Nella nuova enciclica "Spe salvi facti sumus" (Nella speranza siamo stati salvati) - I due paragrafi di attacco al marxismo
Il papa nero attacca il marxismo, la rivoluzione proletaria e il socialismo per scongiurare l'avvento del "paradiso" in terra
Ratzinger rilancia la fede cristiana nell'"aldilà" per lasciare il mondo in mano al capitalismo, all'imperialismo e alla borghesia

Si apre con una citazione della "Lettera di San Paolo ai Romani" la seconda Enciclica di Benedetto XVI, intitolata "Spe salvi facti sumus" ("Nella speranza siamo stati salvati"). Il documento, composto da 50 paragrafi, è stato pubblicato il 30 novembre e tradotto già in otto lingue (latino, italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese e polacco).

La storia di Bakhita: di padrone in padrone
Nelle prime pagine l'autore, girando attorno al concetto che "i senza Dio sono senza speranza", racconta la seguente storia che vale la pena analizzare con attenzione in quanto chiarisce il ruolo che la Chiesa cattolica da sempre assegna al Cristianesimo. "L'esempio di una santa del nostro tempo può in qualche misura aiutarci a capire che cosa significhi incontrare per la prima volta e realmente questo Dio", esordisce Ratzinger. "Penso all'Africana Giuseppina Bakhita, canonizzata da Papa Giovanni Paolo II. Era nata nel 1869 circa. Lei stessa non sapeva la data precisa, nel Darfur in Sudan. All'età di nove anni fu rapita da trafficanti di schiavi, picchiata a sangue e venduta cinque volte sui mercati del Sudan. Da ultimo, come schiava si ritrovò al servizio della madre e della moglie di un generale e lì ogni giorno veniva fustigata fino al sangue, in conseguenza di ciò le rimasero per tutta la vita 144 cicatrici. Infine nel 1882 fu comprata da un mercante italiano per il console italiano Callisto Legnani che, di fronte all'avanzata dei mahdisti (seguaci del Mahdi in lotta per la liberazione del paese), tornò in Italia. Qui dopo 'padroni' così terribili di cui fino a quel momento era stata proprietà, Bakhita venne a conoscere un 'padrone' totalmente diverso - nel dialetto veneziano che ora aveva imparato chiamava 'Paron' il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo. Fino ad allora aveva conosciuto solo padroni che la disprezzavano e la maltrattavano, o nel caso migliore, la consideravano una schiava utile. Ora però sentiva dire che esiste un 'paron' al di sopra di tutti i paron, il signore di tutti i signori, e che questo signore è buono, la bontà in persona... Ora lei aveva la speranza e mediante la conoscenza di questa speranza lei era 'redenta', non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio... Così - prosegue nel racconto Ratzinger - quando la si volle riportare in Sudan, Bakhita si rifiutò, non era più disposta a farsi separare dal suo 'Paron'. Il 9 gennaio 1890 fu battezzata, cresimata e ricevette la Prima Santa Comunione dalle mani del Patriarca di Venezia. L'8 dicembre 1896, a Verona pronunciò i voti nella Congregazione delle suore Canossiane e da allora, accanto ai suoi lavori nella sagrestia e nella portineria del chiostro (cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia, ecc), cercò in vari viaggi in Italia soprattutto di sollecitare alla missione".
Diverse le considerazioni da fare su questa "esemplare" parabola, innanzitutto che c'è una notizia non secondaria censurata volutamente dal papa: l'11 dicembre 1936, la schiava convertita Bakhita, insieme con un gruppo di missionarie in partenza per Addis Abeba (capitale della colonia battezzata da Mussolini "Africa Orientale Italiana") al seguito dell'esercito d'occupazione fascista, venne ricevuta dal boia Benito Mussolini nel Palazzo Venezia a Roma.
Per quanto riguarda il contenuto, Dio è inteso da Ratzinger come "il padrone di tutti i padroni". Significativo anche che, nella sequenza di eventi che contraddistinguono il mutamento di forma, non certo di sostanza, della schiavitù di Bakhita, l'unico giudizio di condanna egli lo riserva ai mercanti schiavisti del Sudan, paese guarda caso a larghissima maggioranza mussulmana, mentre con enfasi neanche tanto velata egli elogia "i paron" colonialisti nostrani (per coincidenza "padani"?), non tanto perché meno violenti nell'esercizio dello sfruttamento, quanto perché per il loro tramite Bakhita è diventata una serva modello della Chiesa post-concordataria tanto che a chi le chiedeva come stesse ella rispondeva sempre: "Come vol el Paron". Per rafforzare il messaggio non certo anti-schiavista il papa rammenta: "Sì, Paolo rimanda lo schiavo al suo padrone da cui era fuggito ma lo fa non ordinando ma pregando".

