. Si iscrive allora alla Normale di Pisa, facoltà di lettere classiche, retta dal filosofo del fascismo Giovanni Gentile, e qui diviene assiduo allievo e amico di Guido Calogero, ex gentiliano passato al liberalismo, che eserciterà anche in seguito una forte influenza su di lui. Nel '40, appena laureato in filologia, vince una borsa di studio e va a vivere per sei mesi nella Germania nazista, dove impara il tedesco e acquisisce il gusto per la cultura mitteleuropea di cui farà sempre sfoggio.


INTERVENTISTA, MASSONE E PRESIDENZIALISTA


Nel '41, spinto dalla non dimenticata passione per le cose militari, si arruola come sottotenente autiere dell'esercito di Mussolini in Albania. Un passato che ben si lega al suo manifesto interventismo, che data non da oggi, ma fin dai tempi del suo governo, quando assicurava gli alleati della Nato di essere pronto a partecipare a eventuali raid in Bosnia. L'8 settembre '43 lo sorprende a Roma in licenza. Ciampi si rifugia allora in Abruzzo, dal suo amico Calogero, per poi passare le linee e arruolarsi nell'esercito di Badoglio. Nel '46, tornato a Livorno, fonda il Partito d'Azione in quella città. Si sposa e su consiglio della moglie entra con un concorso in Banca d'Italia, dove va a occupare un posto di oscuro segretario nella sede di Macerata. Nel 1960 lo scopre l'allora governatore Guido Carli, che lo chiama a Roma, dove diventerà direttore. Nel 1979, nel pieno della bufera che scuote i vertici di Bankitalia e porta alle dimissioni del governatore Baffi e all'arresto del suo vice Sarcinelli per lo scandalo Sir, Ciampi, sotto la protezione di Merzagora, è eletto governatore, incarico che terrà per ben 14 anni, fino all'aprile '93 quando Scalfaro lo chiama a Palazzo Chigi.
è allora che cominciano a circolare voci su una sua affiliazione alla Massoneria. Voci confermate tra l'altro dal suo rivale Dini, direttore generale di Bankitalia sotto il suo governatorato, e dalla vedova del banchiere Calvi, che rivelò in diverse occasioni di aver appreso da suo marito che Gelli si vantava con lui di aver personalmente contribuito a far nominare Ciampi e Dini, affiliati alla P2, ai vertici dell'istituto di via Nazionale. Del resto, anche se ha sempre smentito queste voci, egli è grande amico del massone Maccanico, suo stretto collaboratore. Il suo consulente per gli affari militari, l'ex generale dei carabinieri e fondatore della Dia, Giuseppe Tavormina, fu indicato dal giudice Casson come appartenente alla P2. Non a caso il gran maestro Gustavo Raffi del Grande oriente d'Italia gli ha subito inviato entusiastiche felicitazioni per l'elezione a capo dello Stato. Ciampi appartiene a quella consorteria di stampo massonico formatasi nel Partito d'Azione e oggi esaltata da quell'innumerevoli schiere di ex azionisti che si è distribuita trasversalmente nel tempo nei partiti del regime neofascista e occupa i posti chiave del vertice statale, finanziario, economico e industriale italiano.
Come capo del governo Ciampi è autore di quel famigerato "patto sociale" del 23 luglio '93 sulla politica dei redditi che integra i sindacati nel regime neofascista e lega le mani alla classe operaia per l'intero decennio, inaugurando la feroce politica di rincorsa all'Europa di Maastricht, alle privatizzazioni e al risanamento dei conti pubblici sulla pelle dei lavoratori e delle masse popolari e a prezzo della distruzione dello "Stato sociale". Politica che proseguirà e perfezionerà anche come ministro del Tesoro nei governi Prodi e D'Alema.
Egli è considerato un rappresentante dall'alta finanza "laica", in contrapposizione a quella cattolica: non per nulla suoi grandi soste-nitori sono Agnelli, Cuccia, Romiti e De Benedetti, nonché Scalfari e il gruppo Repubblica-Espresso. E da qui anche l'avversione di Marini e di certi ex DC alla sua elezione. E tuttavia piace molto, come abbiamo visto, anche alle gerarchie vaticane, in virtù della sua educazione cattolica. Bobbio ha detto di lui che "è un laico, ma non certo un mangiapreti".


"GARANTE" DELLA CONTRORIFORMA COSTITUZIONALE


Egli è anche un presidenzialista convinto, e non dell'ultima ora: come ex azionista, infatti, è uno degli antesignani della repubblica presidenziale, fin dai tempi della Costituente, come i vari Calamandrei, La Malfa, Pacciardi, Valiani, ecc. Non per nulla è stato sponsorizzato dai presidenzialisti più incalliti della seconda repubblica, come Fini, Di Pietro, Segni. Di certo la sua elezione al Quirinale avviene scopertamente sotto il segno del rinato asse D'Alema-Berlusconi per la controriforma costituzionale e la repubblica presidenziale.
Nel disegno del capo dei rinnegati e del leader dei neofascisti, infatti, egli dovrà essere l'arbitro "super partes" della nuova stagione di trattative tra le varie fazioni del regime neofascista, dopo il fallimento della Bicamerale e la battuta d'arresto del referendum, per portare a compimento la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione. É per questo che gli si è voluto dare un'investitura plebiscitaria, quasi da presidente eletto direttamente dal "popolo". La nomina di Amato al suo posto al ministero del Tesoro è servita tra l'altro a D'Alema per riprendere direttamente nelle proprie mani l'interim per le "riforme" istituzionali, che sono un punto cardine del suo programma di governo e alle quali ha legato il suo destino politico di rinnegato.