Eroica resistenza popolare in Turchia
Piazza Taksim tiene testa alla repressione della polizia di Erdogan
Il leader dell'opposizione denuncia: "Erdogan è un dittatore"

Nella notte del 9 giugno, appena tornato ad Ankara dalla visita in alcuni paesi del Medio Oriente, il premier turco Recep Tayyip Erdogan aveva detto che la "pazienza" del governo verso chi protestava ha "un limite". E il limite era stato raggiunto tanto che "queste proteste al limite dell'illegalità devono cessare immediatamente". Dopo una breve pausa le proteste erano ricominciate con decine di migliaia di manifestanti che scendevano in piazza a Istanbul, Ankara e in altre città del paese per chiedere le dimissioni del premier responsabile anche della feroce repressione con la quale la polizia aveva tentato di metter fine alla rivolta popolare. Al 10 giugno il bilancio è di tre manifestanti morti, 4.700 feriti di cui 50 molto gravi e migliaia di fermati.
Erano in particolare piazza Taksim a Istanbul e piazza Kizilay a Ankara, i luoghi simbolo della rivolta dove gli oppositori del governo del partito islamico Akp si concentravano, soprattutto la sera e chiedevano le dimissioni di Erdogan.
All'alba del 9 giugno a Ankara la polizia attaccava con i cannoni ad acqua e il lancio di lacrimogeni le migliaia di manifestanti che protestavano a Kizilay, nel centro della capitale
Altri manifestanti occupavano un'altra via della capitale, Kennedy Caddasi, e provavano a proteggere il presidio con barricate che solo dopo diverse ore di scontri erano distrutte dalle ruspe della polizia.
Stessa scena si ripeteva all'alba del 10 giugno a Istanbul dove alcune centinaia di agenti in tenuta antisommossa facevano irruzione in piazza Taksim e con i cannoni ad acqua e il lancio di lacrimogeni disperdevano i gruppi di manifestanti che da oltre 10 giorni occupavano la piazza. Gli agenti toglievano gli striscioni antigovernativi appesi sulla facciata di un palazzo e il governatore di Istanbul, Huseyin Avni Mutlu spiegava che "il nostro obiettivo è solo quello di rimuovere cartelli e immagini sulla statua di Ataturk e sul Centro culturale Ataturk, non abbiamo alcun altro intento, Gezi Park e Piazza Taksim non saranno toccati". Un tentativo di minimizzare l'ennesimo intervento della polizia contro i manifestanti nel tentativo di frenare una protesta che nei giorni precedenti aveva visto scendere in piazza anche i lavoratori durante lo sciopero generale di 48 ore indetto dal sindacato dei lavoratori pubblici. Ma i manifestanti tornavano in piazza Taksim e dopo aver annunciato "tolleranza zero", l'11 giugno il dittatore Erdogan scatenava di nuovo la polizia contro gli occupanti della piazza. Lo sgombero non riusciva grazie all'eroica resistenza dei manifestanti che affrontavano coraggiosamente i blindati, i cannoni ad acqua, i lacrimogeni e le pesanti cariche della polizia. Il leader dell'opposizione appoggiava la resistenza dei manifestanti di piazza Taksim e denunciava: "Erdogan è un dittatore".
La protesta contro il governo era caratterizzata il 5 giugno dai cortei dei lavoratori che sfilavano nelle principali città del paese per le manifestazioni indette dalla Confederazione dei sindacati del settore pubblico (Kesk) cui aveva aderito anche il Disk (Confederazione dei sindacati progressisti); uno sciopero generale per condannare la brutalità della repressione poliziesca. Sotto accusa il premier Erdogan bersaglio principale degli slogan: "Tayyip dimettiti", rimbombava nelle strade delle principali città. Mentre alcuni rappresentanti degli attivisti antigovernativi incontravano il vicepremier Bulent Arinc chiedendogli la rimozione dei capi della polizia di Istanbul e Ankara, e di altre città del paese. Responsabili diretti della repressione poliziesca che nella prima settimana di giugno si scatenava anche contro alcune decine di giovani manifestanti, per lo più sotto i 20 anni, arrestati nelle città di Smirne e di Adana con l'accusa di aver organizzato le proteste attraverso Internet.
Il premier Erdogan, sottoposto a una serie di espressioni di condanna per la repressione poliziesca da parte dei governi europei e dell'alleato americano preoccupato soprattutto di togliere dalle difficoltà uno dei principali alleati sunniti nelle manovre in corso contro la Siria, annunciava il 10 giugno che avrebbe ricevuto alcuni rappresentanti della protesta contro la distruzione di Gezi Park e il progetto di cementificazione dell'area che avevano dato il via alla rivolta. Il sindaco di Istanbul già aveva fatto sapere che il progetto di costruire nell'area un grosso centro commerciale era sospeso. Erdogan tiene sotto controllo gli oppositori, incarcera i giornalisti non allineati col governo tanto che gli organi di informazione nazionali non parlano delle proteste, controlla il sistema giudiziario e ha una larga maggioranza parlamentare. Ma ancora non è riuscito a piegare la coraggiosa protesta di piazza di chi reclama maggiore libertà e non l'imposizione per legge di comportamenti dettati dalla religione, di chi protesta per una situazione segnata da povertà e indigenza, da disoccupazione o lavori per paghe mensili da 150 euro senza diritti.

12 giugno 2013