La speranza di un ritorno al Medioevo
In verità il messaggio di Ratzinger è molto più generale: le Bakhite di oggi non devono aspirare a ribellarsi alla schiavitù per arrivare ad abolirla per sempre ma accontentarsi di approdare ad uno sfruttamento meno violento, fondato sulla dipendenza economica e la violenza psicologica più che sulla coercizione fisica. Al papa non importa della loro condizione materiale, piuttosto si affanna affinché si imponga il suo modello di famiglia cattolica borghese allargata (alle "badanti straniere" non ancora convertite?), in cui sfruttati e sfruttatori, vittime e carnefici, pur rimanendo tali si chiamano "fratelli e sorelle", e condividono l'illusione di "redenzione" tramite la "fede".
Tornando alle origini, "il Cristianesimo non aveva portato un messaggio sociale rivoluzionario come quello con cui Spartaco in lotte cruente aveva fallito, Gesù non era Spartaco", ricorda correttamente, dal suo punto di vista, il papa, "Gesù non era un combattente per la liberazione politica, come Barabba o Bar Kobchca, ciò che Gesù aveva portato era qualcosa di diverso: l'incontro con il Signore di tutti i signori, l'incontro con un Dio vivente, con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù".
Il suo ragionamento in queste righe è limpido: il Cristianesimo non è altro che un efficacissimo diversivo, ed allo stesso tempo un ottimo palliativo, specie per "i ceti sociali bassi a cui prevalentemente si rivolge", per lenire le loro sofferenze, ma soprattutto per scongiurarne la ribellione armata e mantenere lo status quo nei secoli dei secoli. E', per dirla con Marx, l'oppio dei popoli.
Pertanto questo trafficante di oppio in cerca di nuovi mercati da conquistare bacchetta Lutero su questioni teologiche inerenti il modo di vivere la fede, bacchetta gli illuministi: "Bacone e gli aderenti alla corrente di pensiero dell'età moderna a lui ispirata, nel ritenere che l'uomo sarebbe stato redento mediante la scienza sbagliavano. Con tale attesa - sentenzia - si chiede troppo alla scienza e questa speranza è fallace" e infine, e qui è il nodo centrale dell'enciclica, si rammarica che "il mutamento sul piano delle idee sfociò in mutamenti politici, dei quali i maggiori furono la Rivoluzione francese, prima, e la rivoluzione proletaria, dopo". "In esse - dice con la sicumera di chi ritiene di avere già vinto - sembrava finalmente aprirsi la via per un 'regno di Dio' concreto, costruito dagli uomini. Ma le cose non andarono come i grandi ideatori illuministi avevano immaginato. L'uomo si ritrova al punto di partenza, a chiedersi ancora una volta: che cosa possiamo sperare?". "Ebbene - continua l'alacre nostalgico del Medioevo - tale ritorno al punto di partenza non è puro e semplice fallimento"; esso può costituire il motivo "per un'autocritica dell'età moderna in dialogo col Cristianesimo e con la sua concezione della speranza".

