Un altro strappo della Casa del fascio all'art. 11 della Costituzione
Il Senato nero estende il Codice penale di guerra alle "missioni di pace" e ai "conflitti interni"
Per i soldati impiegati all'estero sarà applicato sempre e soltanto il codice militare di guerra
Rischio di galera per gli inviati di guerra e per i pacifisti
Il 18 novembre, con 132 voti a favore e 45 contrari, il Senato nero ha approvato in prima lettura il disegno di legge delega al governo n. 2493 per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra e per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare.
Si tratta di un altro provvedimento gravissimo e infame della Casa del fascio, che con il pretesto di "ammodernare" la legislazione militare in funzione del nuovo esercito professionale, non soltanto riconferma con una riverniciata esteriore l'intero impianto del codice militare di guerra fascista del 1941 mai abrogato, ma lo estende definitivamente anche alle cosiddette "missioni di pace" all'estero. Con tutta una serie di gravissime conseguenze possibili che vedremo.
La novità più rilevante del provvedimento, infatti, è quella di concedere al governo la delega ad "adeguare le norme del codice penale militare di guerra e graduarne anche l'applicazione in relazione alle esigenze connesse ai conflitti armati e alle operazioni militari armate all'estero" (art. 2). Più esattamente a "confermare l'applicazione della legge penale militare di guerra, ancorché nello stato di pace, ai corpi di spedizione all'estero per operazioni militari armate". Con ciò, al di là di ogni possibile incertezza di interpretazione, il codice penale militare di guerra viene esteso appunto a tutte le missioni militari all'estero di qualsiasi tipo e natura, comprese le missioni formalmente definite "di pace" come quella in Iraq.
In realtà il codice militare di guerra era già stato esteso a tutte le missioni militari italiane all'estero, a partire da quella in Afghanistan in poi, attraverso un decreto governativo convertito in legge (con il voto scandalosamente favorevole dell'Ulivo) nel gennaio del 2002 (vedi "Il Bolscevico" n. 26/2002). Allo stato attuale, perciò, vige il paradosso anticostituzionale di una "missione di pace", come viene definita quella di "Antica Babilonia" in Iraq, per la quale è adottato però il codice penale militare di guerra. Insomma, per aggirare l'art. 11 della Costituzione, l'intervento in Iraq è stato definito "di pace". Però il codice militare applicato è quello di guerra, che dovrebbe valere soltanto dopo la dichiarazione dello stato di guerra: ma che invece non è stato dichiarato dal parlamento, per non rendere manifesta la violazione dell'art.11.
La contraddizione è così evidente, la violazione della Costituzione così sfacciata, che nonostante il comportamento da struzzo di Ciampi e l'atteggiamento omertoso e complice dell'Ulivo, qualcosa doveva essere fatto per rendere più presentabile l'ignobile guazzabuglio, anche in previsione di altri interventi militari futuri. E così è stata trovata la scusa di un provvedimento complessivo di "riordino" di tutta la materia, che però non risolve affatto la gravissima violazione costituzionale: semplicemente la ignora.
Tra le conseguenze più gravi e clamorose che questa legge potrebbe provocare vi è quella di rendere operativi anche nel caso di missioni come quella in Iraq una serie di reati e di pene pesantissimi previsti dal codice militare di guerra, che non è affatto detto il governo si preoccupi di abolire una volta ottenuta la delega dal parlamento. Come ad esempio l'art. 87, che recita: "Chiunque, al fine di denigrare la guerra, pubblicamente fa atti di vilipendio o profferisce parole di disprezzo o invettive contro la guerra, la condotta o le operazioni di essa, ovvero contro le forze armate dello Stato o coloro che vi appartengono, è punito con la reclusione militare fino a tre anni". Un chiaro deterrente contro i pacifisti e chiunque oggi si oppone pubblicamente all'impiego dei militari italiani nell'occupazione dell'Afghanistan e dell'Iraq.
Perfino i volontari delle Ong che operano in Iraq, nel soccorrere persone potrebbero ricadere sotto la scure dell'art. 248 ("somministrazione al nemico di provvigioni") e rischiare pene non inferiori a 5 anni di reclusione. Particolarmente gravi potrebbero essere poi le conseguenze per i giornalisti, che potrebbero incorrere negli art. 72 e 73 che puniscono con il carcere militare da due a dieci anni "chiunque si procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate, il loro stato sanitario, la disciplina o le operazioni militari e ogni altra notizia che non essendo segreta ha tuttavia carattere riservato". Se poi tali notizie raccolte vengono anche "diffuse", gli anni di carcere militare salgono da un minimo di cinque fino a venti.
Alcuni mesi fa toccò a un corrispondente de "la Repubblica" da Nassiriya essere indagato dalle autorità militari perché aveva cercato di ottenere informazioni sulla famosa e mai chiarita "battaglia dei ponti", dove furono sparati migliaia di proiettili dai soldati italiani che causarono un numero imprecisato di morti tra la popolazione civile, colpendo sembra anche un'ambulanza. D'ora in poi questa prassi intimidatoria nei confronti dei corrispondenti di guerra diventerebbe normale, e potrebbe portare a una completa militarizzazione dell'informazione, superando la già scandalosa censura e autocensura attuale.
è quanto paventa anche il segretario della Fnsi, Paolo Serventi Longhi, per il quale il provvedimento, che "prevede il carcere duro per i giornalisti che diffondono notizie sull'attività del contingente italiano e, forse, anche sulle operazioni dei contingenti alleati", è una misura "ricattatoria per i giornalisti invitati di fatto all'autocensura".
Da notare infine che con questa "riforma" dei codici militari, la definizione di "conflitti armati", per i quali varrà la legge penale militare di guerra, oltre che ai casi classici di conflitti armati internazionali, è estesa anche ai "conflitti interni", e cioè (art. 4): "I conflitti interni tra gruppi di persone organizzate, che si svolgano con le armi all'interno del territorio delo Stato, e raggiungano la soglia di una guerra civile o di insurrezione armata; i conflitti interni prolungati tra le Forze armate dello Stato e gruppi armati organizzati o tra tali gruppi". Così il regime neofascista si blinda per rendersi inamovibile come quello mussoliniano.

1 dicembre 2004