Con alla testa il fascista Fini
Fascisti, revisionisti e rinnegati esaltano il leader revisionista Berlinguer
Per il presidente della Camera il defunto segretario del PCI revisionista è "una figura centrale della storia della Repubblica"

C'era da aspettarselo che il processo di beatificazione del defunto segretario del PCI revisionista, Enrico Berlinguer, conoscesse un nuovo impulso in occasione del 25° anniversario della sua morte, avvenuta l'11 giugno 1984 durante un comizio a Padova. Ma che il ruolo di voce guida, nel coro che ha esaltato la figura del leader revisionista nel giorno della ricorrenza, fosse affidato al fascista Fini, questa è una novità assoluta e un segno eloquente del trasversalismo che regna sempre più tra i partiti del regime neofascista.
Scontata la commemorazione in chiave agiografica del PD, con un inserto speciale di 10 pagine su "l'Unità" in cui si esalta Berlinguer soprattutto come un'icona storica della "questione morale", in contrapposizione agli infimi livelli di moralità di Berlusconi e in genere, dei politicanti borghesi. Meno comprensibile l'esaltazione, non meno agiografica nella sostanza, che ne ha fatto "Liberazione" attraverso due intere pagine dedicate alla ricorrenza, con grandi foto del leader revisionista scomparso e due autorevoli interventi commemorativi di Alberto Burgio e Mimmo Porcaro. Se quest'ultimo è centrato anch'esso sulla retorica della nostalgia della "questione morale" di Berlinguer, in quanto "idea seria e disinteressata di politica, lontana mille miglia dal professionismo arraffone ed incolto che ci circonda", Burgio tenta addirittura un improbabile recupero della sua figura in chiave operaista e trotzkista, attribuendo all'ultima fase della sua vita una presunta volontà di chiudere con tutta la sua politica precedente - quella del "compromesso storico" e della "solidarietà nazionale" e del "cambiamento antropologico dei dirigenti del Pci" in senso craxiano - per adottare invece, a suo dire, una politica che "recupera esperienze di lotta abbandonate da tempo" e "ricostruisce legami nella pratica del conflitto di classe". Ma Berlinguer, sempre secondo Burgio, è morto "nel momento più delicato. Ha aperto una nuova fase nella storia del Pci ma non ha fatto in tempo a consolidarne il nuovo corso, e non lascia eredi. Quei suoi ultimi anni rimangono una parentesi incompiuta, e la seconda metà degli anni Ottanta segna il nuovo riflusso di un Pci avviato, inesorabilmente, verso la regressione e la dissoluzione".
Quindi, parrebbe di capire, se Berlinguer fosse vissuto più a lungo non si sarebbe arrivati all'attuale PD borghese e liberale, ormai sempre più simile alla destra in quando a corruttela politica e commistioni affaristiche? Proprio a smentire questa tesi opportunistica del quotidiano di Rifondazione trotzkista, quasi prevedendola, sembra scritto il lungo intervento-intervista di Walter Veltroni sull'inserto de "l'Unità", in cui rivendica appieno la continuità tra il "suo" PD e le varie svolte a destra di Berlinguer, dallo "strappo" con l'Urss e l'adesione alla Nato al "compromesso storico", dal partito "di sinistra ma non comunista" alla "liberazione", come dicono le femministe, anziché emancipazione della donna, e così via. A questo proposito, semmai, l'ex segretario del PD rimpiange che nei suoi ultimi anni Berlinguer non sia stato ancor più aperto nei confronti di Craxi per accelerare proprio quella "mutazione antropologica" del PCI lamentata da Burgio: "Diciamo - afferma infatti Veltroni - che l'ideale sarebbe stato applicare la concezione della politica di Berlinguer ai contenuti e al dinamismo di quel Psi, quello del congresso di Torino e della Convenzione di Rimini. Quello in cui con Craxi pesavano Ruffolo e Amato più dei tanti che se ne impossessarono dopo. Berlinguer era interprete di una politica non contrattata, pulita e bella, quel Psi fu portatore di importanti innovazioni programmatiche".
A quello del liberale anticomunista Veltroni, poi, si affianca un intervento del rinnegato Piero Fassino, anch'esso teso a rivendicare una continuità tra il PD e la politica di Berlinguer, in particolare riguardo alla ben nota affermazione della "democrazia come valore universale" che - sottolinea - "torna oggi di prepotente attualità". Tra l'altro era stato proprio l'ex segretario diessino, due mesi fa, a proporre a Fini di fare una commemorazione di Berlinguer a Montecitorio, cosa a cui l'erede di Almirante ha acconsentito con entusiasmo.
La commemorazione si è svolta nella sala della Regina a Montecitorio, con la presenza dei principali leader rinnegati e liberali della "sinistra" borghese, da Napolitano a Franceschini, da D'Alema a Veltroni e Fassino, da Occhetto a Bertinotti. Ricordando l'omaggio del fucilatore di partigiani Almirante al feretro di Berlinguer ("altri tempi e altri uomini", ha detto con accento nostalgico), Fini ha espresso "ammirazione" per il leader revisionista in quanto "ebbe sempre di mira una prospettiva nazionale", e per la "questione morale" in quanto "problema della democrazia e delle sue basi di consenso e di legittimazione che si sgretolano se viene meno il nesso tra etica e politica".
"Nel richiamo del nesso tra etica e politica - ha sottolineato Fini - si esprime un più generale spirito repubblicano. È quello stesso spirito che anche oggi deve essere valore condiviso dai diversi schieramenti politici". Ecco come, nelle parole del presidente fascista della Camera nera, la figura del revisionista Berlinguer viene esaltata per cercare di ridare credibilità e autorità morale alle screditate istituzioni del regime neofascista che si presenta col volto corrotto del neoduce Berlusconi. In questo modo egli ha anche voluto accreditare una sua immagine di uomo "al di sopra delle parti", il leader della destra più gradito alla "sinistra" borghese e degno perciò di puntare alle più alte cariche istituzionali.

1 luglio 2009