Gli interessi dei paesi imperialisti sono superiori a quelli dei popoli
FALLITA LA CONFERENZA SUL CLIMA USA E UE NON TROVANO UN ACCORDO SUI GAS SERRA
Proteste degli ambientalisti in piazza all'Aja
La sesta conferenza dei quasi 180 paesi che aderiscono alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Clima che si è tenuta all'Aja dal 13 al 25 novembre avrebbe dovuto stabilire con quali modalità i paesi industrializzati dovevano rispettare gli impegni assunti con la firma del Protocollo di Kyoto nel 1997 per combattere il cambiamento del clima terrestre, ovvero tagliare le emissioni di gas responsabili dell'effetto serra del 5,2% rispetto al livello calcolato nel 1990 entro gli anni 2008-2012. Un obiettivo quantitativamente ridicolo ma che all'Aja non è nemmeno stato raggiunto; la conferenza è stata prolungata dalla presidenza olandese di un giorno nella inutile ricerca di un compromesso tra le posizioni degli Usa e quelle della Ue. Il compromesso non c'è stato e il ministro dell'ambiente olandese Jan Pronk ha dichiarato "sospesa'' la conferenza che proseguirà con negoziati bilaterali fino alla successiva riconvocazione prevista nel prossimo maggio. In altre parole la conferenza è fallita. Ancora una volta gli interessi dei paesi imperialisti hanno prevalso su quelli dei popoli, l'imperialismo ha imposto le sue leggi in barba alla devastazione dell'ambiente.
Non deve trarre in inganno la rappresentazione dello scontro tra due blocchi di paesi industrializzati, l'Unione europea contro gli Stati Uniti seguiti da Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, andato in scena all'Aja da parte dei mass media europei, appoggiati anche da diverse organizzazioni ambientaliste; questa rappresentazione ha assegnato il ruolo di "cattivi'' agli Usa, che sono i principali responsabili delle emissioni di gas serra e che hanno lavorato per non ridurre le emissioni del loro apparato industriale, e quello di "buoni'' alla Ue che chiedeva di rispettare gli impegni decisi a Kyoto limitando l'uso delle scappatoie che comunque erano state previste.
Gli impegni definiti a Kyoto erano infatti già ampiamente insufficienti e permettevano scandalose eccezioni. Il Protocollo di Kyoto concede a 39 fra i maggiori paesi industrializzati alcuni "meccanismi di flessibilità'': ciascun paese o gruppo di paesi ha una propria quota di emissioni di gas serra ammesse e una da abbattere (l'Ue le deve ridurre dell'8%, gli Usa del 7%) ma ciascuno potrà anche comprarle o venderle con altri paesi. Kyoto ha codificato il "commercio di emissioni'' tanto che c'è già un sito internet per il commercio on-line. E ci sono paesi come la Russia e l'Ucraina che per la drastica deindustrializzazione dopo il 1990 hanno ridotto forzatamente le loro emissioni e quindi hanno molte quote da vendere.
Altro esempio del mercato di emissioni riferito dal "Financial Times'' è il caso di un'azienda elettrica di Calgary (Canada), la Transalta, che ha "comprato'' da un'azienda elettrica tedesca, la Electricitaetswerke (Hew) di Amburgo, 3.000 tonnellate di riduzione annuale di emissioni di anidride carbonica per i prossimi sette anni. Quest'ultima ha ridotto le emissioni aumentando la generazione di energia elettrica col vento. La Transalta ha poi rivenduto parte del suo credito a un'azienda petrolifera statunitense, la Murphy Oil. Il risultato è il mantenimento del precedente livello di emissioni alla faccia degli impegni di riduzione.
Altre scappatoie previste dal Protocollo di Kyoto sono la possibilità per i paesi industrializzati, impegnati a finanziare progetti di "sviluppo pulito'' nei paesi in via di sviluppo, di poter contabilizzare a proprio vantaggio le emissioni tagliate o risparmiate altrove; la possibilità di poter scontare dalla propria quota di riduzione delle emissioni quelle calcolate in base all'aumento degli assorbitori di gas serra (l'aumento delle foreste).
Fra quote acquistate e quote scontate il gruppo di paesi guidati dagli Usa puntava a una soluzione che permettesse loro di rispettare gli impegni di Kyoto senza toccare il proprio apparato industriale. La Ue non è stata al gioco e il ministro dell'Ambiente francese Dominique Voynet, che guidava la delegazione europea, si è impuntata sull'impegno che ogni paese doveva ridurre effettivamente le proprie emissioni del 50% della quota prevista; il ricorso alle scappatoie doveva essere limitato all'altro 50%. La delegazione americana rigettava la proposta Ue sostenendo che la conseguente "rapida'' conversione del proprio apparato industriale avrebbe minato la competitività dell'economia americana.
Inizialmente favorevole a "un gesto di disponibilità da parte europea'' verso gli Usa era il ministro italiano Willer Bordon che solo all'ultimo si associava alla posizione sostenuta dalla Voynet. D'altra parte mentre il Centro nazionale delle ricerche indica che si può stimare in 8 mila miliardi e in un numero imprecisato di vittime il costo delle esondazioni e delle siccità provocate dall'effetto serra nel nostro Paese, per l'attuazione del protocollo di Kyoto è stato istituito un fondo solo nella Finanziaria del 2001. Quando già nel '97 l'allora governo Prodi affermava di voler tagliare fino al 6,5% delle emissioni.
La delegazione Ue bocciava una successiva ipotesi di mediazione più favorevole agli Usa discussa dai rappresentanti di Olanda, Gran Bretagna e Germania con quello americano e il vertice si chiudeva con un nulla di fatto.
Secondo le stime dei rappresentanti europei i meccanismi proposti dagli Usa avrebbero portato a una riduzione dell'emissione dei gas serra di poco più del 2% mentre il Protocollo di Kyoto prevede il 5,2% tra più di dieci anni. La valutazione sui "buoni'' e i "cattivi'' deve però tenere di conto che le valutazioni degli scienziati, non confutate dai partecipanti alla conferenza dell'Aja, indicano necessaria una riduzione dei gas serra, responsabili del surriscaldamento del pianeta, di almeno il 60% rispetto al livello del 1990 e solo per stabilizzare il clima terrestre e non per invertire il processo, come sarebbe necessario. Anche la precisa applicazione del protocollo di Kyoto quindi non risolverebbe affatto il problema e non potrebbe comunque assolvere l'imperialismo americano e europeo dalle sue responsabilità di distruttore dell'ambiente.
Durante le due settimane della conferenza sono state numerose le manifestazioni di piazza organizzate dai movimenti ambientalisti. Manifestazioni nelle strade accompagnate dal suono di sirene e trombe da stadio, cortei fin dentro il palazzo della conferenza dove gruppi di dimostranti hanno bloccato il lavoro delle commissioni o interrotto conferenze stampa gridando slogan che denunciavano le ridicole soluzioni in discussione.