Il frettoloso de profundis per il marxismo-leninismo
Più avanti Ratzinger concede a Marx qualche riconoscimento sul piano dell'analisi e dell'azione politica ma solo per arrivare a dire che le speranze scaturite dalle "vittorie del marxismo" si sono rivelate fallaci e si sono definitivamente concluse. "Gli esempi da seguire oggi" sono per Ratzinger, oltre a S. Agostino, "i moderni istituti e movimenti religiosi dove gli uomini sono pronti a lasciare tutto per portare agli uomini la fede e l'amore di Cristo". Non sapremo mai se mentre scriveva il suo frettoloso de profundis stava pensando ai sui amici fascisti dell'Opus Dei di fresca beatificazione, come il pescecane di denaro pubblico, don Luigi Verzè, padre padrone di quella multinazionale della sofferenza sita in Milano 2 e chiamata Ospedale S. Raffaele s.p.a. Quel che è certo è che egli non si degna di sprecare una sola parola di condanna delle ingiustizie del barbaro sistema capitalistico e imperialistico mentre è lampante quanto non riesca a trattenere il suo viscerale anticomunismo. Nel paragrafetto n° 21 liquida così il marxismo-leninismo e l'intera esperienza storica del proletariato internazionale: "Questa fase intermedia (socialismo, dittatura del proletariato, ndr) la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante... Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo. Di questi non doveva più esserci bisogno. Che egli di ciò non dica nulla è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato la sua libertà... Credeva che una volta messa a posto l'economia tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo. L'uomo non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solo dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli".
Ratzinger sposa le tesi del più grossolano revisionismo e commette in poche righe numerosi errori. Innanzitutto Marx non essendo un essere soprannaturale non poteva "ideare" alcun ordinamento per il nuovo mondo, in secondo luogo egli non essendo un anarchico non ha mai detto che di nuovi ordinamenti "non doveva esserci più bisogno", piuttosto egli analizzò scientificamente gli ordinamenti del futuro Stato al servizio del proletariato e delle masse popolari, partecipando e studiando l'esperienza storica concreta della Comune di Parigi, precisamente ciò a cui si ispirerà Lenin per scrivere il grande capolavoro "Stato e Rivoluzione" alla vigilia della rivoluzione bolscevica, in terzo luogo, come ha più volte chiarito Engels in polemica con i suoi detrattori, Marx non ha mai detto che l'uomo è solo il prodotto delle condizioni e della struttura economica di una determinata società, non ha mai detto che la sovrastruttura non ha alcun ruolo nell'influenzare le vicende storiche, piuttosto ha precisato il rapporto di dipendenza e di influenza dell'una sull'altra, in quarto luogo la libertà negata di cui parla Ratzinger non è altro che la libertà degli sfruttatori di continuare ad essere tali, il potere che essi esercitano nel capitalismo per negare agli oppressi la libertà di sottrarsi allo sfruttamento.
Senza contare che Ratzinger dimentica per intero l'enorme sviluppo che la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria diretta da Mao in Cina ha apportato al marxismo-leninismo, una rivoluzione che ha toccato l'uomo in quanto ha di più profondo e che ha riguardato la sua concezione del mondo.
Ricollegandosi ai concetti oscurantisti del cattolicesimo come la colpa, il peccato originale, il purgatorio, il papa ripete ossessivamente che "La protesta contro Dio in nome della giustizia non serve" e che "un mondo senza Dio è un mondo senza speranza" perché "Solo Dio può creare giustizia". Per cui le uniche strade praticabili per i veri credenti sarebbero: "la preghiera" e "la sofferenza", un binomio già di per sé schizzofrenogeno. "La preghiera deve essere sempre di nuovo guidata ed illuminata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei Santi, dalla preghiera liturgica, nella quale il signore ci insegna a pregare nel modo giusto... - precisa strizzando l'occhio alla setta di San Pio X - aggrapparsi alle parole di preghiera della Chiesa: Padre Nostro, Ave Maria ed alle preghiere della Liturgia" (meglio se in latino?).
Rasentando l'apologia del masochismo, il papa nero sostiene che "la sofferenza è un canto di lode" e che "alla fede cristiana spetta questo merito di aver suscitato nell'uomo in maniera nuova e ad una profondità nuova la capacità di tali modi di soffrire che sono decisivi per la sua umanità" e aggiunge: "Faceva parte di una forma di devozione, oggi forse meno praticata, ma non molto tempo fa ancora assai diffusa, il pensiero di poter "offrire" le piccole fatiche del quotidiano, che ci colpiscono sempre di nuovo come punzecchiature più o meno fastidiose, conferendo così ad esse un senso" (che si riferisca al cilicio?).
I papi non hanno mai potuto sopportare il marxismo. Il primo ad attaccarlo e a demonizzarlo è stato Pio IX, nel 1849. A seguire Leone XIII nel 1878 e nel 1891 con l'enciclica "Rerum novarum". Poi Pio XI, forse il più accanito anticomunista tra i papi, nel 1937 con l'enciclica "Divini Redemptoris". Quindi Pio XII che arrivò persino a scomunicare i comunisti nel 1949. Per finire con Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Ciononostante la sinistra cattolica, compreso il clero di sinistra, in Italia e all'estero, ha sempre continuato a collaborare con i partiti che si richiamano al comunismo. In ciò sono stati particolarmente attivi in Italia e negli altri paesi dove si è svolta la Resistenza armata contro il nazi-fascismo. E peraltro non mancano cattolici e cristiani che sostengono attivamente il PMLI come simpatizzanti.

27 dicembre 2007